30 anni di Final Fantasy - articolo
Un tuffo nella saga RPG più leggendaria di tutti i tempi.
Per alcuni sembrerà ieri, ma fu proprio il 18 dicembre del 1987 che la saga di Final Fantasy si ritagliò il suo primo spazio nell'universo videoludico. Trent'anni fa, un piccolo studio giapponese decise che era giunto il momento di mettere la propria idea di avventura a disposizione del pubblico, costruendo lo scheletro di una galassia che ancora oggi, nel bene e nel male, cattura l'attenzione di milioni di giocatori in tutto il mondo.
E pensare che Hironobu Sakaguchi aveva perfino dovuto combattere per la realizzazione del primo episodio: Square non credeva nelle potenzialità del nascituro genere JRPG, e fu solo il successo di Dragon Quest a permettere lo sviluppo del gioco che avrebbe influenzato almeno cinque generazioni. Solo in termini di innovazione, Final Fantasy si è dimostrato una fucina di idee: un overworld caratterizzato da diversi veicoli, l'abbandono degli scontri in prima persona per la visuale di gruppo, un sistema di classi che contemplasse l'evoluzione. Fu un team di soli sette elementi a gettare le fondamenta del colosso e la critica dell'epoca si rese conto dell'impatto del design estetico verso il quale Sakaguchi, influenzato dalle opere del regista Hayao Miyazaki, aveva canalizzato gran parte degli sforzi. A testimonianza della difficoltà di accettare il cambiamento, ciò che fu meno gradito fu proprio l'inserimento degli oggi famosissimi scontri casuali, una meccanica ormai alla base di ben più di un franchise multimilionario.
Se possiamo considerare Sakaguchi il padre della serie di Final Fantasy, non dobbiamo dimenticare alcune figure che incidentalmente si sono trovate a lavorare sul progetto, assumendo nel corso degli anni un'importanza aldilà di ogni previsione. Lo scettico Game Director chiuse inizialmente le porte a un talentuoso ma sconosciuto artista, per poi cambiare idea e accogliere il giovane Yoshitaka Amano nell'A-Team. Per quanto riguarda il comparto sonoro, la scelta ricadde su un "veterano" dell'industria, arrivato al suo sedicesimo progetto: si trattava di Nobuo Uematsu. Il titolo fu stampato in sole 200.000 unità, un numero che per l'epoca potrebbe sembrare importante ma che diventa irrisorio quando paragonato alle attuali vendite della saga nella sua interezza: con oltre 130 milioni di copie vendute nel mondo, Final Fantasy si mantiene saldamente nella top 10 dei best-selling video games di tutti i tempi.
Oggi tendiamo a considerare i primi episodi come una singola entità, ma il successo inaspettato di Final Fantasy portò l'IP a diventare il prodotto di bandiera di Square, andando a creare un difficile enigma. Come proseguire la scrittura di un'opera nata come esperienza stand-alone? Perfino la soluzione adottata all'epoca riuscì a ritagliarsi uno spazio nella leggenda. Con il secondo episodio, alcuni elementi del sistema di progressione, del concept generale e dell'universo narrativo divennero parte dello scheletro su cui furono costruire tutte le successive sceneggiature indipendenti. Ancora oggi troviamo i Chocobo, la spada Masamune, e le celebri evocazioni nel ruolo di capisaldi di qualsiasi trasposizione della saga.
In ogni caso il secondo e il terzo episodio costituirono degli unicum, avendo testato ipotesi di gameplay che per la maggior parte furono accantonate. Dal punto di vista della scrittura, il terzo capitolo diede i natali a un villain come Xande e a una location come la Crystal Tower, elementi tornati attuali grazie al tributo concesso da Final Fantasy XIV. Nonostante le novità, entrambe le IP non generarono abbastanza interesse da giustificare una distribuzione in Nord America, e la vera pietra miliare capace di modificare irrimediabilmente il futuro della saga doveva ancora arrivare.
