35 anni di Metal Gear, oltre "Gene, Meme, Scene"
Per l'anniversario di 35 anni di Metal Gear approfondiamo alcune tematiche della saga.
Quando si parla di Metal Gear viene subito alla mente Hideo Kojima, il papà del franchise che, sfruttando a suo vantaggio le limitazioni tecniche di MSX 2, finì per reinventare il genere stealth. Il 13 luglio del 1987 il mondo vide apparire per la prima volta un protagonista che invece di eliminare i nemici doveva semplicemente aggirarli per arrivare all'obiettivo senza farsi scoprire. Si trattava di un approccio praticamente inedito che si fece largo in tantissime trasposizioni diverse sino ad arrivare al discusso Metal Gear Solid V: The Phantom Pain del 2015.
Oggi però racconteremo qualcosa di diverso, di lontano dai classici temi del franchise che ruotano intorno all'ormai inflazionato “meme, scene, gene” e alle aggiunte successive avvenute con Guns of the Patriots e Peace Walker. L'acronimo “MGS”, oggi, starà per Musica, Gag e Sensualità, in un piccolo viaggio testuale alla scoperta della colonna sonora del franchise, dell'ilarità e delle assurdità presenti in ogni titolo ma soprattutto del ruolo della donna, dalla stoica integrità di The Boss fino alla provocatoria Quiet.
Qualche piccolo elemento di contesto è però d'obbligo: il 1987 vide dunque la nascita di Metal Gear, un “La Grande Fuga” di Sturges al contrario in cui invece che scappare da un luogo inaccessibile ci si doveva entrare. L'ispirazione cinematografica non è messa per caso, visto che molti di voi ormai sapranno come la saga riprenda i grandi canoni della pellicola americana ripensati dall'autore, e ciò ovviamente ha influenzato anche la colonna sonora.
Nonostante fosse limitata dagli 8-bit, alcuni brani di allora sono rimasti tuttora di livello, come Red Alert, ma è anche vero che nel primo originale capitolo si era ancora alla ricerca di quell'identità che sarà consolidata solo con Metal Gear 2: Solid Snake, il primo vero capitolo “kojimiano” per eccellenza. Proprio in quell'epoca, infatti, Konami comincerà a investire seriamente sul progetto fornendo il supporto del Konami Kukeiha Club, un gruppo di compositori che avevano la responsabilità di curare la colonna sonora di ogni titolo creato dalla casa madre. The Front Line è sicuramente il tema centrale del secondo episodio con alcuni elementi che richiamavano la colonna sonora di First Blood, la prima pellicola dedicata a Rambo.
C'era tanta voglia di fare qualcosa di più di una semplice colonna sonora da videogioco, ma le limitazioni tecniche confinarono le idee di Kojima almeno fino all'arrivo della generazione in 32-bit. Il desiderio dell'autore era quello di creare un sottotesto contestuale alle azioni compiute dal giocatore, una colonna sonora dinamica e che si adattasse automaticamente a quanto avveniva sullo schermo. Kojima dovette aspettare ancora un po', perché Metal Gear Solid si trovò a fare i conti ancora una volta con le classiche melodie pre-registrate. Allora entrò in scena il KCE Japan Sound Team, che riuscì a creare alcuni dei temi più iconici della storia videoludica, in un mix tra elettronica, sintetizzatori e cori in grado di adattarsi perfettamente alle diverse situazioni, come nel caso di Enclosure, realizzata per Sniper Wolf. Anche in questo caso le influenze cinematografiche non mancavano, Fuga da New York e Fuga da Los Angeles di Carpenter su tutte. Ma c'è da segnalare anche quello che fu un brutto colpo per il collettivo di Kojima.
Il celebre tema principale del titolo riproposto poi in MGS 2 e MGS 3, realizzato da Tappi Iwase, era a tutti gli effetti un plagio di un brano composto dal musicista russo Georgij Sviridov, ed è per questo motivo che il tema ha smesso di apparire da Guns of the Patriots in poi. Tuttavia, l'iconica The Best Is Yet to Come rimane l'intoccabile punta di diamante di una colonna sonora entrata nella storia videoludica. Le cose sono cambiate drasticamente con Sons of Liberty, con Kojima che ha deciso di fare un salto avanti ulteriore assumendo Harry Gregson-Williams, di scuola Hans Zimmer, e soprattutto Norihiko Hibino, compositore per Zone of the Enders.
Il lavoro della coppia ha portato la colonna sonora su un altro livello, avvicinandosi all'idea iniziale di realizzare musiche dinamiche e contestuali. Quello che rimane più impresso nella memoria collettiva è probabilmente il lavoro di Hibino, soprattutto per il brano finale Freedom to Decide. Da MGS 2 in avanti è cambiato tutto, e con Snake Eater si è quasi raggiunta la perfezione. La nuova ambientazione richiedeva infatti strumenti diversi come flauti e percussioni, ma è ovviamente il “bondiano” tema principale a essere rimasto indelebile: cantato da Cynthia Harrell, il tema è un tributo alle atmosfere spy degli anni '60 in un mix riuscito tra pop e jazz.
