Homefront: The Revolution- recensione
Anche gli americani possono diventare dei terroristi.
Fa sempre piacere giocare un titolo che non avrebbe mai dovuto arrivare sugli scaffali come Homefront: The Revolution. Si tratta infatti di una delle poche proprietà intellettuali a sopravvivere al fallimento di THQ, venduta all'asta per poi essere acquisita da Crytek e Deep Silver con l'intenzione di farne uno sparatutto a struttura aperta. Dopo anni di sviluppo ripartito praticamente da zero, appoggiandosi al team esterno inglese di Dambuster Studios che s'è avvalso del Cryengine, l'azienda tedesca ci propone il seguito di un primo capitolo interessante in quanto a trama, ma limitato nel singleplayer e pessimo in multiplayer.
Homefront: The Revolution fa indubbiamente tesoro degli errori compiuti da Kaos Studios in passato: sfrutta molto abilmente l'ambientazione distopica di una Nord Corea come superpotenza tecnologica e militare che invade gli Stati Uniti per assoggettarli al suo completo controllo dopo un devastante tracollo economico. Tenere a bada duecento e passa milioni di individui in una nazione piuttosto sanguigna e poco incline ad alzare bandiera bianca non dev'essere facile, ed ecco servita un'ambientazione perfetta per un simulatore di ribellione dalle caratteristiche tecniche e di gameplay ben definite.
In questo secondo capitolo vestiamo infatti i panni di un membro della resistenza alle prese con quella che presto si rivela essere la riconquista della città di Philadelphia. Dove prima avevamo uno sparatutto in prima persona lineare e privo del concetto di esplorazione, ora ci troviamo di fronte a un titolo open world in cui la progressione del gioco si basa sulla conquista metodica del territorio.
La mappa di Philadelphia è molto estesa e composta da vari quartieri che vanno sbloccati progressivamente portando a termine missioni primarie che puntano fondamentalmente a conquistare strutture chiave nemiche più o meno difese, sottraendole al controllo delle pattuglie nordcoreane un pezzo di mappa per volta. Trattandosi di scenari urbani, abbondano ripari e posizioni di vantaggio per effettuare imboscate ai Nork (contrazione di Nord Koreans) che minacciano costantemente la vita dei civili, ma soprattutto le frequenti pattuglie che setacciano le strade alla ricerca dei ribelli.
Bastano poche sparatorie per accorgersi di due aspetti collegati tra loro: il primo è che non è fisicamente possibile ripulire una zona finché non si è conquistato il caposaldo nemico corrispondente. Per una precisa scelta di game design, ogni volta che si eliminano pattuglie o nemici isolati, immediatamente l'area viene raggiunta da una nave da ricognizione, altri soldati e droni supplementari che rendono impossibile tenere il terreno. Il mordi e fuggi è quindi essenziale perché già a livello normale Revolution è un gioco impegnativo che punisce le azioni avventate anche contro una singola sentinella, se queste scatenano la reazione dei suoi commilitoni e non abbiamo modo di sparire alla svelta. Il giocatore è costantemente sotto pressione e la scarsa libertà nello spostarsi indisturbato nelle aree occupate è immediatamente tangibile.
Il secondo aspetto interessante riguarda la componente stealth del gameplay: non tutte le aree di Philadelphia sono un campo di battaglia come la zona rossa. Il distretto giallo è ancora vivibile mentre quello verde è composto dai comandi delle forze d'occupazione e in queste aree, a meno che non sia il momento giusto, è sconsigliabile tirare subito fuori l'artiglieria pesante. Per chi vuole cercare l'approccio meno cruento, è possibile evitare i soldati all'esterno con diversivi, manovre di aggiramento o sfruttando ostacoli visivi. Quando si arriva vicini al completamento della missione, qualche sentinella deve giocoforza finire in posizione orizzontale, ma per questo sono presenti armi adatte come il coltello e la pistola silenziata. Per le azioni dalla distanza la balestra è ottima ma va migliorata con mirini e potenziamenti alla gittata adeguati.