Final Fantasy IV di Takashi Tokita è considerato, a ragione, l'episodio più influente in assoluto. Non solo perché portò la sceneggiatura a un livello superiore, delineando per la prima volta quella ragnatela di colpi di scena che ha costituito per molti anni uno standard qualitativo, ma soprattutto perché fu in grado di re-immaginare molti concetti tipici dei giochi di ruolo da tavolo e adattarli alla controparte videoludica. Ambientazioni, NPC, mostri, indizi e quant'altro iniziavano ad assumere la formula che sarebbe stata perfezionata nel corso dell'età dell'oro, e che probabilmente costituisce il cuore pulsante dell'esperienza Final Fantasy: ogni volta che abbiamo assistito a un tentativo di discostamento dal canone qui concepito, sono seguite pesanti critiche. Tra le novità vale la pena menzionare l'ATB, ovvero l'Active Time Battle system, divenuto per diversi anni il cavallo di battaglia dell'apparato combattivo.
Cecil Harvey rappresentò il primo reale protagonista di bandiera nella storia di Final Fantasy, avendo raggiunto un livello di fama tale da far sentire, per la prima volta, la necessità di ampliare l'universo narrativo del singolo episodio, eventualità che si verificò con The After Years. Dopo una straordinaria risposta della critica giapponese, Final Fantasy IV si lanciò alla conquista degli Stati Uniti, dove fu indicato dalle più importanti testate come "il titolo che ridefinirà gli standard qualitativi dei giochi di ruolo". Per immaginare l'impatto culturale del quarto episodio, pensate che la colonna sonora divenne materia di studio in tutte le scuole del Sol Levante, mentre il design dei personaggi fu in grado di rendere celebre il lavoro di Amano anche oltreoceano, in un substrato culturale tanto distante dal canone giapponese.
La pesante eredità del successo fu raccolta da un quinto episodio che, seppur mantenendo alto il livello della narrazione, non portò particolari innovazioni a livello di gameplay al di là di un espanso Job System. Nonostante ciò, il ritorno di Sakaguchi nel ruolo di direttore diede vita a storie come quella di Galuf, ed entità come Exdeath ancora oggi tra le più amate. In ogni caso, nemmeno Final Fantasy V fu considerato accessibile al punto da guadagnarsi un biglietto di ingresso nel mercato occidentale dell'epoca. La situazione che si stava andando a creare era sempre più complessa: se in Oriente stava per vedere luce il sesto capitolo, gli Stati Uniti lo avrebbero ricevuto come terzo. Sarebbe stato proprio questo episodio a demolire definitivamente la barriera costruita tra i due mercati, arrivando a vendere più di tre milioni di copie in tutto il mondo.
Final Fantasy VI vide il primo passaggio di testimone alla direzione tra Sakaguchi e Yoshinori Kitase, oltre che l'esordio nel ruolo di graphic director per Tetsuya Nomura. Nonostante l'incisività del quarto, il sesto capitolo diventò il primo a fornire un'esperienza all-in-one comprensiva di tutti i dettagli, le meccaniche, le finezze e i tecnicismi che stavano contribuendo a ridefinire il genere JRPG. Cominciò l'età dell'oro di Square: l'intreccio non era mai stato così articolato ed era ancora più appassionante grazie all'utilizzo della tecnica Mode 7 per Super Nes, che aiutò i programmatori a rendere convincenti le espressioni dei personaggi, oltre ad aumentare la tridimensionalità degli ambienti.
Terra, prima protagonista femminile, presentò un livello di caratterizzazione che diventerà il nuovo obiettivo cui ambire. Per la prima volta incontrammo un villain iconico: la figura del nemico principale aveva spesso assunto tinte oscure, rendendo difficile capire chi fosse il reale burattinaio fino all'epilogo del complesso intreccio. In questo caso si trattava di Kefka, un personaggio estremamente teatrale e riconoscibile, al punto da arrivare a riscuotere più successo degli stessi protagonisti, conquistando un posto fisso nelle classifiche dei nemici più incisivi di tutti i tempi redatte da numerose testate. L'esperienza Final Fantasy aveva raggiunto uno schema ben definito: nonostante l'ispirazione stesse variando dal tema medioevale a quello steampunk, chi acquistava un capitolo della serie sapeva bene cosa aspettarsi. Il mondo di gioco era ormai caratterizzato da sfondi pre-renderizzati completamente esplorabili, scontri casuali e un overworld in continua evoluzione. Gli NPC presenti nei numerosi villaggi erano ben felici di fermarsi a chiacchierare fornendo informazioni sugli innumerevoli segreti, mentre le sempre più dettagliate evocazioni si arricchivano di volta in volta. I giocatori più hardcore avevano anche avuto occasione di confrontarsi con una serie di superboss opzionali, mentre coloro che erano meno interessati al combattimento sapevano di poter contare su una trama profonda e ricca di colpi di scena.
