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Kholat, un horror tratto da una storia vera - recensione

Sveliamo il mistero dell'incidente del passo di Djatlov.

Nella notte del 2 febbraio del 1959, un gruppo di nove escursionisti guidati dal capospedizione Igor Djatlov ed accampati sul versante orientale del Kholat Syakhl, una montagna localizzata nella parte settentrionale dei monti Urali, morirono in circostanze misteriose. Il passo montano dove è avvenuta la tragedia ha preso da quel momento il nome di passo di Djatlov e l'intera vicenda è passata alla storia come l'incidente del passo di Djatlov.

I nove escursionisti volevano raggiungere un monte distante 10 chilometri dal luogo dell'incidente, ma a causa di una tempesta di neve persero l'orientamento e finirono nei pressi del monte Kholat. Accortisi dell'errore decisero di accamparsi per la notte ed aspettare il miglioramento delle condizioni metereologiche prima di ripartire. Qui si concludono le informazioni presenti in alcune note e ritrovate nei pressi dalla tenda che permettono di ricostruire il percorso del gruppo fino al giorno prima della tragedia.

Le indagini ufficiali stabilirono che sei membri del gruppo erano morti per ipotermia, gli altri tre per una combinazione di traumi fatali ed ipotermia e che nella zona non erano presenti altre persone. La tenda dell'accampamento era stata lacerata dall'interno e la conclusione dell'inchiesta fu che tutti i componenti del gruppo fossero morti a causa di una inarrestabile forza sconosciuta.

L'inverno è già arrivato in Kholat. Per fortuna ci sono alcuni accampamenti dove possiamo riposare e soprattutto salvare i nostri progressi.

Nessun sopravvissuto, nessun testimone e un'indagine ufficiale che poneva nuovi interrogativi invece di risolverli, hanno contribuito a creare nel corso degli anni un alone di mistero attorno all'incidente. È proprio da qui che i ragazzi di IMGN.PRO, uno studio di sviluppo indipendente polacco fino ad oggi esclusivamente impegnato nella fornitura di servizi ad altre software house, hanno tratto ispirazione per realizzare il loro primo videogame, Kholat, una storia horror in prima persona.

Un incipit d'effetto, in grado di offrire un potenziale notevole alla narrazione, peccato che gli sviluppatori non siano stati in grado di sfruttarlo fino in fondo a causa di grossi limiti strutturali e di gameplay. La nostra avventura inizia sul marciapiede di una stazione ferroviaria innevata: non ci vengono forniti obbiettivi o strumenti particolari, sta a noi capire dove andare e cosa fare. D'istinto viene naturale provare ad entrare nella stazione, magari lì troveremo qualche informazioni sul perché siamo in quel luogo.

Ci avviciniamo alla porta e non succede nulla, non possiamo interagire con essa e non sembra esserci alcun modo per entrare. Evidentemente la nostra prima intuizione era stata sbagliata, proviamo quindi a continuare l'esplorazione per trovare nuovi indizi, magari nelle varie case ed edifici apparentemente abbandonati nelle vicinanze, in qualcuno si potrà entrare.

Mappa e bussola sono gli unici strumenti con i quali possiamo orientarci nel gioco. Nella mappa è anche presente una lista delle coordinate da raggiungere per procedere nella storia.

Arriviamo ad una casa circondata da una bassa staccionata, d'istinto proviamo a cercare il comando associato al salto per oltrepassarla facilmente ma scopriamo che non esiste alcun modo per saltare, il gioco ci offre solo la possibilità di accucciarci. Una limitazione tecnica che a prima vista può sembrare secondaria ma che in realtà limita moltissimo la possibilità di movimento del nostro personaggio, obbligandoci spesso a cercare percorsi alternativi, alle volte anche molto lunghi, per aggirare un piccolo ostacolo o semplicemente superare quello che ad occhio è un semplice dislivello roccioso che chiunque potrebbe superare in un batter d'occhio con un semplice salto.

Continuiamo a vagare per questo villaggio senza trovare nulla, è completamente abbandonato e gli edifici sono nei fatti solo uno sfondo al paesaggio nevoso. Non ci resta far altro che avventurarci all'esterno, prima o poi qualche cosa succederà. Iniziamo quindi a correre, la velocità di movimento base del personaggio è abbastanza bassa, con l'intenzione di arrivare rapidamente al limite esterno dell'area che abbiamo esplorato in precedenza per vedere cosa c'è oltre. Dopo pochi secondo di corsa la visuale inizia a perdere definizione, il nostro personaggio ha il fiatone e siamo costretti a fermarci. Scopriamo in quel momento che possiamo correre solo per pochi secondi prima di finire il fiato.