MGS 3 ha poggiato definitivamente le fondamenta della colonna sonora della saga. Per Guns of the Patriots le cose sono state fatte in grande: è stato ampliato il ventaglio di compositori, con Kobuko Toda che ad esempio ha firmato lo splendido Love Theme, ma anche Harry Gregson-Williams che ha fatto il suo, confezionando Old Snake e soprattutto l'arrangiamento di Here's to You di Ennio Morricone interpretata da Lisbeth Scott. MGS 4 però non è riuscito a vantare una colonna sonora memorabile anche per via della sua mancata omogeneità tra le varie fasi di gioco. Per evitare di dilungarci troppo, va segnalato l'ingresso di Donna Burke nel team, che ha dato voce a Heavens Divide di Peace Walker e Sins of the Father per The Phantom Pain e anche di Ludvig Forssell, con cui Kojima avvierà una stretta collaborazione per Death Stranding.
La musica è parte integrante della Metal Gear Saga, soprattutto nei lunghissimi trailer di presentazione in cui Hideo Kojima si sbizzarisce; in alcuni momenti, forse anche troppo.
Un altro elemento fondamentale e che si estrica in maniera più o meno evidente tra i vari capitolì è quello dello humor, a volte sottile come una lama, altre volte volutamente sboccato, come nel primo trailer di presentazione di MGS 4. Quel trailer comunicava molto più di quanto apparisse, ma lo stile di Kojima si nota anche in questi elementi. Quella di ridere in un videogioco è una situazione più unica che rara, soprattutto quando il mood sembra così serio che fare una semplice battuta potrebbe creare irrimediabilmente imbarazzo. Tra il tema del nucleare, quello del remare contro il destino e le tragedie che giochiamo costantemente, l'umorismo sembra davvero fuori luogo, eppure è l'essenza di Metal Gear.
Possiamo trovare questo strano equilibrio in pochissime opere, come ad esempio in Attack on Titan di Hajime Isayama, in cui l'umorismo ha essenzialmente due funzioni principali. La prima è estremamente pratica, come riferito dallo stesso Kojima: è impossibile tenere il giocatore sempre in tensione e con la massima concentrazione; spezzare il loop narrativo tramite gag serve per stemperare e dare respiro a una narrazione che altrimenti sarebbe troppo cupa da sopportare. L'altro elemento è forse la vera firma dell'autore e quella più similare all'uso che ne fa Isayama: deludere le aspettative per aumentare a dismisura l'effetto sorpresa.
In realtà l'umorismo presenta anche una terza caratteristica, invisibile quanto efficace: rende i personaggi reali. Vedere Raiden scivolare sul guano dei gabbiani o Eva che in sogno racconta delle sue “esperienze” sessuali sono elementi che presi a sé lasciano spazio alle risate, ma fanno immaginare una vita al di là delle vicende che stiamo vedendo, persone sicuramente super addestrate ma pur sempre esseri umani fallibili. È anche per questo che ci si affeziona, anche se a volte Kojima ha spinto veramente tanto sull'acceleratore. Come dimenticare infatti il Secret Theater di Snake Eater Subsistence, una serie di clip create inizialmente in segreto per una festa tenuta al completamento dei lavori ma piaciute talmente tanto a Kojima che ha deciso di inserirle all'interno del disco (alcune create ad hoc per il gioco). Si tratta di scene animate e doppiate con una certa cura, ma dal contenuto davvero esilarante come Snake che desidera mangiare il cavallo di The Boss, o l'assurda morra cinese tra i due durante una delle scene più toccanti del gioco.
Questo espediente funziona proprio perché è lo stesso Kojima che “gioca” con il giocatore, creando situazioni al limite dell'assurdo perché sa già che l'utente proverà a far qualcosa di stupido, come sparare a Ocelot dopo averlo messo K.O. L'intelligenza dell'autore sta appunto nel riuscire a prevedere le mosse di chi gioca quando esce dal binario prestabilito, creando così un'identità e soprattutto una comunione autore-giocatore unica nel suo genere. Dopo aver giocato MGS, tutto il resto sembrerà banale e per certi versi troppo prevedibile.
Tutto questo però si è un po' perso nel tempo. L'autorialità di un'opera si vede anche da come una saga cambi per mood col passare del tempo, che è dipendente dalle sensazioni e dalle esperienze del creatore. Con Guns of the Patriots, nonostante sia rimasta una certa dose di ilarità in certe situazioni, ci si prende molto più sul serio, sino a un The Phantom Pain che sembra non avere più quella genuina gioia che ha contraddistinto i suoi predecessori. Lo humor della saga può essere anche visto come bussola dello stato d'animo di Kojima, allora evidentemente contrariato dalle vicissitudini con Konami e forse convinto che sotto sotto, nelle sue creazioni, non ci fosse più nulla da ridere.