Date queste premesse, non poteva che arrivare una serie di capolavori dell'esperienza JRPG, e Square sembrava in grado di migliorare di volta in volta il gameplay sfruttando alla perfezione la possibilità di variare tanti piccoli dettagli tra una release e l'altra. A livello di risposta del pubblico, nessun capitolo può sperare di avvicinarsi al settimo. Final Fantasy VII è l'opera magna di Kitase e Sakaguchi, concepita e limata nell'arco di diversi anni.
Non crediamo che serva spendere tante parole su questa istanza: ha dato i natali a personaggi leggendari come Cloud, Sephiroth e Aeris; ha introdotto una subquest per caratterizzare ogni singolo PG; ha creato un universo tanto accattivante da portare allo sviluppo di tutto ciò che oggi costituisce quella Compilation di Final Fantasy VII che da sola ha venduto più di trenta milioni di copie. Sono traguardi ragguardevoli, specialmente quando si pensa come Final Fantasy VII abbia rappresentato il passaggio della serie dalle due alle tre dimensioni, momento che molti pensavano avrebbe segnato addirittura la morte del genere.
Se il settimo capitolo era riuscito a toccare l'eccellenza sia a livello di storytelling, grazie a una delle trame più intricate e distopiche mai viste nell'intera serie, sia a livello di gameplay, per mezzo di minigiochi, superboss e una caratterizzazione senza precedenti del mondo di gioco, lo stesso non si può dire del suo diretto successore. Molte testate internazionali hanno criticato il comparto narrativo di Final Fantasy VIII, non tanto perché presentasse una sceneggiatura di basso livello, quanto perché mostrava le prime avvisaglie di quella crisi autoriale che cominciava a fare capolino per mezzo di piccoli buchi narrativi.
Final Fantasy è sempre stata una serie legata a doppio filo con la volontà di raccontare una storia: il problema cominciava a sorgere quando bisognava sforzarsi per raggiungere questo obiettivo. Fortunatamente si trattava di piccole imprecisioni e la regia da action movie, unita ancora una volta all'emozionante sfruttamento di flashback e plot-twist, riuscì a fare la fortuna di Squall e Rinoa.
Inaspettatamente Final Fantasy IX ci riportò in un setting di ispirazione medievale, lasciandosi alle spalle la ventata tecnologica dei suoi predecessori e riuscendo a fugare ogni dubbio sul velleitario calo di qualità registrato a livello di scrittura. Squaresoft provò di aver fatto sue le meccaniche testate nel corso di un triennio, fino ad applicarle ad un'opera completamente costruita sulle fondamenta dei grandi classici, tornando a sviluppare il concetto del villain carismatico e proponendo una vicenda in perfetto equilibrio tra l'umorismo e il dramma. Vi starete chiedendo: "Perché proporre un'analisi tanto superficiale per tre titoli che hanno significato così tanto per il marchio Final Fantasy?"
Perché i quattro episodi usciti nel corso dell'età dell'oro della saga condividono sostanzialmente la stessa anima. Nonostante le grandi differenze sul piano narrativo, insieme costituiscono il frutto di una ricerca cominciata fin dagli albori dell'opera originale. L'equilibrio tra profondità di trama e gameplay ha portato al consolidamento di una formula che si è dimostrata vincente per fare breccia nel cuore dei fan, una formula fatta di libertà, esplorazione, segreti, subquest e grandi emozioni. Ma ciò che è più importante, è che di volta in volta i Game Director hanno messo in scena la propria opera, oltre che le proprie idee e la propria filosofia. E non è un caso che l'argomento emerga proprio mentre ci avviciniamo al banco di prova della PS2, con il blasonato Final Fantasy X. Era infatti il turno di Tetsuya Nomura, personalità che al tempo si poteva considerare quasi una nuova leva, e che non vedeva l'ora di raccontare la sua storia.
