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Hellblade: Senua's Sacrifice - recensione

“Nella tua spada batte ancora un cuore”.

L'epica epopea di Senua è un viaggio che lascia il segno, una meravigliosa odissea interiore che va al di là di ogni stigma.

Diciamoci la verità: i casi in cui il/la protagonista di un videogioco non è un mostro di profondità o originalità si sprecano. Non che sia necessariamente un male, dato che in diverse occasioni ricorrere al più classico degli stereotipi risulta tanto semplice quanto efficace. È tuttavia evidente il fatto che spesso la natura interattiva stessa di questo medium costringa sceneggiatori e director a scendere a patti con il gameplay, con il fatto che qualcuno dovrà impersonare quel personaggio e divertirsi senza dover forzatamente vivere un percorso di crescita o di introspezione.

I motivi per cui vale la pena puntare la luce dei riflettori su Hellblade: Senua's Sacrifice sono una miriade. Perché è il nuovo titolo di una software house che nel corso degli anni ha sfornato opere magari imperfette (o sottovalutate come Enslaved) ma sempre piene di stile e di elementi degni di lode. Perché è il primo esponente di un nuovo modello di business coniato dal team stesso, un AAA indie che vuole coniugare la cura e la ricercatezza dei migliori AAA con un budget limato grazie a un team più contenuto (in questo caso circa venti persone) e tagli al marketing e alla distribuzione retail.

Tutti argomenti legittimi ma al di là della qualità dei vari trailer mostrati, si torna inevitabilmente al tema con cui abbiamo aperto questa recensione: la caratterizzazione del personaggio principale. Affermare che Senua non sia il classico prototipo dell'eroina sarebbe un eufemismo. Di certo questa giovane donna non è indifesa, dato che dimostra una grande abilità con la spada e che è indubbiamente una guerriera piuttosto capace. Sono le sue mancanze, le "debolezze" e la diversità ad attirare la nostra attenzione e soprattutto a evidenziare uno degli scopi principali del lavoro del director Tameem Antoniades e soci.

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Lo sviluppo di Hellblade è partito con la volontà di narrare la più classica storia incentrata su un eroe evolvendosi poi in un progetto molto più ambizioso: rappresentare con efficacia le sensazioni e le esperienze di una persona affetta da psicosi. Il tutto all'interno di un setting estremamente affascinante come l'era dei vichinghi e la mitologia norrena.

Essere diversi e unici è troppe volte sinonimo di emarginazione, di isolamento. Senua ha sempre faticato a trovare il proprio posto all'interno della propria famiglia, figuriamoci di fronte al severo sguardo degli altri clan e dell'intero villaggio. Nonostante tutto la giovane stava cercando di mantenere un quanto mai instabile equilibrio e di essere il più possibile "normale". Ma le migliori intenzioni non possono nulla quando i popoli nordici decidono di radere al suolo il villaggio della protagonista, mandando in frantumi quel briciolo di pace tanto agognato da anni.

È proprio a questo punto della sua vita che abbiamo conosciuto il nostro alter ego e che lo abbiamo accompagnato in un'epopea all'interno dell'inferno vichingo per cercare di salvare l'anima del suo amato. Un viaggio nell'Hel e in un'intera mitologia, ma anche un viaggio interiore pregno di sofferenza, di visioni e allucinazioni e di voci che continuano costantemente a tormentare una donna tanto forte e determinata quanto fragile e sull'orlo del baratro.

Il team di Ninja Theory è riuscito a incastrare sezioni molto diverse tra loro dando vita a una varietà solo accennata nei vari trailer di presentazione.

Sono otto ore di narrazione, dialoghi e monologhi (in inglese ma sottotitolati in italiano) di ottima qualità quelle che ci hanno portato fino ai titoli di coda di Hellblade. Otto ore in cui la psicosi è il fulcro di un action-adventure che decide di focalizzarsi su un argomento taboo e che lo fa con grandissima attenzione e cura per i dettagli, forte del sostegno di psicologi e neuroscienziati ma anche di persone che effettivamente convivono con una patologia simile a quella di Senua. Un fulcro non solo narrativo ma sorprendentemente anche ludico.

Ninja Theory non ha dato vita solo a un action all'arma bianca ma ha unito questa componente a sezioni molto diverse e variegate, legate a doppio filo alla condizione della protagonista. Abbiamo dovuto menare fendenti pesanti o leggeri, schivare, parare con il giusto tempismo, rompere la guardia avversaria e sfruttare una sorta di slow motion per eliminare vari tipi di nemici e anche alcuni boss piuttosto interessanti e impegnativi, ma soprattutto abbiamo affrontato a muso duro l'oscurità che cresce nel tormentato animo della guerriera celtica.

