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Videogiochi, la crisi del trentesimo anno - editoriale

Cosa succede quando la passione viene meno?

La mia carriera di videogiocatore è iniziata alle 9 in punto della mattina di Natale del 1982. Sì, me lo ricordo bene, perché ho un'ottima memoria e perché la prima console non si scorda mai. Era un Mattel Intellivision con annessa cartuccia del calcio, pardon, NASL Soccer, regalata da un zio ricco, visto che i miei non potevano permettersela.

Pochi giorni prima era uscita in edicola la prima rivista italiana interamente dedicata ai videogiochi. Coincidenze. Da allora non è passato giorno in cui non abbia dedicato almeno un'oretta ai videogiochi, provandoli, discutendone con gli amici, scrivendone da qualche parte o semplicemente leggendone ed informandomi sull'andazzo del mercato e delle nuove release. Fra pochi mesi quindi, saranno trent'anni. Nessuna storia d'amore mi è durata così tanto.

Da un annetto circa, però, i videogiochi non mi entusiasmano più come una volta. Anzi, a dirla tutta non riesco più a prendere il pad in mano per più di qualche minuto, mi annoio subito. Possibile che la passione di una vita sia sparita nell'arco di così poco tempo?

L'inizio di una lunga storia d'amore.

In effetti, se dovessi rappresentare su un grafico il mio rapporto coi videogiochi ne scaturirebbe una sinusoide: picchi di folle e disumano interesse, conditi da run di ore e ore davanti al televisore con le dita che friggono e i tendini che implorano pietà, alternati a momenti in cui console e PC vengono coperti da spessi strati di polvere. Solo che stavolta il periodo di "rifiuto" sta durando ben più del solito. Il bambino che è in me è stato head-shottato dal tempo che scorre veloce e inesorabile?

Così un giorno mi sono autoanalizzato, ho cercato di capire cosa non mi piace più e sono giunto a conclusioni un po' sconcertanti. Tanto per cominciare, "in my humble opinion", in giro ci sono troppi giochi. Il che per molti dovrebbe essere una cosa positiva ma davvero, con l'invasione degli indie, dei classici retail e delle milionate di produzioni casual che girano su tablet e smartphone, non riesco più a raccapezzarmi.

"C'è una overdose di titoli che ha stravolto il mio tradizionale metodo d'approccio ludico"

C'è una overdose di titoli che ha stravolto il mio tradizionale metodo d'approccio ludico: pochi titoli, selezionatissimi, di cui ponderare attentamente l'acquisto, da giocare con calma e da approfondire fino all'osso. Adesso non riesco ad essere disciplinato e mi riempio di roba magari iperscontata ma che alla fine ammuffisce sullo scaffale o dentro l'hard disk. Purtroppo, il tempo non si compra.

Intendiamoci, per certe cose ammetto di essere un patetico nostalgico (del resto meglio avere vent'anni in meno che in più): ad esempio nel mio rapporto con i mezzi di informazione. Internet e i siti sono eccezionali, fantastici, sempre "sul pezzo". Però rimpiango anche le riviste cartacee, l'andare dall'edicolante e scorgere la copertina di un nuovo numero fresco di stampa sbucare dall'angolo della zona riservata ai periodici che trattano di videogame e il "sense of wonder" da esso derivante.

Il passaggio dagli 8 ai 16 bit resta il più significativo della storia dei videogames. O no?

Anche le modalità di comunicazione delle aziende mi lascia perplesso. Onestamente non capisco cosa impedisca loro di annunciare un prodotto e di immetterlo sul mercato di lì a poche settimane/giorni (Apple esclusa, ovviamente). Vedi la litania Wii U, ma ad essere cinici si potrebbe anche aggiungere che molto spesso oggi l'attesa è superiore all'evento.

Stigmatizzo la tendenza delle sotfco a realizzare ecosistemi chiusi. Prima c'era solo (l'ottimo) Steam, poi è arrivato Origin, adesso ci si mette Ubisoft, mentre per i retrogiochi c'è Gog.com: non vorrei che nell'arco di qualche mese ogni singolo producer imponesse il suo negozio virtuale.

Per non parlare delle numerose ed esecrabili pratiche "nate" durante questa generazione, come i DLC a pagamento da sbloccare che stanno già dentro al gioco, la necessità di essere sempre online, l'immancabile patch al day one, la generale mancanza di rifinitura che mi pare accomuni troppi giochi che arrivano sul mercato e la spinta forzata verso il multiplayer a discapito del single player.

So perfettamente che l'obbiettivo di ogni azienda è quello di fatturare, di fare utili e di soddisfare gli azionisti, e anche che la percezione e la valutazione di un determinato atteggiamento si poggia spesso sull'irrazionalità (ad esempio ad EA non se ne fa passare una, mentre comportamenti simili messi in atto da altre big del settore spesso non provocano la benché minima reazione). Però stanno tirando troppo la corda.

Magari sarà bellissima eh, ma io rimpiango lo SNES.

"Mi sconcerta e delude l'assenza di innovazione e di progresso"

Infine, mi sconcerta e delude l'assenza di innovazione e di progresso. Questa generazione è durata troppo. Non potete pretendere che uno che ha vissuto il passaggio dagli 8 ai 16 bit e quello dallo sprite al poligono, possa accontentarsi di bizzarri sistemi di motion control per soddisfare la sua fame di progresso.

Io rivoglio l'esaltazione dei vecchi tempi, la mascella che cade a terra e delle fiere videoludiche degne di questo nome, che non siano show musicali o parate di attori e attrici. Io pretendo miliardi di poligoni, cieli credibili, fisica realistica, non me ne frega niente di piazzarmi sotto al televisore un mediacenter per vedermi i film in pay per view o le partite di calcio.

Lo so, è un mantra classico: "la grafica non è tutto". Vero, ma è anche una parte importantissima del mondo-videogioco. Pensate a tutte le volte che avete saputo che usciva una nuova console: si è sempre prima sbavato sulle foto o sui filmati, e poi sulla giocabilità del titolo X o Y. Sì, anche nel caso di Nintendo: Mario 64 e Metroid Prime erano dei 'quantum leap' tecnici mica da ridere e non solo manifesti di gameplay. Certo, c'è la crisi ma c'era pure nel '82, nell'87 e nel 2001, ed in ogni caso sono del parere che tattiche conservative alla fine danneggino gravemente un settore che si è sempre fatto trainare dall'innovazione.

Oppure, molto semplicemente, il problema sono io. Forse ho giocato troppo e nulla riesce più a stupirmi, magari con l'età il senso di sfida offerto da un avversario umano o da una IA artificiale è venuto meno. Non trovo più stimoli, ogni esperienza ludica mi sembra seguire pattern prefissati e replicarsi all'infinito. Che invece del quadro si sia corrotto l'occhio di chi guarda? Sono fuori dal tunnel del divertimento. Datemi una ragione per rientrarci.

Andrea Chirichelli è co-founder ed editor di Players Magazine, un progetto editoriale che mira a discutere di intrattenimento in maniera matura e indipendente, coinvolgendo un pubblico smaliziato e vagamente geek.

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Andrea Chirichelli: Nasce circa 40 anni fa in una domenica buia e tempestosa. Negli ultimi anni ha offerto il suo discutibile talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic. Odia apparire in foto.

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