Dopo una prima oretta in cui ci si può muovere abbastanza liberamente, s'intuisce il tema conduttore del gioco: ogni quartiere di Philadelphia va conquistato pezzo per pezzo, ma prima di attaccare i centri nevralgici è meglio istigare i civili alla rivolta eliminando soldati nemici che vessano la popolazione, acquisendo zone radio a vantaggio della propaganda ribelle, sabotando equipaggiamenti, tendendo imboscate o hackerando le trasmissioni televisive. Questo facilita l'accessibilità ai punti di controllo principali e alla fortezza finale, aumentando il numero di civili in giro per le strade desiderosi di dare una mano alla causa. All'ordinaria amministrazione si aggiungono le missioni della storia principale, solitamente più varie, meglio strutturate e con cutscene utili a mettere insieme la trama del gioco e pensate per far esplorare a fondo ogni quartiere.
Fortunatamente, il gravoso compito di rischiare la ghirba non è tutto sulle spalle del giocatore, visto che è possibile incontrare altri membri della resistenza sotto forma di bot assoldabili per darci una mano in occasione delle missioni più rischiose. Il che è un aiuto decisamente gradito anche se la stragrande maggioranza del lavoro sporco va portato a termine di persona. Oltre alla ripulitura dei quartieri, sono presenti numerose missioni opzionali non strettamente legate alla progressione della campagna singleplayer ma appetibili per il denaro e i punti tecnologia che assegnano. Come ad esempio soccorrere compagni in difficoltà rispondendo alla chiamata dei capi della ribellione costantemente in contatto con noi tramite smartphone.
Soldi e punti tecnologia sono funzionali al sistema di personalizzazione delle armi chiaramente ispirato a quello di Crysis, ma anche per acquisire equipaggiamenti in grado di migliorare le nostre capacità di combattimento e trasporto. Per le armi servono fondamentalmente soldi con cui acquistare mirini, canne, caricatori maggiorati, calci in grado di migliorarne le prestazioni o trasformarle radicalmente. Insieme al denaro si devono investire i punti tecnologia guadagnati sul campo conquistando postazioni chiave delle mappe: questi sono essenziali per far crescere il nostro personaggio a livello di equipaggiamenti attivi e passivi, protezioni, abbigliamento tattico ma soprattutto i gadget che possono fare la differenza tra un ribelle vivo e uno morto.
L'elemento in grado di arricchire al meglio il gameplay di Revolution riguarda infatti il crafting: muovendosi per Philadelphia si possono trovare risorse di vario genere che opportunamente combinate possono creare oggetti in grado di darci un vantaggio considerevole durante gli scontri. Come ad esempio sostanze infiammabili, chimiche, circuiteria, chip, adesivi e tutto quello che può essere combinato al volo per creare bottiglie molotov, esplosivi, disturbatori ECM capaci di aprire porte blindate o violare terminali e grappoli petardi da usare come diversivo per le guardie.
Progredendo si possono montare su una macchinina telecomandata, su un telefono per attivarli da remoto o su un sensore di movimento in grado di rilevare guardie, veicoli ma anche civili. Dando sfogo alla fantasia si può creare un po' di tutto: molotov radiocomandate, disturbatori di prossimità o i classici esplosivi improvvisati da far detonare a distanza al passaggio di un mezzo o di una pattuglia.
Oltre a questo, la pressione a cui il giocatore viene sottoposto fin dall'inizio è probabilmente la migliore scelta di game design effettuata dagli sviluppatori, perché fa capire alla svelta che aria tira in questa Philadelphia digitale. La difficoltà è ulteriormente aumentata dal fatto che morendo si perdono gli oggetti di valore raccolti dal checkpoint precedente e che normalmente rivendereste in cambio di sonanti dollari. Una scelta punitiva (ma non troppo) che abbiamo apprezzato molto, in un'epoca in cui il respawn libero è ormai diventato la norma a discapito della tensione del gameplay.
Homefront: The Revolution si può considerare un "simulatore di ribellione" che mescola gli agguati esplosivi di Far Cry con le sparatorie di Crysis, le azioni stealth di Metro Last Light con alcuni blandi enigmi platform che obbligano il giocatore a scervellarsi per raggiungere punti di controllo sopraelevati. Sparse per l'area di gioco si trovano delle moto da cross con cui è possibile spostarsi sfruttando rampe predisposte per scavalcare in modo spettacolare le recinzioni delle roccaforti o per attivare meccanismi che aprono porte o cancelli.