Il combat system nonostante l'evidente semplicità risulta funzionale e tutto sommato convincente. Ma se Hellblade non verrà ricordato come uno dei migliori action sulla piazza tutto parte da una scelta ben precisa degli sviluppatori. Il combattimento è solo una delle tante componenti di un gameplay in cui i sintomi della psicosi vengono intelligentemente sfruttati come vera e propria meccanica di gioco. Visioni, suoni, correlazioni apparentemente impensabili, percezione alterata dei colori e della realtà, fino a momenti in cui la mente si "spegne" e in cui non c'è alcun appiglio a cui aggrapparsi, nessun punto di riferimento.

Tra alti e bassi le boss fight rappresentano una sfida particolarmente impegnativa.

Ed è così che dal nulla quello che pareva un action si trasforma in un titolo esplorativo, in una serie di puzzle da risolvere scovando ciò che solo la particolare mente di Senua riesce a vedere, o ancora in sezioni in cui solo i rumori si sono rivelati la nostra ancora di salvezza e altre in cui abbiamo corso a perdifiato per portare a casa la pelle. Antoniades e soci hanno deciso di giocare con la percezione, coi suoni, con il rapporto luce/ombra mischiando meccaniche e generi, fino ad arriva addirittura a confezionare delle fasi al limite dell'horror e caratterizzate da una tensione più che palpabile.

Se però il lavoro dello studio inglese sa stupire buona parte del merito va all'intero comparto visivo/sonoro e a soluzioni stilistiche e registiche che parecchi AAA semplicemente si sognano. Affidandosi al versatile e capacissimo Unreal Engine 4, ogni schermata sa proporre degli scorci di altissima qualità, ma la sola forza bruta non è ciò che salta immediatamente all'occhio a causa di un comparto artistico adatto ad ogni situazione, dalle ambientazioni più cupe e spaventose a quelle più lussureggianti e di ampio respiro, dalla rappresentazione dei boss ma anche e soprattutto di Senua e dei comprimari.

Alla protagonista realizzata completamente in motion capture, basandosi sul viso della straordinaria Melina Juergens, si aggiungono alcuni personaggi rappresentati come attori in carne ed ossa spesso "coperti" da effetti e distorsioni di varia natura. È una scelta registica particolare, da incorniciare e lodare, che ci fornisce l'opportunità di ammirare l'interpretazione di una serie di attori in stato di grazia e sicuramente meritevoli di più di un riconoscimento.

L'Unreal Engine 4 mostra i muscoli ma è la ricercatezza artistica a lasciare maggiormente il segno.

Dalle interpretazioni degli attori non ci si può che collegare al comparto sonoro, composto da musiche che rappresentano perfettamente il setting e le diverse situazioni di gioco e da degli effetti audio che migliorano decisamente l'esperienza complessiva, soprattutto indossando delle buone cuffie. Ninja Theory ha sfruttato l'audio 3D binaurale per rendere davvero realistiche le voci che affollano la testa della nostra eroina e per realizzare in maniera perfetta le fasi incentrate soprattutto sui suoni. Un ulteriore valore aggiunto apparentemente impensabile per una produzione venduta al prezzo budget di €29,99.

Nel caso in cui Hellblade: Senua's Sacrifice dovesse rivelarsi un successo commerciale non sarebbe una vittoria solo di chi in questo progetto ha sempre creduto. Sarebbe la vittoria di un'intera fetta dell'industria videoludica. La dimostrazione che lo spazio per i single-player story-driven di alta qualità c'è anche per chi non ha alle spalle un colosso disposto ad approvare budget stratosferici, e che il modello AAA indie non è un tentativo bislacco e impensabile.

Ma, cosa forse ancora più importante, sarebbe la dimostrazione che parlare di malattie mentali con la giusta accortezza e il doveroso approfondimento è possibile anche in un medium relativamente giovane e spesso ancora immaturo come i videogiochi. L'interattività, d'altronde, può dare quel tocco in più alla rappresentazione di tematiche troppo spesso ignorate dalla maggior parte delle forme di intrattenimento audio visivo e, come lo stesso Antoniades afferma, la speranza è che questo sia solo l'inizio.

9 / 10
Avatar di Alessandro Baravalle
Alessandro Baravalle: Si avvicina al mondo dei videogiochi grazie ad un porcospino blu incredibilmente veloce e a un certo "Signor Bison". Crede che il Sega Saturn sia la miglior console mai creata e che un giorno il mondo gli darà ragione.

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Hellblade

PS4, Xbox One, PC

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