Abbiamo citato Eva e The Boss, due tra i personaggi cardine della saga, essenziali per capire i concetti chiave che l'autore vuole esprimere. Il ruolo della donna all'interno di Metal Gear Solid ha sempre avuto una doppia valenza, da un lato molto concreta e rispettosa, dall'altro ilare e influenzata dalla cultura delle Idol giapponesi. C'è di tutto un po' insomma, ma tra le pose di Laughing Octopus e i poster negli armadietti, Kojima ha saputo regalare personaggi femminili tra i più iconici della storia dei videogiochi, con The Boss che è divenuta il perno centrale dell'intera vicenda narrata. Nonostante siano tante le donne presenti nella saga, il filo conduttore che collega The Boss, Eva e Quiet è quello della presunta sessualizzazione della figura femminile ed è interessante notare come questa tematica abbia cambiato connotati nel corso degli anni, sottostando a una maggiore sensibilizzazione con l'andare del tempo.
La figura della donna in Metal Gear Solid è trattata con grande rispetto, indipendentemente dal contesto, e la sfida di Kojima (e Yoji Shinkawa) stava proprio nel riuscire a trasmettere sempre integrità e fierezza. Si potrebbe dire che la sensualità o la sessualità stiano negli occhi di chi guarda: quando The Boss mostra la sua serpentina cicatrice, l'imponente scollatura fa intravedere molto del suo corpo, ma quella scena deve risultare tutto fuorché sexy. La Mercury Lady, in quel momento, non è né madre né donna: è puro ideale, qualcosa per cui lottare, e ciò diventerà il perno dell'intera saga.
Eva si presenta per la prima volta con la scollatura che distrarrà perfino Naked Snake, ma il contesto è differente. La “Bond Girl” conosce amore, seduzione e sessualità solo come strumenti di missione, e la sua evoluzione la porterà a diventare il cardine di Guns of the Patriots. È evidente, in Snake Eater Eva è una classica “femme fatale”, ma il suo modo di essere racconta una storia, e per quanto possa solleticare la fantasia di Naked Snake con le sue pose, la tragedia che l'ha portata a essere la spia che è resta indissolubilmente legata alla sensualità.
Ciò ha spinto Kojima a osare con Quiet in Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, un personaggio ancora oggi divisivo e osteggiato da una grande maggioranza di pubblico fin dalla presentazione. La “sexy cecchina in bikini” ha spinto inevitabilmente sul cosiddetto “fanservice” (dato che uno dei bozzetti originali la vedeva più coperta), ma anche nel suo caso c'è di più. Oltre ai continui riferimenti a The Boss, e all'essere necessaria per permettere a Big Boss di maturare e divenire Venom Snake, Quiet è un personaggio dal tragico passato oscuro, ma c'è una scena che rende bene l'idea che Hideo Kojima voleva trasmettere: la scena in cui i due protagonisti giocano sotto la pioggia alla Mother Base è molto particolare, una sorta di comunicazione non verbale che riesce a trasmettere i loro sentimenti; e nonostante Quiet sia sempre in bikini e bagnata dalla pioggia, in quella che potrebbe emergere come una pura incarnazione del “fanservice”, la scena risulta tutt'altro che erotica.
Quiet si pone in netta contrapposizione al personaggio di Eva, eppure il giudizio per molti giocatori sembra risultare lo stesso: indipendentemente dal contesto, questi personaggi sarebbero solo “belle donne” messe lì per stuzzicare i maschietti, ma è evidente come nel caso specifico manchi una certa sensibilità per capire che in realtà si tratta di pregiudizio. Il personaggio di Quiet è stato plasmato proprio per questo motivo: per andare contro i pregiudizi rivolti a una figura femminile spesso goffamente sessualizzata senza un reale motivo, a causa di un retaggio culturale che fatica ad andare oltre la sola apparenza. Bisogna specificare che in questo caso Kojima ha fallito: le polemiche sul personaggio di Quiet sono rimaste invariate anche dopo anni, e l'obiettivo finale dell'autore ─ quello di far provare vergogna al giocatore che avesse osservato Quiet come un personaggio sessualizzato ─ ha faticato molto a essere trasmesso con efficacia in un opera che, come sappiamo, non ha avuto una tranquilla gestazione.
La sessualità senza l'erotismo e il concetto di maternità morale sono dunque elementi essenziali per comprendere come, secondo Kojima, l'autoaffermazione di una donna comprenda intrinsecamente anche il suo aspetto fisico, e poco importa come questo venga messo in mostra dalle attrici protagoniste. La libertà di essere ciò che si vuole e come si vuole non deve essere intaccata dal pregiudizio.
Ci sarebbe molto altro da dire: una serie come Metal Gear tratta una tale vastità di temi, più o meno evidenti, che servirebbero decine di articoli per poterne discutere. La musica, lo humor e il ruolo della donna, esaminati in questa sede, sono stati anch'essi appena scalfiti, ma questa è un ulteriore testimonianza della profondità che si cela dietro quello che è a tutti gli effetti un pezzo di storia dei videogiochi. Insomma, sono passati 35 anni dal primo capitolo di Metal Gear, ma la discussione si è tutt'altro che esaurita.