Il decimo capitolo, pur lasciandosi alle spalle gran parte degli elementi che sembravano ormai radicati nel concept generale della saga, rappresenta probabilmente l'apice del climax avviato dall'A-Team. Se già è cosa rara rivoluzionare un genere ottenendo riscontri clamorosamente positivi, è altrettanto complicato realizzare un'opera che punti quasi esclusivamente al coinvolgimento emotivo. La storia di Tidus ha costituito un successo senza precedenti, e gran parte di quella stessa community che aveva disprezzato il design del personaggio, finì per immedesimarsi nella sua vicenda più che in ogni altra.
Ironicamente, come accade spesso nell'intreccio di Final Fantasy, la gioia cominciava a lasciare il posto alla tristezza; il lavoro di Nomura segnò un punto di svolta per la saga: le vendite non sarebbero più tornate a sorpassare i 10 milioni di copie e, per la prima volta, i media e l'opinione pubblica avrebbero iniziato a storcere il naso di fronte ai JRPG Squaresoft, e da qui a poco Square-Enix.
Ci piacerebbe iniziare questa fase dell'analisi con un dato molto importante: il periodo compreso tra l'esordio della saga e la conclusione del decimo episodio è durato circa quattordici anni, in un continuo intreccio tra spin off e saga originale. Nei sedici anni successivi ci siamo trovati di fronte a soli tre prodotti facenti parte della serie canonica, qualora dovessimo escludere dal conto le esperienze MMORPG. Si tratta di un numero esiguo, che in un certo senso si potrebbe definire come il riflesso di una nuova era per l'intero mercato videoludico. Ma il mancato raggiungimento di alcuni traguardi da parte di Square-Enix trova le sue radici nella fine dell'epoca autoriale di Final Fantasy. Mettendo per un attimo da parte i titoli MMO, che a livello di dignità artistica non hanno assolutamente nulla da invidiare agli episodi classici, il primo capitolo che incontriamo scorrendo la timeline è Final Fantasy XII.
Si tratta di un'avventura mastodontica, il videogioco che poteva vantare i tempi di sviluppo più lunghi mai registrati fino a quel momento, arrivando a conquistare perfino il Guinness World Record. Nonostante la meravigliosa accoglienza da parte della critica, le vendite non arrivarono a coprire nemmeno la metà delle copie di Final Fantasy X allora in circolazione. Si potrebbe definire un mezzo successo, perché la proposta estremamente ambiziosa riuscì a penetrare l'universo open-world rivoluzionando al contempo il sistema di combattimento; la sfortuna però, aveva tarpato le ali del comparto narrativo dell'opera proprio in fase di decollo. Padre spirituale di Ivalice era infatti Yasumi Matsuno, che si sarebbe dimesso dal ruolo di Game Director a metà del ciclo produttivo a causa di problemi legati alla salute. Il risultato, seppur di ottima fattura, non poteva che essere un universo spersonalizzato, confuso, visibilmente privato dell'amore paterno. Se una faccia dell'opera dimostrava di essere un capolavoro tecnico, l'anima era passata attraverso ad un pericoloso taglia e cuci.
Arriviamo dunque a un'esperienza sicuramente autoriale, con l'esordio di Motumo Toryiama, ma che probabilmente non si può considerare parte di Final Fantasy; questa la sentenza alla base della totalità delle recensioni della stampa internazionale. Final Fantasy XIII è infatti il titolo della saga più criticato dai media di settore, nonostante una buona accoglienza da parte del grande pubblico e una "compilation" capace di superare i 13 milioni di copie vendute. Sta di fatto che sia Yoshinori Kitase, monumento all'interno di Square-Enix, sia il presidente Yoichi Wada, hanno scelto di intervenire per calmare le acque, affermando che "questa istanza voleva accostarsi al genere FPS più che al GDR", e rimarcando come "fosse difficile accontentare contemporaneamente i fan delle opere classiche e coloro che da Final Fantasy si aspettavano qualcosa di diverso". Si tratta senza dubbio di un buon prodotto, seppur privato di tutti quegli elementi divenuti marchi di fabbrica della saga, al punto da trasformarsi in un'avventura su binari spoglia di qualsiasi componente JRPG.
