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15 anni di God of War - articolo

Vendetta, redenzione e ascesa di un dio.

Quando God of War uscì, nel 2005, qualche dubbio ancora c'era. Un protagonista nerboruto, armato di lame incatenate alle braccia, agilissimo e inserito all'interno di in un sistema di gioco che forse scimmiottava Prince of Persia e Devil May Cry? Sembrava qualcosa di già visto. I QTE che sembravano vanificare parte delle potenzialità del gameplay spaventavano gli hardcore e sembravano un espediente più che commerciale. Un'atmosfera da colossal, ma grigia, sporcata dalle polveri della guerra, faceva temere che dietro la grafica all'avanguardia ci fosse poca sostanza. E poi, Kratos, trasudava una tamarraggine molto diversa rispetto a quello sborone di Dante.

In realtà la novità era nascosta e stava per potenziare la nascente tradizione di hack'n'slash 3D. Quando il gioco finalmente arrivò su Playstation 2, tutti i dubbi si sciolsero. La critica lo amò e non credo potesse andare altrimenti. God of War univa una delle migliori grafiche viste su console a un sistema di gioco collaudato; in più riusciva, con la sua mitologia e i suoi scenari mastodontici, a implementare puzzle all'interno di originali sezioni action, pur con qualche enigma eccessivamente contro intuitivo.

Il segreto di God of War erano le sue architetture. Dove Prince of Persia costruiva intricati palazzi pieni di appigli, archi, tendaggi, God of War costruiva scenari connessi come una macchina. I livelli in cui si muove Kratos, se pensiamo al tempio di Pandora per esempio, sono opere di ingegneria.

Kratos, un eroe con più di qualche macchia.

Il sistema di combattimento, senza volerlo relegare a un secondo piano, riusciva a non perdersi nelle eccessive (e spesso mai sfruttate dai giocatori) combo degli stylish action. Univa semplicità ad oculatezza, variazione d'armi a rapidità. Era possibile cambiare approcci d'attacco senza che si avesse la sensazione di cambiare gioco, alternando un gameplay aereo a meccaniche incentrate sui colpi ad area. Ad alte difficoltà, nonostante i temuti QTE, GOW era un'ordalia più che punitiva. C'era una discreta varietà di nemici, ma ad onor del vero in linea con i limiti dell'epoca e con il rischio di una certa ripetitività di fondo.

Ma al di là di quello che ormai era sotto gli occhi di tutti, giocando God of War si comprendeva anche il lavoro svolto sulla trama. Pulita, epica, intelligente e classica al punto giusto. GOW è una serie che comincia con la caduta di un guerriero e cresce con l'intrecciarsi di bisogni umani, più che umani, per uno spartano destinato a tramutarsi in dio. Uno di questi è la vendetta, in parte un'arma e in parte uno strumento di controllo in mano a poteri più grandi, olimpici, che segretamente plasmeranno la volontà del nostro implacabile Kratos. Questi sceglie infatti di servire Ares, diventando il suo braccio e fantasma, realizzando in seguito d'essere stato manipolato.

Un altro bisogno dell'allora semi-dio è la ricerca degli affetti perduti. Come Ulisse, Kratos ha un piede nella realtà e uno nelle ombre dell'Ade. L'avventura comincia con un tentativo di suicidio, ma in realtà è una spirale senza uscita dove persino il fato stesso svolge un ruolo. Spezzare un loop mentale equivale a spezzare le catene invisibili orchestrate dalle Moire.

La grafica, ovviamente datata, ci ricorda gli inizi di un genere che oggi è tra i più spettacolari.

Sparta è uno dei luoghi più affascinanti dell'antichità classica. La rupe Tarpea, i trecento alle Termopili, l'aura di imbattibilità, i manti cremisi con cui gli opliti avanzavano, il ruolo delle donne, incredibile per l'epoca. Da questo contesto, esplorato fugacemente nel fumetto e nello spin-off Ghost of Sparta per PSP, nasce Kratos, generale tutt'altro che pietoso, figlio di un tempo fatto di onore e sangue. Un personaggio distrutto dalle perdite, costretto a interagire con oracoli e a rivivere i propri incubi in cerca di una catarsi.

