A Plague Tale: Requiem, la recensione
Un secondo capitolo dalle aspettative molto alte. Saranno state confermate?
Partiamo subito da una premessa: una storia, per poter funzionare, dev’essere prima di tutto credibile. Man mano che i media si sono evoluti e di conseguenza la loro complessità, ciò è divenuto sempre più difficile visto che tutte le parti in gioco devono dare il massimo per non creare dissociazioni nello spettatore.
Il videogame in tal senso è quello più complesso, in quanto in esso non solo si assiste a una storia ma bisogna anche giocarla, col cosiddetto gameplay che deve sposarsi perfettamente coi limiti e le possibilità degli autori. A volte avrete sentito parlare di dissonanza ludo-narrativa, termine coniato dall'ex designer Ubisoft Clint Hocking disquisendo su Bioshock.
Di esempi ne abbiamo diversi, come l'effettuare missioni secondarie nel bel mezzo di una quest principale con valenza di vita o di morte oppure trasformare una giovanissima archeologa alle prime armi in Jonh Wick al primo colpo sparato. Ma in realtà di queste dissonanze ne possiamo trovare tante altre, imposte anche da scelte di design che, se messe alle strette, sono in grado di far crollare tutto il castello di carte.
Perché questo preambolo? Perché per godersi appieno A Plague Tale: Requiem bisogna sospendere parecchio l'incredulità, e non tanto per le orde di topi. Parlare di Requiem non è affatto facile anche perché, come visto nel precedente capitolo Innocence, la componente emotiva gioca un ruolo fondamentale e, come potete ben immaginare, varia da persona a persona.
Il “trasporto” all'interno di certe dinamiche narrative è dipendente dalla tipologia di opera e in un gioco story-driven come questo, in cui si fa molta leva sulla sensibilità dello spettatore, il tutto deve conciliarsi con una certa cura proprio per evitare che quanto narrato non venga preso sul serio.
A Plague Tale: Requiem non è un brutto gioco e lo premettiamo sia per rassicurarvi, sia soprattutto perché è la verità. Contiene però alcune criticità che pesano come macigni nonostante una direzione che ha cercato il più possibile di ampliare l'offerta ludica. Cominciamo da qui, da un gameplay rinnovato, più aperto e che permette di mettere in campo qualche strategia in più, senza però dimenticare la propria natura.
A Plague Tale è un figlio di The Last of Us, in cui i protagonisti interagiscono tra loro anche per superare piccoli ostacoli ambientali, in un contesto narrativo molto intimo. In Innocence abbiamo imparato come Amicia sia una ragazza letale con la sua fionda, in grado di colpire con estrema forza e precisione la testa dei malcapitati, aiutandosi nel frattempo con l'alchimia; suo fratello Hugo, che a questo punto conta più traumi che anni, ha invece un legame speciale con l’orda di topi che sta flagellando un'Europa piagata dalla peste.
Con queste premesse Asobo ha decisamente ampliato il bagaglio di possibilità per entrambi, anche se a conti fatti non di molto. Se un open world troppo grande spesso può divenire tedioso, alla stessa maniera un titolo story-driven, se troppo vincolato, può risultare poco intrigante. Se mancano sfide e ingegno con cui mettere in pratica tutti gli strumenti offerti al giocatore, andare avanti col pilota automatico sino alla conclusione può avvenire senza che ci si faccia caso e, quando ciò si verifica, sta alla caratterizzazione dei personaggi e alle vicende narrate tirarci fuori dall'impasse.
Fortunatamente il più delle volte Requiem riesce a intrattenere grazie a un'IA un po' più scaltra rispetto la precedente iterazione e alle abilità di Amicia, ora più matura e combattiva. Serve un po' di tempo per carburare ma quando si cominciano ad avere diversi strumenti a disposizione ci si trova di fronte a un Innocence con un po' più di “pepe”, anche grazie ad ambienti di maggiore complessità nel level design, che riescono a non far sentire il giocatore all'interno di un corridoio.
Il problema però rimane: è tutto troppo guidato, con un gameplay didascalico in cui c’è davvero poco per usare la fantasia. È come se in Requiem (e valeva ancora di più in Innocence) si possa vedere chiaramente la matrice del gioco, i diagrammi di flusso con cui ci si dilettava a scuola. Non ci si sente mai liberi di agire salvo rare eccezioni ed è questo che in parte spegne la magia. I nostri quattro elisir, ad esempio, hanno un uso estremamente specifico e alcuni di essi li si consuma solo perché sprovvisti di altro.