Vale la pena spendere due parole su Final Fantasy XIV: A Realm Reborn. Non tanto sul titolo in sé, che sappiamo tutti essere uno dei migliori MMO con canone mensile attualmente sul mercato. Piuttosto, vorremmo inquadrare la figura di Naoki Yoshida, che si è dimostrato capace di riportare in vita il progetto dopo la morte certa della versione 1.0, andando a celebrare l'intera epopea di Final Fantasy e aprendo un filo diretto con i fan che ancora oggi è attivo. Sembra ormai chiaro come Yoshi-P sia riuscito a guadagnarsi la piena fiducia della compagnia e del pubblico, avendo dimostrato di nutrire un profondo rispetto per le radici della serie, e diventando di conseguenza il candidato numero uno alla direzione di un'eventuale istanza futura. Visto e considerato il successo di FFXIV: Stormblood, è possibile che ci stiamo avvicinando all'era di Yoshida?
Mentre l'esperienza MMO veleggiava verso lidi sicuri, abbiamo assistito ad un altro cambio al vertice in un progetto che stava per rivelarsi un enorme successo commerciale. Final Fantasy XV sarebbe dovuto nascere come parte della Fabula Nova Crystallis lanciata con il tredicesimo episodio, sotto la diretta supervisione di Tetsuya Nomura; lo sviluppo, iniziato nel 2006, ha cominciato ad espandersi fino a trovarsi vittima di una serie di circostanze complicate: l'uscita delle nuove console, la creazione del Luminous Engine da parte di Square-Enix, e appunto il passaggio di testimone tra Nomura e Hajime Tabata nel ruolo di Game Director. Il prodotto finito, che arrivò sul mercato nel 2016, puntava su meccaniche decisamente occidentali, dal setting open-world al combattimento puramente action. Sebbene, come annunciato in apertura, questo episodio sia stato in grado di dividere la community, non si può negare che abbia conservato un'anima profondamente vicina alla storica cultura della serie.
Final Fantasy XV meriterebbe un'analisi a sé stante perché, piuttosto che puntare all'obiettivo di raccontarsi attraverso il gameplay, sembra aver assunto la funzione di banco di prova per tutti i prossimi progetti legati alla serie della doppia F. Il recente aggiornamento che introduce la possibilità di cambiare membro del party in qualsiasi momento rappresenta un'indicazione molto forte in questo senso: osservando l'orizzonte, Final Fantasy VII Remake non avrebbe mai avuto lo stesso sapore dell'originale senza l'inclusione di una feature di questo genere. Insomma, al di là dell'effettivo successo di un quindicesimo episodio che ha visto le lamentele dei fan concentrarsi nell'ambito delle missioni secondarie e delle interazioni con il mondo di gioco, sono evidenti le difficoltà riscontrate a livello di comunicazione narrativa, ovviamente legate ai problemi riscontrati in fase di sviluppo. In ogni caso, il superlativo supporto post lancio e la volontà di costruire un'esperienza completa hanno ricevuto il plauso del pubblico e della critica, e XV sta per affacciarsi su un 2018 altrettanto ricco di novità.
Questo trentennio marchiato Final Fantasy ha visto allora la cristallizzazione di alcuni standard poi scardinati nel tentativo di riflettere l'epoca moderna, incorrendo spesso nelle lamentele dei puristi ma riuscendo al tempo stesso ad attrarre un nuovo esercito di fan verso l'epopea di Square-Enix. Avendo attraversato diverse epoche, dall'età dell'oro alla crisi autoriale, stiamo per affacciarci su un futuro nel quale il publisher del Sol Levante sa di non potersi permettere errori, dovendo riportare sul palcoscenico il remake di uno dei titoli più amati nella storia dei videogiochi; e proprio per questo motivo, è da apprezzare lo sfruttamento e lo stress cui il Luminous Engine continuerà ad essere sottoposto nei prossimi mesi per mezzo dei contenuti aggiuntivi di Final Fantasy XV.
Ma la cosa più importante che abbiamo imparato nel corso di questi anni è l'enorme differenza che emerge quando ci si trova di fronte a una storia che si desidera raccontare, rispetto a una storia che si è costretti a raccontare. Noi ci auguriamo che la saga di Final Fantasy torni a rappresentare una certezza, soprattutto per quella fan-base che nei primi anni '90 si avvicinava al medium e che ancora oggi, a trent'anni di distanza, continua a farsi cullare dalle splendide atmosfere e dalle indimenticabili colonne sonore.