L'idea è buona, ma non funziona benissimo: gli scenari, pensati per l'urban combat più puro, sono infatti troppo stretti e pieni di ostacoli per permettere al giocatore di muoversi agilmente anche se su due ruote. A meno che il livello non sia stato quasi del tutto ripulito, la prudenza consiglia di spostarsi a piedi piuttosto che rischiare una caduta rovinosa in mezzo a un gruppo di Nork pronti ad un'esecuzione tutt'altro che gloriosa.
Ci sono anche altri difetti degni di nota che non penalizzano eccessivamente Revolution ma gli impediscono di arrivare alle vette del genere FPS. Il più importante riguarda l'intelligenza artificiale dei nostri nemici: pattugliano con attenzione e quando attaccati provano a stanarci, ma lo fanno in maniera piuttosto sconsiderata, senza coordinarsi o effettuando movimenti coerenti con l'ambientazione di gioco in base alla nostra posizione. Restano spesso scoperti senza avere una reale percezione della nostra linea di tiro, diventando facile bersaglio delle nostre armi che, una volta potenziate a dovere, possono essere letali e precise anche sulla lunga distanza. Le sparatorie migliori sono quelle delle missioni scriptate della storia, più che i "normali" combattimenti per la conquista dei punti di controllo, ma la buona varietà del gameplay dovuta ai gadget, all'ambientazione e alla possibile interpretazione della modalità stealth, bilancia ampiamente questo difetto.
Per quanto riguarda la parte tecnica, abbiamo provato Homefront: The Revolution su un PC di fascia alta (Intel I7 4770K con 8 GB di RAM DDR3 e una Nvidia GTX 970 standard) e siamo stati premiati da un gioco graficamente di buon livello, a tratti ottimo, ma afflitto da qualche problemino di troppo per quanto riguarda le performance. Anche se il motore è il Cryengine nella sua ultima incarnazione, non siamo sicuramente al livello degli ultimi Crysis, in particolare per quanto riguarda i riflessi, il sistema d'illuminazione e l'ambientazione di gioco in generale. Gli asset tridimensionali sono ben fatti, così come i personaggi e le texture degli elementi di contorno, ma da un titolo con questo livello qualitativo ci aspettavamo un frame rate molto elevato anche al massimo livello di dettaglio. Invece la nostra configurazione a Ultra si è attestata a 43 frame al secondo medi sia prima sia dopo la pubblicazione dei driver Nvidia ottimizzati, pubblicati lo scorso fine settimana.
I nostri colleghi del Digital Foundry troveranno sicuramente molti spunti di discussione nell'immancabile prova comparativa, per il momento rimane l'impressione di un titolo piacevole da guardare, ma non ottimizzato alla perfezione su home computer in virtù di un rapporto qualità/peso a suo sfavore che consiglia cautela, soprattutto se il vostro PC non è all'ultimo grido.
A parte questo siamo rimasti abbastanza soddisfatti da Homefront: The Revolution. È un valido sparatutto a struttura aperta caratterizzato da una trama diversa dal solito e da un gameplay vario quanto basta per farsi giocare piacevolmente fino alla fine, occupando tra le venti e le trenta ore del vostro tempo, a seconda di quante attività opzionali vorrete portare a termine. Alla storia si aggiunge la modalità Resistenza (vedi box) da giocare in compagnia di altri quattro amici che aumenta ulteriormente il totale e conclude un'offerta a cui mancherebbe solo un multiplayer competitivo di qualità per essere veramente completa.
Qualche difetto c'è, ma nulla di così grave dal farlo lasciare sullo scaffale se non l'IA in alcune situazioni e la riproposizione di vari elementi di gameplay come li abbiamo già sperimentati in un sacco di sparatutto a struttura aperta usciti negli ultimi dieci anni. Solo chi è già arrivato a saturazione del genere ci pensi un attimo prima dell'acquisto, tutti gli altri si mettano in fila insieme a Kim Jong-un per portarsi a casa un FPS di buona qualità che non avremmo mai pensato di veder arrivare sul mercato dopo un primo capitolo tanto mediocre, ma soprattutto dopo la mesta dipartita di THQ.