Tales of Zestiria - recensione
Cambiare, per restare fedeli a sé stessi.
Analizzando espedienti e tecniche narrative utilizzate da buona parte degli sviluppatori nipponici, non si può non registrare un'evidente ritrosia nell'adottare canoni e stilemi contemporanei (o per meglio dire: occidentali). Regie statiche, sceneggiature ridondanti e personaggi stereotipati sino all'eccesso, sono alcune caratteristiche comuni a fin troppi giochi di matrice giapponese, gli stessi che lentamente ma progressivamente faticano sempre più ad incontrare simpatie e apprezzamenti nel nostro continente.
L'evoluzione esponenziale dei publisher statunitensi ed europei ha incentivato l'imposizione di una nuova estetica, estremamente dinamica e attenta allo sviluppo delle psicologie dei personaggi, con la conseguenza di aver reso irrimediabilmente obsoleti e poco attraenti certi modi di raccontare storie. Tales of Zestiria, episodio della fortunata saga Bandai-Namco che, oltre a proporsi su PC, si pone a cavallo tra due generazioni di console, PlayStation 3 e PlayStation 4 nello specifico, sfida luoghi comuni e pregiudizi innescando una timida e controversa rivoluzione che ha proprio nella trama il suo fulcro.
Pur abbondando di siparietti e situazioni già viste, pur riproponendo personaggi fotocopiati da altre incarnazioni di Tales of, pur non lesinando sui buchi di sceneggiatura e altre situazioni fin troppo prevedibili, l'epopea di Sorey e Mikleo offre numerosi spunti intriganti, molti dei quali rimandano dichiaratamente alla nostra contemporaneità.
L'idea di un Redentore in grado di salvare il mondo, grazie alla sua capacità di comunicare con gli evanescenti Serafini, non sarà il massimo dell'originalità, ci sono pochi dubbi a riguardo, ma il rapporto tra l'umano, il primo, e il suo amico, invisibile agli occhi di chi non possiede poteri particolari, introduce tematiche prettamente religiose.
Nelle varie tappe che porteranno il giovane Sorey a ristabilire ordine e pace, si indaga sul concetto di fede, si mette in discussione la passiva accettazione del proprio destino, ci si scontra con lo scetticismo di chi non crede affatto. Il tutto è poi filtrato attraverso un'ottica relativamente inedita per i giochi di ruolo: sin dalle prime battute, il nostro viene investito ufficialmente del titolo di Prescelto, di Eroe, di Messia che un po' come fece il suo collega ben più famoso circa duemila anni fa, oltre che contro mostri e avversari, dovrà combattere i pregiudizi di chi non si fida di certe leggende e opporsi a chi, più o meno dichiaratamente, non ha altri interessi se non far trionfare le forze del male.
Mancheranno inaspettati colpi di scena, non si abbandoneranno del tutto certi cliché e stereotipi prettamente nipponici, eppure Tales of Zestiria mette in scena una vicenda interessante, per di più diretta da una regia virtuale dinamica e sorretta da una sceneggiatura snella e per nulla appesantita da dialoghi inutilmente prolissi.
La rivoluzione di questo episodio tuttavia, non si limita al solo ambito narrativo. Il gameplay abbraccia soluzioni inedite e propone meccaniche lievemente semplificate, nel difficile tentativo di coinvolgere nuovi utenti che da sempre guardano al genere degli RPG con una certa apprensione. Proprio in questo senso si concentrano le maggiori perplessità e criticità della produzione, visto che in alcuni casi il processo di sottrazione è stato fin troppo eccessivo.
Il piacevolissimo sistema di combattimento in tempo reale è stato lievemente rivisitato. Senza alcuna schermata di caricamento si entra immediatamente nel vivo della battaglia, alternando furiose combo a momenti in cui bisogna far rifiatare il proprio personaggio. A condizionare l'approccio allo scontro abbiamo la Catena Spiritica: né più, né meno la barra dei punti azione che si ricaricherà rimanendo inermi o parando le offensive nemiche, si svuoterà sia esibendosi negli attacchi base, sia sfruttando abilità e poteri magici.
Se da una parte ne giovano ritmo e immediatezza, dall'altra il combat system soffre in termini di profondità. Vista l'assenza delle limitazioni legate al consumo di mana, si finisce in fretta per utilizzare quasi di continuo l'attacco più potente di cui si dispone, appiattendo qualsiasi ambizione strategica. Va da sé che negli scontri con i boss bisogna comunque affinare le proprie capacità offensive, magari imparando anche a coordinare gli altri membri del party controllati dalla CPU, ma il più delle volte ogni battaglia finisce per diventare una pura formalità in cui si ragiona poco e si premono sempre gli stessi tasti.
Fortunatamente non mancano feature stuzzicanti che ampliano progressivamente il ventaglio di possibilità del videogiocatore: tra tecniche che permettono di prolungare le proprio combo e fusioni momentanee tra personaggi, i più smaliziati avranno pane per i loro denti. Peccato solo che il nemico più arduo da abbattere sarà spesso la telecamera: poco collaborativa e in affanno soprattutto all'interno di scenari dalle ristrette dimensioni.
Anche la gestione dei personaggi si avvale di meccaniche che non convincono pienamente, nonostante resti ammirevole lo sforzo compiuto nel proporre qualcosa di nuovo. Più che in passato, ogni oggetto sarà dotato di specifici bonus che aumenteranno di numero a mano a mano che si accumula esperienza utilizzando lo stesso set d'equipaggiamento. Armandosi di spade, scudi e quant'altro, si possono persino creare delle catene, delle vere e proprie combo di power-up che vi renderanno particolarmente efficaci ed efficienti soprattutto contro un certo genere di nemici.
In questo senso il sistema permette centinaia di combinazioni differenti, dando realmente modo ai giocatori esperti di creare l'equipaggiamento perfetto per ogni situazione. D'altro canto bisogna tuttavia segnalare come questa scelta di design finisca per creare una certa reticenza quando c'è da cambiare arma o un pezzo d'armatura, a tutto svantaggio dell'eccitazione di scovare nuovo loot a seguito di un'attenta e minuziosa esplorazione degli scenari.
Tutto considerato, sembrerebbe di avere a che fare con un RPG riuscito solo a metà, che nel desiderio di rinnovare e rinnovarsi finisce per compiere un passo falso di troppo, ma non è affatto così. Sebbene il risibile livello di difficoltà tenda ad appiattire fin troppo un combat system già di per sé problematico, Tales of Zestiria offre comunque un'esperienza coinvolgente, ispiratissima, emozionante.
La sottostruttura globalmente open-world rincara la dose di epicità insita nell'avventura; i combattimenti, per quanto pecchino in varietà, infondono nell'utente adrenalina a profusione; la trama invoglia il videogiocatore a viverne il pur telefonatissimo epilogo; le tante sub-quest aumentano esponenzialmente la longevità.
Tales of Zestiria, insomma, è uno di quei pochi giochi in cui il risultato non è la somma delle parti. Perché pur essendo pieno limiti, difetti e ingenuità di ogni genere, ammalia proprio grazie alla sua voglia di rivoluzionare la saga e il genere di riferimento. Nel tentativo compie qualche errore, alcuni certamente imperdonabili per i puristi, ma innegabilmente offre un'esperienza divertente e capace di mettere in scena tematiche tutt'altro che scontate. Il tutto, strizzando l'occhiolino a un pubblico meno avvezzo agli RPG. Il che non è forzatamente un difetto.