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Unravel - recensione

Un filo rosso carico di emozioni.

La bella storia di Unravel ormai è cosa nota: il titolo di Coldwood Interactive, presentato da un visibilmente nervoso Martin Sahlin sul palco dello scorso E3, si è conquistato le attenzioni del pubblico ma anche della critica come in una bella favola, trasmettendo da subito impressioni positive.

Dopo aver visto stralci di gameplay e ambientazioni accattivanti nel corso degli ultimi mesi, siamo però giunti alla prova del nove e il titolo in uscita sotto il marchio EA deve confrontarsi con la realtà e non deludere le aspettative che, per un prodotto dall'anima indie (nonostante la presenza di un grosso publisher alle spalle), sono indubbiamente alte.

Unravel comincia, come abbiamo già visto, senza troppe spiegazioni. Durante la breve intro una matassa di filato rosso prende vita diventando Yarny, il tenero protagonista del gioco, pronto a portarci nella sua avventura fatta di ricordi molto differenti per tematiche, ambientazioni e stati d'animo trasmessi.

Yarny passa subito sotto il nostro controllo nelle stanze della casa di un'anziana signora, in cui troviamo ben presto un album di fotografie, ricami e foto incorniciate sparse su varie mensole che non è affatto difficile raggiungere. Proprio le foto fungono da crocevia per i vari livelli, da affrontare in sequenza a partire dalla classica ambientazione-tutorial, utile a entrare subito nel vivo dell'avventura prendendo al contempo confidenza con i comandi e le possibilità date dal filo che compone Yarny. Il simpatico protagonista è infatti nient'altro che un lungo filo rosso che si srotola in continuazione andando avanti, allungabile tramite le matasse recuperabili nel corso del gioco ma comunque collegato sempre all'ultimo bandolo ritrovato.

Nonostante la sua natura silenziosa, Yarny riesce a trasmettere tante emozioni. Magone in agguato!

Il filo che Yarny perde avanzando non dipende solo dalla distanza coperta: sparsi per lo scenario vi sono svariati punti in cui è possibile agganciarsi per dondolarsi e saltare su altre piattaforme, ma anche per fare nodi e creare trampolini o ponti su cui far passare degli oggetti utili a risolvere qualche enigma, allungando però inevitabilmente il filo e diminuendo l'autonomia di Yarny.

Nei primi livelli non ci si sente mai troppo limitati da questo punto di vista, ma anche in quelli avanzati le possibilità di movimento restano spesso ampie; solo qualche puzzle si dimostra rigido dal punto di vista della lunghezza del filo, richiedendo al giocatore di escogitare qualche manovra per lasciare dietro di sé meno filo possibile e arrivare a prendere un gomitolo supplementare che altrimenti resterebbe fuori portata solo di pochi passi.

L'esaurimento del filo non è l'unico pericolo in cui s'incappa tra un livello e l'altro. Parte del fascino delle ambientazioni di Unravel sta negli scenari, giganteschi in rapporto a Yarny, in cui una mela può diventare un ponte, un rametto una zattera, e così via. Anche animaletti e insetti, però, assumono tutt'altro ruolo grazie alle loro dimensioni esagerate, e di tanto in tanto alcuni puzzle saranno legati proprio al riuscire a superare queste insidie, e a capire ad esempio come ripararsi dall'attacco di alcuni corvi o a scacciare degli insetti sensibili alla luce in un vecchio ufficio.

La fisica, in questo, gioca un ruolo importante, e in varie situazioni dovrete capire come tenere in tensione il filo per mantenere in posizione un certo elemento, o in che modo e posizione un certo oggetto possa essere più utile. Il tutto, a dire il vero, è molto più semplice nella pratica: presa confidenza con i comandi e fatta l'abitudine al filo che Yarny si porta dietro, viene quasi naturale pensare a come sfruttare a proprio vantaggio le particolari caratteristiche del protagonista nell'ambiente circostante.

I ricordi si mostrano in brevi immagini sullo sfondo che poi ritroverete nell'album fotografico.

I puzzle aumentano di complessità di livello in livello ma nel corso della nostra avventura si sono rivelati raramente frustranti. In un paio di occasioni ci è capitato di restare bloccati per qualche tempo ma spesso solo per aver provato soluzioni più complicate di quella giusta, più che per un cattivo design. Il fatto che cura e varietà degli scenari si mantengano a livelli altissimi mitiga anzi la sensazione che Unravel sia in effetti troppo semplice, e tiene vivo il desiderio di andare avanti alla ricerca del ricamo finale che rappresenta l'obiettivo ultimo di ogni livello.

