30 anni di Duke Nukem - articolo
L'esplosiva storia del Duca.
Una scena cinematografica: calcio contro una porta che si spalanca, la Desert Eagle che perde bossoli, vetri che si rompono, sangue alieno che si mescola al whiskey rovesciato sul pavimento. A imbracciare l'arma un uomo con più muscoli che cervello, capelli biondi ossigenati, Ray-Ban, canotta attillata di un rosso fiammante e perché no, un jet pack sulle spalle. Sigaro in bocca e aria da duro, che più duri a morire non si può: ecco il Duca.
Duke Nukem è uno dei volti action più amati dei videogiochi. Si può dire che insieme a Serious Sam formi uno di quei duo dalla rivalità emblematica, al calibro di Schwarzenegger e Stallone, Van Damme e Seagal, Chuck Norris e Bruce Lee. È parte di un'era videoludica in cui gli sparatutto in prima persona non avevano paura di essere violenti, sprezzanti e grotteschi. Duke si muoveva tra scene splatter, autoironia, machismo gratuito e frasi sopra le righe, in pieno stile B-Movie.
Ma Duke Nukem, se oggi viene associato a una tradizione di FPS in prima persona come Wolfenstein o Quake, è invece una delle poche saghe di questa tipologia che ha tentato di dare più forme alla distruzione. Apogee (poi 3D Realms), infatti, è uno studio che ha lasciato alle terze parti il compito di esplorare i gameplay più adatti a un eroe a base di testosterone. Il Duca (per qualcuno il re) si è approcciato negli anni a diversi stili di gioco, con ottimi risultati come il TPS Duke Nukem: Time to Kill.
Questo perché, alle origini, esattamente trent'anni fa, Duke Nukem era qualcosa di molto diverso da un clone di Doom. Era un platform per MS DOS (IBM PC), lontano ben cinque anni dal successo di Duke Nukem 3D e con una frenesia che molto doveva, ancora, a Mega Man e Turrican (di cui si usarono degli asset grafici). Metroid è un'influenza un po' nascosta, per l'esplorazione aperta, in orizzontale e verticale, che donava varietà e ampiezza al gameplay.
In quel lontano 1991 Apogee decise di dividere l'avventura del Duca in tre capitoli, ciascuno dalla durata di circa un'ora, che conducevano il giocatore dalla robotizzata Shrapnel City fino a una città del futuro, attraversando nel mentre una base lunare. Bisognava cercare chiavi, floppy, schede e altra strumentazione per poter giungere alla meta, potenziando una pistola laser e cercando altri power up per poter esplorare al meglio i livelli. Ogni area era disseminata di trappole elettriche, barili esplosivi, TNT, torrette lanciafiamme. Il ritmo rapidissimo dell'esplorazione era dovuto al furbo level design, che valorizzava ascensori, piattaforme mobili, soffitti in cui era possibile arrampicarsi.
Apogee, all'epoca, distribuì il gioco gratuitamente, seguendo un modello di business simile al tipico shareware (in cui si paga dopo un periodo di prova), ma con una dose di prudenza in più. Il primo capitolo di Duke Nukem (Shrapnel City), infatti, era gratuito e reperibile tramite riviste o sistemi di messaggistica online. Gli altri due capitoli (Mission: Moonbase e Trapped into the Future!) erano invece a pagamento, da acquistare insieme con tanto di guida e supporto tecnico, secondo quel modello adottato negli Anni '90 anche da Id Software e dalla rivale Epic Games.
Con Duke Nukem II l'offerta ludica fu ampliata, con ben quattro episodi. Il gioco, anche questa volta un platform, alternava tre palette diverse di sedici colori e caricava due sfondi in parallasse per volta. Parliamo di risultati possibili grazie ad hardware e standard distanti anni luce dalle schede grafiche odierne, ma all'epoca sufficienti a dare maggiore varietà, contrasto e profondità grafica all'ambientazione futuristica ricercata da Apogee. Nonostante ciò, anche in questo caso furono presi asset da altri giochi, tra cui Savage e l'immancabile Turrican.
Duke Nukem II comincia a definire il tono e il carattere dell'IP. Duke può arrostire tacchini col suo mitragliatore laser e così recuperare più vita. Ci sono riferimenti ad Arma Letale e Terminator, primi segni di un citazionismo pop che sarà parte dell'identità del franchise. Appare, per la prima volta, la famosa autobiografia del protagonista, "Perché sono così grande", che propone un certo tipo di umorismo che metterà Duke in competizione diretta con Serious Sam. È difficile decidere chi dei due ha l'ego più smisurato.
In questi primi due capitoli, Duke è un americano medio costretto a trasformarsi in eroe. Nel 1996, con Duke Nukem 3D, le cose cambiano. George Broussard e Allen Blum decidono di dare un restyle al personaggio disegnato per la prima volta da Todd Replogle. Rendono Duke più duro, casanova, e un protagonista dalla risposta sempre pronta, tutt'altro che politically correct. Nonostante la sua proverbiale esagerazione e onnipotenza videoludica, Duke tanto deve ai volti più noti del cinema d'azione: da Ash dell'Armata delle Tenebre a Dirty Harry, personaggio iconico di Clint Eastwood.
Duke Nukem 3D scatenò diverse polemiche per via dello spiccato erotismo di alcune scene e per la pessima rappresentazione dei suoi personaggi femminili, per lo più stripper e prostitute. Nonostante ciò, si tratta del capitolo più riuscito e con più porting (grazie anche al codice sorgente del gioco, pubblico dal 2003). Pietra miliare della generazione di eredi di Doom, è stato un FPS capace di portare avanti una filosofia di gioco che aveva al centro l'idea di una distruttibilità totale (tra i primi in assoluto), un'interattività senza mezze misure e un'esplorazione non lineare ricca di deviazioni inaspettate.