Sia chiaro, la natura del gioco è questa, eppure si fa fatica a entrare realmente nel suo mood. Anche quando si è in possesso della balestra, la nuova arma di Amicia, si avverte sempre come per poter compiere un'azione C, deve essere svolta prima l'azione A e B, in quest'ordine, con le stesse modalità, sempre e comunque. Non ci viene mai data la possibilità di variare sul tema e questo lo si nota soprattutto quando Asobo decide che da stealth game Requiem diventa un action, con Amicia che semplicemente non può schivare.
È questo il punto: la protagonista non può schivare e nemmeno saltare. Non può neppure colpire i nemici da accovacciata, per cui tutte le soluzioni che bisogna trovare per risolvere un problema in realtà sarebbero aggirabili attraverso un’animazione. Non di rado capita di trovarsi di fronte a un ostacolo largo appena 15cm e cercare soluzioni con le risorse a disposizione, consumandole quando basterebbe semplicemente scavalcare “letteralmente” il problema. Oppure, capita di essere colpiti dalla distanza perché costretti a sporgersi da un riparo, proprio perché Amicia non può far altro.
Qui si avvertono le prime dissociazioni citate a inizio della recensione e purtroppo non sono le uniche. C'è chi riesce a non far caso a tutto ciò, a immergersi all'interno di un'opera come questa, ma in A Plague Tale sono davvero tante le situazioni in cui bisogna sospendere l'incredulità, non potendo mai portarsi dietro una torcia, dovendo lasciare sul posto i coltelli o preferendo una fionda quando si hanno a disposizione spade e pugnali. Sono queste tante piccole cose a rendere Requiem difficile da godere appieno.
Come detto, tuttavia, se si vuole giocare solo per mandare avanti la narrazione, senza particolari pretese, il tutto scorre via fluido. Tendenzialmente basta rimanere nascosti nell'erba alta o dietro elementi dello scenario e aspettare il momento propizio per muoversi. Questi momenti possono però essere anche creati proprio con le risorse a disposizione che ritornano quasi interamente da Innocence.
Oltre la già citata balestra un'altra novità è la pece, in grado di potenziare per un breve periodo un fuoco già acceso o di creare zone infiammabili. Questi ingredienti possono essere utilizzati sia dalla fionda sia dalla balestra ma sempre entro vincoli ben precisi. A questo si affianca anche un nuovo sistema di perk secondari, abilità sbloccabili solo dal tipo di gameplay che stiamo esercitando. Divisi in tre istanze, man mano che avanziamo, il gioco tiene conto di come approcciamo gli scontri, modificando e adattando di conseguenza il comportamento di Amicia.
Ad esempio, se siamo bravi a non farci vedere l'esperienza stealth accumulata dalla protagonista potrà permetterle di muoversi più velocemente da accovacciata. In poche parole il gioco tiene traccia del modus operandi di Amicia, senza però particolari ripercussioni “etiche”. Qualunque cosa si faccia, a suo fratellino Hugo andrà bene così, quand’anche trucidassimo soldati che potevamo semplicemente ignorare.
Di Hugo finora abbiamo parlato poco ma è lui il vero protagonista di Requiem, un bambino di sei anni che ha visto più morti di Gohan di Dragon Ball alla stessa età, e legato a qualcosa di oscuro e misterioso, la Macula, che qui viene ulteriormente approfondita. Oltre a questo, però, Hugo possiede anche nuove abilità attive grazie al suo legame ancor più stretto con la tumultuosa marea di topi.
Il primo è una specie di sonar da utilizzare da fermo e in grado di mostrare i nemici nei paraggi, mentre l'altro, più interessante, è il controllo diretto dei topi, quasi una protesi del bambino. Tuttavia non bisogna abusarne perché Hugo può letteralmente perdere il controllo, portando tutti alla morte, letteralmente. In combinazione con le abilità di Amicia, dunque, tra spegnere e accende fuochi, si può indirizzare l’orda per ripulire l'area.
Nonostante l'età, Hugo non è più un bambino in senso stretto, avendo perso quell'”Innocence” nella precedente avventura. Il suo ruolo come portatore della Macula l'ha cambiato sensibilmente e, nonostante in alcuni momenti si lasci andare alla gioia e alla spensieratezza di un bimbo della sua età, il suo destino sembra segnato.
E qui ci addentriamo nel punto focale dell'opera, che vive del rapporto tra Amicia e Hugo l'elemento sicuramente migliore di Requiem. Nonostante qualche comprimario, in grado di supportarci anche nel gameplay, la centralità dei fratelli De Rune è vitale, non solo a livello intrinseco ma proprio per la narrazione.