C'è poi il vastissimo pantheon che tutti conosciamo, stravolto e usato con una dovizia rara. Zeus è trasfigurato in becchino; Atena, che apparentemente assisterebbe come assisteva Achille nell'Iliade, è soltanto la portavoce di un inganno più vasto; Ares, di fatto, è il villain, e Kratos compie ciò che Diomede aveva soltanto tentato (e ferire il dio della guerra, per gli achei, sembrava una vittoria). Siamo in bilico tra le rese televisive dei miti più che noti alle riscritture dall'alone supereroistico. Da Hercules, o perché no, Troy, a Percy Jackson e American Gods, tolta la componente Urban Fantasy e accentuata quella eroica in stile Howard (Conan il barbaro).

L'ideatore della serie, David Jaffe, cita tra le fonti videoludiche Onimusha, di Capcom. Pare che anche il puzzle ICO, dell'omonimo team, avesse influito: lo spin-off Chains of Olympus, sviluppato da Ready at Dawn nel 2008, cerca di riprodurre il silenzio architettonico di ICO in modo abbastanza evidente. Cinematograficamente, le influenze citate da Jaffe sono due film del 1981: Scontro di titani e Indiana Jones, da contaminare con l'ultraviolenza che contraddistingue Kratos. Charlie Wen, concept artist, cita il Gladiatore di Ridley Scott.

L'avventura di Kratos comincia in mezzo ai relitti navali, nel dominio di Poseidone.

L'elemento psicologico, unito al combattimento nudo e crudo contro le creature della tradizione (dall'idra al minotauro, passando per i ciclopi), è rafforzato da un'estetica tendente all'enormità. I Titani, sconfitti dagli dei dell'Olimpo, sono incatenati nel Tartaro, mentre Crono, con un tempio sulle spalle, è costretto a vagare in un deserto. Credo che la potenza di queste figure sia enorme già concettualmente, ma God of War riesce a rappresentare il tutto in maniera concreta, visiva, e senza diminuirne l'impatto sul pubblico. È come se, interrotta la trama e l'azione, ci si ricordasse che parte di una grande storia sono anche le descrizioni.

A questa qualità complessiva contribuisce la colonna sonora, composta da Ron Fish, Gerard Marino, Winifred Phillips, Mike Reagan, Cris Velasco e Marcello de Francisci. È segnata da percussioni frenetiche, militari, sopraffatte da voci corali e archi e trombe squillanti. Trasmette adrenalina e sembra non volersi fermare mai, quasi a voler spingere il giocatore da una sala all'altra e prefigurando già il pericolo che vi troverà: le corse acrobatiche, le orde di opliti scheletrici, le trappole mortali nascoste nella pietra, i burroni puntellati di lance. Le tracce più rilassanti, come il tema di Atene, sono invece più esotiche, ma proprio per questo molto azzeccate e utili a calibrare il ritmo alternato di enigmi e combattimenti. L'atmosfera polverosa di cui si diceva all'inizio diventa la naturale compagna della musica.

I QTE imponevano momenti di key smashing non proprio stupendi, ma tutto sommato funzionali al combattimento.

Esaurita la fonte greco-romana, oggi GOW si è rivolto alla mitologia norrena: proprio come Rick Riordan, una volta concluso il ciclo di Percy Jackson. Un trend che prende sempre più piede, se pensiamo al recente Ragnarok di Netflix. Come la guerra, antica quanto l'uomo, ogni cultura ha una figura che nella sua assurdità la rappresenta, e questo rende God of War un titolo che, proceduralmente, di era in era mitologica, potrebbe crescere all'indefinito.

Difficile dunque che l'umano che ha spodestato le divinità abbandoni il mondo videoludico, fin quando sarà possibile esplorare l'epos delle altre civiltà. Come l'assassino di Ubisoft, Kratos (o chi eventualmente erediterà il suo ruolo) è un nuovo archetipo, in bilico tra eroismo e anti-eroismo, sacrifici da tragedia greca e impulsi erotici (a prescindere dall'efficacia della resa) e sanguinolenti. Un avatar per fronteggiare le personificazioni dei nostri sentimenti più violenti, delle paure più recondite.

La collection di God of War e il prequel Ascension sono disponibili su PS3 e Vita. Più facile invece reperire il terzo capitolo e il recentissimo capolavoro, non a caso Game of the Year 2018, che probabilmente avete già giocato. Come sempre, consigliamo di esplorare l'epica di Santa Monica.