GTA V e la sottile linea rossa - editoriale
Rockstar ci propone una missione scioccante. Fino a che punto possono spingersi i videogiochi?
ATTENZIONE SPOILER: questo articolo contiene riferimenti espliciti a una missione di Grand Theft Auto V. Si tratta di una delle tantissime disponibili ma se non volete sapere nulla del gioco fino a quando non l'avrete provato di persona, smettete subito di leggere questo articolo. Ora!
Fino a dove può spingersi un videogioco? Qual è la sottile linea rossa che separa quel che è giusto rappresentare da ciò che invece sarebbe meglio omettere? È una domanda che mi sto ponendo da quando ho giocato la missione "Da manuale" di Grand Theft Auto V. In essa dovremo torturare un innocente per estorcergli delle informazioni che lui vuole già darci. A nostra disposizione abbiamo una chiave inglese con cui spaccargli le ginocchia, una tenaglia con cui cavargli i denti, degli elettrodi per folgorarlo, e una tanica d'acqua e uno straccio per il "waterboarding", la stessa tecnica usata dagli americani per torturare i terroristi. Non manca poi una siringa d'adrenalina, da impiantargli nel petto per evitare che muoia d'infarto e proseguire così l'interrogatorio.
Chi mi segue da tempo ben conosce quali siano le mie posizioni nei confronti del tema della violenza e anni fa scrissi un editoriale, che porto ancora nel cuore, nel quale chiedevo paradossalmente di volerne di più nei videogiochi, così da prepararmi meglio all'impatto con la vita vera, che alle volte è capace di violentarci in modi immaginabili. Eppure, nonostante questa mia attitudine, nonostante i miei trent'anni di militanza videoludica, nonostante abbia (virtualmente) compiuto qualsiasi atto contrario alla Legge e al buon senso, nell'affrontare "Da manuale" non mi sono affatto divertito. Al contrario mi sono sentito disturbato, scioccato e violentato a fare una cosa che non volevo fare. Al punto che ho deciso di non rigiocare la missione prima di scrivere questo articolo.
E dunque, fino a che punto è lecito spingersi nei videogiochi? Fino a quale punto è opportuno simulare la realtà anche nelle sue più abiette diramazioni? È una domanda che mi ero posto già all'epoca della famosa missione di Call of Duty in cui si entrava in un aeroporto e si massacravano dei civili per non fare saltare la nostra copertura. Ma in quel caso ero stato solo che scalfito dalla sceneggiatura perché, così mi ero giustificato nel mentre, quell'atto di barbarie era volto al perseguimento di un bene superiore. Attraverso quell'eccidio, ne avrei scongiurato uno peggiore.
Ma in Grand Theft Auto V la sadica penna di Dan Houser cancella anche questo alibi: la persona che torturiamo è un innocente, vuole già dirci tutto e le informazioni che gli estorciamo non servono al conseguimento di alcun bene superiore. Non solo: chi ci ordina di farlo è una persona spregevole e nel travestirci da carnefici vestiremo i panni di Trevor, un personaggio ben lontano dall'eroe intento a salvare il mondo. Al contrario, Trevor esegue con piacere l'ordine perché è un pazzo scatenato e sadico.
"Nella totale assenza di empatia con Trevor, nella completa empatia con la vittima e col dubbio che tutto ciò che si sta facendo sia inutile, Dan Houser ci toglie qualsiasi appiglio psicologico"
Non bastasse, non siamo neanche certi che attraverso le informazioni così ottenute stiamo uccidendo un bersaglio realmente sensibile. Sappiamo solo che è un caucasico con la barba, mancino e che sta fumando una sigaretta. Una descrizione troppo vaga per non lasciarci col dubbio che quanto stiamo facendo non serva a nulla, un sentimento peraltro confermato degli stessi commenti di Michael mentre, sulla base delle indicazioni ricevute, porta a termine l'incarico con un fucile da cecchino.
Nella totale assenza di empatia con Trevor, nella completa empatia con la vittima e col dubbio che tutto ciò che si sta facendo sia inutile, Dan Houser ci toglie qualsiasi appiglio psicologico, qualunque barriera emotiva. Il fatto che la missione in questione mi abbia disturbato al punto da doverla esorcizzare con un editoriale, può senz'altro essere visto come un esempio dell'efficacia della sceneggiatura; eppure risulta difficile cogliere nelle scene che siamo costretti a subire quell'intelligenza, quella sottigliezza e quell'ironia che da sempre contraddistinguono la serie più famosa di Rockstar.
Tutto sembra troppo grezzo, troppo brutale, e alla causa non giovano certo gli achievement interni per completare la missione con la medaglia d'oro. Perché se è vero che quello relativo al waterboarding si chiama "È legale", un chiaro riferimento alle pratiche americane di tortura ad Abu Ghraib e Guantanamo, il gioco ci invita a sperimentare ogni strumento di tortura disponibile. E quando finalmente, dopo varie rotazioni dello stick del pad, riusciremo a cavare di bocca un dente allo sventurato, il rumore di tappo di champagne che accompagnerà l'estrazione sembra più di cattivo gusto che ironico.
In "Da manuale" Grand Theft Auto V si dimentica di essere Grand Theft Auto e si traveste da Manhunt. A poco serve che nel finale Trevor porti la vittima barcollante all'aeroporto per restituirla alla libertà dopo sei settimane di prigionia; a poco serve che il discorso finale di Trevor si riallacci indirettamente ai crimini di guerra degli americani nella lotta al terrorismo. È come se Dan Houser cercasse un tardivo appiglio alla cronaca per giustificare i minuti precedenti ma il danno emotivo è ormai stato fatto. Questo lavoro andava eventualmente svolto prima, per predisporci emotivamente nel modo corretto, ammesso che ce ne sia uno, non dopo.
A poco serve infine ricordare che siccome la tortura esiste nella vita di tutti i giorni, i videogame hanno il diritto di trattarla. Se è per questo esistono anche gli stupri ma immagino che nessuno si aspetti di simularne uno nel prossimo GTA, coi movimenti pelvici simulati dallo stick del pad e lo stesso campionamento del tappo di champagne al momento dell'orgasmo.
Eppure, ho un dubbio. Non mi sono mai fatto problemi a sparare su arabi e terroristi, i pedoni li investo dai tempi di Carmageddon (magari aprendo anche la portiera), e dio solo sa cos'altro ho fatto nei videogame senza il benché minimo coinvolgimento emotivo. Perché invece non riesco a digerire una missione come "Da manuale"? Delle due l'una: o sono io che invecchiando mi sto imborghesendo oppure stavolta Rockstar s'è spinta un po' troppo in là, superando quella sottile linea rossa che separa ciò che è lecito rappresentare da ciò che sarebbe meglio invece evitare.
A voi la parola.