Finora abbiamo discusso dei limiti del gameplay e di come questi possano causare qualche problema alla narrazione. Ma è pur vero che spesso basta creare un reale coinvolgimento per far passare i giocatori sopra ai propri difetti: in Elden Ring, ad esempio, è tutto così maestoso che qualsiasi problema passa in secondo piano. Ebbene, quanto mostrato in Requiem basta a far chiudere un occhio sui suoi limiti?
In una storia che ci vede coinvolti circa sei mesi dopo le vicende di Innocence, troviamo Amicia e Hugo profondamente cambiati, con nuove ambientazioni mediterranee che quasi lasciano intuire una miglior sorte, come se il peggio fosse passato. Amicia e Hugo assurgono in questo caso (e lo si scoprirà meglio nel corso dell'avventura) al ruolo di predestinati, in un ciclo di vita e morte ricollegato in qualche modo alla Peste di Giustiniano del VI secolo che colpì pesantemente Costantinopoli.
Il mistero dietro la Macula e il vero ruolo dei due protagonisti viene raccontato grazie a delle ottime cutscene che ora vedono l'ingresso del motion capture anche per le animazioni facciali, restituendo ai protagonisti delle emozioni più veritiere.
Asobo sa dove colpire e soprattutto sa come farlo, riuscendo a introdurre lo spettatore in una situazione ben più grande di quanto possa immaginare. È soprattutto il lato artistico a colpire, con scenari che ricordano quasi mondi alieni e qualche vezzo di prim'ordine.
L'orda di topi invece è decisamente inquietante, anche per motivi tecnici se è vero che si è passati dai 5.000 ratti di Innocence a 300.000 di Requiem, ricreando scene davvero spettacolari e anche memorabili.
A Plague Tale si chiama Requiem per un motivo preciso, in un climax finale che riesce nell'intento di far empatizzare coi protagonisti, strizzando l'occhio a un eventuale sequel che potrebbe però essere molto diverso da quanto visto finora.
Questo potrebbe essere uno dei classici casi in un cui l'emotività prende il sopravvento sull'analisi critica, perché davvero in certi momenti Amicia e Hugo sono incredibili, e viene voglia di abbracciarli nonostante lo schermo si frapponga tra noi e loro. Eppure, non basta.
Nonostante sia facile farsi coinvolgere da quanto viene raccontato in Requiem, i problemi già citati si sposano anche con alcune scelte narrative un po' azzardate, qualche deus ex machina di troppo e un amalgama che fatica a stare assieme per tutte le 16 ore necessarie al suo completamento. In generale il gioco funziona e probabilmente qualcuno piangerà nel finale, ma è anche vero che un'opera dev'essere valutata nel suo insieme e non solo in alcuni suoi momenti, belli o brutti che siano.
L'unico aspetto che certamente accontenterà tutti è la componente tecnica. Qui possiamo dirlo con certezza: Requiem è uno splendore, estremamente dettagliato in tutte le sue parti. Giocato su una RTX 3060 il titolo ha tenuto quasi sempre i 60FPS a una risoluzione di 1440p con DLSS impostato su bilanciato, rendendo meno tragica la richiesta di una RTX 3070 per girare a 1080p.
Tuttavia non abbiamo potuto testare il gioco col ray-tracing attivo poiché disponibile solo alla release finale per cui, indubbiamente, le prestazioni caleranno. Qualche problema va comunque segnalato, soprattutto quando i topi superano un certo numero in luoghi chiusi, con alcuni frame persi per strada e qualche caricamento di troppo, anche tra zone che dovrebbero essere adiacenti.
Sul fronte dell’audio si è svolto un gran lavoro sia sul sound design che sulle musiche, sempre dirette da Olivier Derivière, che ha creato una colonna sonora sfaccettata soprattutto nelle parti più auliche, in cui sembra di rivivere le atmosfere di 2001: Odissea nello Spazio.
A Plague Tale: Requiem rimane un buon titolo, con un gameplay solido e un duo in grado di tenere per mano il giocatore sino ai titoli di coda, conducendolo attraverso al tumulto di emozioni che Asobo è riuscita a orchestrare con sapienza. Tuttavia i troppi limiti imposti spezzano spesso l'immersione, rompendo il legame empatico con la tragedia che l'Europa medievale attraversa nel gioco.
Manca infine l'effetto “novità”, cosa di cui invece aveva beneficiato Innocence al suo debutto, capace di far chiudere un occhio sul gameplay vincolato e guidato per fini narrativi. Limiti che oggi rovinano la godibilità di una storia anche ben raccontata, finendo come un cane che si morde la coda. In questo caso, un topo.