La Los Angeles conquistata dai maiali spaziali di Duke Nukem 3D tornò su PlayStation, nel già citato Time to Kill. Si tratta di uno Spin-off realizzato da n-Space e incentrato su un gameplay preso, di peso, da Tomb Raider. L'esplorazione in terza persona ben si adattava agli scenari storici pieni di enigmi, visitati da un Duke in viaggio nel tempo e conquistati dalla comparsa di alieni. Le citazioni non si sprecano, soprattutto da Ritorno al Futuro, mentre lato gameplay il death match in multiplayer locale aveva mappe piene di segreti, con oggetti capaci di cambiare l'equilibrio degli scontri. Qualcosa di certamente atipico.
Il sequel Land of the Babes e un altro spin-off, Zero Hour, pubblicato da Eurocom su Nintendo 64, mostrano che la serie era in grado di rinnovarsi. La terza persona ben calzava al Duca ed era un percorso da approfondire. Non a caso nel 1999 Duke Nukem: Manhattan Project, di Sunstorm Interactive, provò a ricreare le sensazioni arcade e la componente side-scroller dei due giochi che diedero inizio al tutto. Strada percorsa anche da Duke Nukem: Critical Mass, spin-off di Frontline Studios uscito per Nintendo DS e idealmente parte di una trilogia, mai realizzata. Di questi titoli secondari una cosa è certa: la prima persona non è mai stata l'unica arma nell'arsenale del Duca.
Ma torniamo a 3D Realms, ossessionata proprio dal ricreare un sequel diretto, in prima persona, di Duke Nukem 3D. Mentre altre case di produzione tentavano di reinventare e cavalcare il successo del protagonista tutto deltoidi e frasi tamarre, i padri dell'IP entravano in un lungo girone di Development Hell, un inferno di rimandi e problemi di sviluppo. Duke Nukem Forever uscì nel 2011, durante la Settima Gen (Playstation 3 e Xbox 360). Dopo quindici anni di sviluppo, rimandi e con addosso l'atmosfera di un prodotto maledetto. Di certo non più al passo con i tempi.
Forever doveva essere pubblicato nel 1998, sfruttando il Build Engine del predecessore, ma fu chiaro sin da subito che ciò non sarebbe bastato a tenere il passo con il motore grafico di Quake II, in arrivo nel 1997. Acquisita la licenza e progettato il gioco con il motore di Quake, per rendere al meglio gli spazi aperti si dovette passare all'Unreal Engine. Si trattò di un reboot quasi totale, dovuto tra l'altro all'ambizione creativa di Broussard e al modus operandi del gruppo, legato alle dinamiche tipiche di un piccolo team di sviluppo.
All'E3 2001, Forever conquistò pubblico e critica, tanto che l'attesa estenuante d'un tratto divenne accettabile. Dopo il 2004, addirittura, Broussard arrivò a poter immaginare di superare Half-Life 2. I cattivi rapporti con il publisher (Take-Two Interactive, che aveva assorbito Gathering of Developers), resero difficile, nel 2009, la richiesta di ulteriori fondi. Broussard fu costretto a chiudere il progetto, fino a quel momento quasi del tutto autofinanziato. A rendere possibile la rinascita del sogno di molti fan fu Gearbox, che permise il tanto atteso lancio ma che a oggi ha deciso di non riproporre l'IP.
Questa lunga parentesi storica per sottolineare come Duke Nukem, pur avendo un pubblico capace di attenderlo per più di un decennio, è una serie al momento morta. Non si possono festeggiare i trent'anni perché, alle spalle, c'è soltanto un ventennio di attività. Neppure Gearbox e 3D Realms non sono in buoni rapporti. Gearbox è accusata di aver trattenuto i profitti di vendita di Forever e 3D Realms, di contro, ha perso la fiducia del publisher, accusata di aver ambiguamente tentato di mantenere il controllo sull'IP, stando agli accordi venduta per essere sfruttata "free and clear".
Un progetto come Duke Nukem: Mass Destruction, dei danesi Slipgate Ironworks, ha dovuto cambiare nome in Bombshell. Soltanto nel 2016, Gearbox, si sbilanciò con un'edizione speciale di Duke Nukem 3D, l'edizione World Tour per il ventesimo anniversario. Ma più passano gli anni, più l'IP diventa difficile da rimettere in piedi. E in fondo, se una serie del passato deve essere così martoriata da cause legali, operazioni nostalgia, voracità, forse è bene che si lasci il posto a qualcosa di nuovo.
Peccato. Il Duca poteva essere un ottimo espediente, come lo era Johnny Bravo su Cartoon Network, per trattare temi complessi tramite il capovolgimento di prospettiva. Il suo non essere politicamente corretto, nelle mani giuste, sarebbe l'innesco ideale per scrivere qualcosa di eclatante, controverso eppure al passo con i tempi. Anche senza politicizzarsi, sarebbe sempre un ottimo strumento per far la parodia alle nuove tendenze e ai nuovi cliché dei blockbuster d'azione.
Una ricorrenza un po' amara, questo trentennale dal primo Duke Nukem. Tornerà mai a calciare porte e diffondere saggezza spicciola? Dipende da Gearbox. Intanto, nel caso in cui vogliate recuperare un pezzo importante della storia degli FPS, trovate 3D (nell'edizione 20th Anniversary World Tour) e Forever su Steam a prezzi davvero accessibili. Tutto il resto, purtroppo, è materiale da collezionisti, cercatori di tesori e in alcuni casi, vero e proprio abandonware.