Una volta recuperati, questi ricami vanno ad aggiungersi alla copertina di un album di fotografie rendendo leggibile la sezione relativa, composta da poche frasi e tanti scatti da cui diventano evidenti le ispirazioni alla base di ciascun livello. E questo, dopo la parte più razionale della disamina, ci porta a una componente fondamentale di Unravel: le emozioni.

È palese, anche dagli stralci più brevi di gameplay, come Unravel nasca da emozioni ben precise e molto importanti per gli sviluppatori, e punti su di esse dall'inizio alla fine. Le esperienze specifiche di una persona, però, non possono avere lo stesso valore emotivo per un'altra, e Coldwood Interactive ha giocato bene su quest'aspetto lasciando sfumati i contorni delle situazioni ricostruibili nell'album.

Tutti gli scenari che giocherete prima e rileggerete poi nell'album sono volutamente accennati e possono essere ricondotti a emozioni che sicuramente tutti noi possiamo associare a qualche episodio specifico della nostra vita: un distacco, una breve riunione, un ricordo caro e lontano o un avvenimento poco piacevole (e qui, per completezza, va specificato che alcuni livelli di Unravel virano decisamente sul cupo).

Gli scenari sono molto vari ma le basi del gameplay semplici e avanzare non è un problema. Difficilmente vi bloccherete in qualche punto e quando non riuscirete a sfuggire a un pericolo diretto poco male: il checkpoint sarà sempre pochi passi più indietro.

Il gioco riesce a trasmettere bene tutto questo col suo linguaggio visivo. Impossibile non avvertire una sensazione di abbandono passando per un vecchio garage in cui tutto sembra essersi fermato all'improvviso, ricordare qualche bella giornata ascoltando i suoni della risacca, o ancora sentirsi punti dall'angoscia trasmessa da uno scenario piovoso e inquinato in cui Yarny vaga solo e infreddolito.

È proprio questa parte, meno individuabile e quantificabile, che forma il cuore dell'esperienza, ed è qui che Unravel assumerà un valore più o meno rilevante da un giocatore all'altro. Alcuni livelli lasceranno un segno o potranno anche risultare indifferenti in virtù della singola esperienza di chi li giocherà, ma per quanto ci riguarda Unravel ha saputo toccare bene alcune delle corde nascoste di cui parlavamo poc'anzi (ma non tutte).

Più facile valutare lo svolgimento pratico dell'avventura, che fa un uso interessante della fisica ma propone enigmi a volte troppo semplici, che fungono solo da riempitivo tra la ricerca di un ricordo e l'altro. La durata complessiva, nel nostro caso attorno alle 7 ore, rende Unravel un'esperienza vivibile tutto d'un fiato e successivi playthrough hanno senso solo in funzione dell'eventuale ricerca dei collezionabili nascosti qua e là.

A Coldwood, probabilmente anche per merito del coinvolgimento di EA, va dato il merito di aver saputo creare un gioco molto rifinito, dal comparto estetico di grande impatto e dal potenziale emotivo indubbio, che ha i suoi limiti più avvertibili nell'eccessiva semplicità di un gameplay dalle basi comunque interessanti. Meno importanti i limiti della durata, che anche se non lunghissima sembra indicata per un prodotto del genere: l'avventura si conclude al momento giusto e una sua diluzione avrebbe portato più controindicazioni che altro.

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Nel complesso, Unravel è un gioco che parla un linguaggio tutto suo, in cui l'emotività è più importante delle altre componenti per precisa scelta degli sviluppatori. Gameplay e ottimo livello di rifinitura lo rendono un buon prodotto, limitato solo da una semplicità diffusa. A seconda di quanto vi troverete in sintonia coi suoi umori, potrebbe assumere un valore molto superiore a quello del voto che vedete qui di seguito, o anche diventare a sua volta un bel ricordo della vostra vita di giocatori, in grado di persistere per lungo tempo dopo che lo avrete completato.

8 / 10
Avatar di Emiliano Baglioni
Emiliano Baglioni: Emiliano si affaccia al mondo dei videogiochi all’epoca del Vic 20. Vive la sua storia di giocatore pensando che prima o poi crescerà e mollerà il joypad, ma non abbandona mai la sua passione, che riesce in qualche modo misterioso a conciliare con tutto il resto.

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Unravel

PS4, Xbox One, PC

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