Questa prima area del gioco non si capisce a cosa serva. Non è un tutorial, non è in grado di creare alcun livello d'immersione ed anzi lascia abbandonato il giocatore senza alcun obbiettivo tangibile. Di solito i primi 10 minuti di un videogame sono fondamentali per creare l'atmosfera e spingere il giocatore ad andare avanti per vedere cosa c'è dopo, qui hanno l'effetto opposto. Dopo 10 minuti di gioco solo chi realmente si impone di andare avanti lo farà, gli altri smetteranno senza avere alcun motivo di riprendere in mano Kholat in seguito.

La neve è bella, peccato che vedremo praticamente solo paesaggi innevati durante tutto il corso dell'avventura.

Esploriamo ad oltranza, dobbiamo andare avanti e alla fine ci ritroviamo in una specie di bosco, una voce inizia a parlarci e la scena cambia. Finalmente le acque si smuovono, magari ora si entrerà nel vivo dell'azione e si sperimenterà qualche emozione; è un gioco horror, prima o poi arriverà un po' di paura. Al termine dell'incipit ci troviamo nel luogo dell'incidente, nei pressi di una tenda, dove entriamo in possesso di una mappa e di una bussola. Nella mappa sono indicate una serie di coordinate e sarà nostro compito trovarne l'ubicazione, orientandoci in modo completamente autonomo.

Proviamo un attimo ad orientarci senza molto successo, decidiamo quindi di farci guidare anche un po' dall'istinto. Se dobbiamo esplorare, facciamolo alla vecchia maniera e guardiamo cosa c'è intorno a noi. In questo momento salta nuovamente all'occhio il comparto visivo di Kholat: ci troviamo immersi in un paesaggio innevato che s'inserisce perfettamente nella vicenda, bello da vedere anche se alla lunga un po' monotono. In lontananza ci colpisce subito una strana ed imponente struttura rocciosa, ci avviciniamo, entriamo al suo interno, ed ecco che tutto intorno a noi inizia a levitare.

Ci siamo, il mistero inizia a dipanarsi davanti ai nostri occhi: ci guardiamo intorno per capire cosa stia succedendo e subito ci ritroviamo stesi a terra, morti, senza aver capito perché. Incredulità, questa è l'unica emozioni che proviamo in quel momento: nessuna traccia di paura, inadeguatezza od altre emozioni forti che una storia horror dovrebbe suscitare.

Il trailer di Kholat.Guarda su YouTube

In questo momento notiamo anche un'altra caratteristica del gioco: non è possibile salvare a piacimento i propri progressi. Il salvataggio è automatico ed avviene quando ci rechiamo ad un accampamento o ritroviamo uno dei vari indizi presenti nelle coordinate indicate sulla mappa. Ecco che l'incredulità derivante dalla nostra morte diventa frustrazione nel momento in cui ricompariamo all'accampamento, obbligati ad esplorare di nuovo l'area circostante.

I momenti e le situazioni descritte fino ad ora costituiscono la prima parte dell'avventura e dato che ci troviamo di fronte ad un titolo che si basa fortemente sullo sviluppo della trama, non andiamo a svelare nel dettaglio come procede e come si conclude. I limiti delle prime ore di gioco non fanno che risultare sempre più evidenti man mano che avanziamo, bloccando sul nascere il coinvolgimento e l'immedesimazione che un titolo come questo dovrebbe essere in grado di offrire.

Il problema di fondo di Kholat è proprio questo, mancano completamente le emozioni di un'esperienza horror degna di questo nome. Un vero peccato considerando quanto potente sia la vicenda alla base del racconto, ma evidentemente l'inesperienza di IMGN.PRO, che ricordiamo essere alla loro prima prova in qualità di sviluppatori indipendenti, si è fatta sentire parecchio nelle grosse lacune presenti nel gameplay del gioco.

Tutto finisce per essere completamente inficiato dalla frustrazione che si prova scoprendo pian piano i limiti del gioco, ad un certo punto dovrete sforzarvi per andare avanti. Kholat alla fine non riesce a dare alcuna motivazione e stimoli sufficienti per continuare a giocare e svelare il mistero dell'incidente del passo di Djatlov.

5 / 10
Avatar di Federico Chiesa
Federico Chiesa è un appassionato di videogame la cui curiosità lo ha spinto a provarne di ogni tipo, cercando sempre nuovi mezzi per condividere questa grande passione. Il suo motto è “Non c’è provare, fare o non fare.”

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Kholat

PS4, Xbox One, PC, Mac

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