A Tale of Paper - recensione
Un origami dal coraggio leonino.
Line è un foglio di carta e come tutti i fogli di carta è soggetto a spiegazzature, bruciature, a volare via con un refolo di vento o a venire calpestato e stracciato. Line però ha un destino diverso da quello di tutti gli altri fogli di carta, e la sua avventura lo porterà a scoprire che anche negli esseri più improbabili può nascondersi una scintilla speciale.
A Tale of Paper è una fiaba dark che strizza l'occhio ai film Pixar e a vari titoli di successo, ha vinto il premio della giuria nella quinta edizione dei PlayStation Talent Awards e, dopo averci giocato, possiamo anche capire il perché.
All'apparenza sembra un clone di Little Nightmares, con un pizzico di Limbo e una mezza dose di Inside: tanta atmosfera e il gameplay lineare tipico dei platform-adventure di questi ultimi anni, insomma. In parte è così, la struttura è quella, ma a fare la differenza in questa occasione sono i poteri del protagonista, Line appunto. Esso può infatti trasformarsi in una miriade di oggetti diversi sfruttando la tecnica degli origami e ciò permette ai giocatori di divertirsi a scoprire quale delle sue molte forme sia la più adatta per superare ogni singolo ostacolo.
A differenza dei giochi citati e dei tanti che gli assomigliano, in A Tale of Paper la navigazione non è legata unicamente allo scorrimento laterale della telecamera. Il protagonista può infatti muoversi anche in profondità in ambientazioni completamente tridimensionali, anche se l'esplorazione rimane comunque abbastanza lineare.
Quanto appena descritto in teoria avrebbe dovuto dare ulteriore spazio di sviluppo a sezioni platform ed enigmi ambientali ma l'opportunità non è stata sfruttata a dovere. Il design delle prime e il livello di difficoltà dei secondi purtroppo sono purtroppo figli dell'inesperienza degli sviluppatori, che non se la sono sentita di osare e sono rimasti fin troppo ancorati agli stereotipi del genere.
L'interazione con le ambientazioni di gioco è fin troppo semplice e poggia su due meccaniche principali. La prima viene data per scontata dalla natura stessa del protagonista, chiaramente soprannaturale. Line può usare il suo potere innato per aprire serrature, manipolare semplici congegni, far saltare viti di sicurezza e molto altro ancora. Per farlo basta la pressione di un tasto e la materia grigia richiesta è prossima allo zero.
Un po' più di elucubrazione in più è necessaria per superare gli ostacoli "naturali", grazie alle molteplici trasformazioni del protagonista. Queste vengono guadagnate con cadenza regolare, come una sorta di lezioni zen che insegnano a Line il modo di piegarsi per assumere le forme Origami necessarie al momento. Trasformandosi in aeroplano di carta potrà planare per breve tempo, appallottolandosi può entrare in pertugi particolarmente angusti, mentre piegandosi a forma di rana sarà in grado di raggiungere altezze e distanze superiori.
A volte tali poteri vanno combinati per superare le sezione più complesse, ma è proprio qui che A Tale of Paper mostra parte dei suoi limiti. Un level design poco ispirato mortifica tali trasformazioni, rendendole spesso troppo meccaniche.
Anche la presenza dei "nemici" è resa piuttosto banale dalla loro prevedibilità. L'idea di rendere pericolosi oggetti che nella realtà quotidiana in realtà non lo sono è buona, anche se non particolarmente originale, ma per farli diventare una versa minaccia sarebbe necessaria un I.A. quantomeno sufficiente.
La combinazione dei poteri Origami invece è più che sufficiente per aver ragione di tutti quelli che si incontrano, senza peraltro spremere più di tanto le meningi. Il problema più serio è rappresentato dagli ostacoli fissi, ovvero le sezioni platform. Una volta tanto non tiriamo in ballo i controlli, che si sono dimostrati invece piuttosto reattivi. Ciò che rende ostiche buona parte di queste fasi di gioco è la difficoltà nel determinare la profondità dei salti.
È un problema comune a molti giochi di questo tipo. Molti lo hanno risolto posizionando in modo diverso le telecamere o ancora più semplicemente aggiungendo un'ombra che desse al giocatore modo di capire a che distanza dagli ostacoli si trovava l'eroe di turno. Specialmente quando si assume la forma di rana, praticamente indispensabile in tutte le fasi platform, questi accorgimenti finiscono di essere efficaci in quanto tale trasformazione si muove a balzelli più o meno ampi che rendono molto difficile il posizionamento. Alla lunga ci si abitua alle sue "misure" ma ciò non toglie che alcune sezioni rimangano a dir poco irritanti.
Il che è un vero peccato perché l'impatto scenico di A Tale of Paper non è niente male. Buona parte delle location in cui il povero Line si muove sono fiocamente illuminate dai suoi occhi e da poche fonti di luce che donano al tutto una suggestiva atmosfera. Molto interessante anche il modo in cui il gioco racconta la sua storia. Non usa cutscene e non esistono dialoghi esplicativi, molto più semplicemente (e originalmente) il gioco dispensa indizi sul background narrativo lungo tutto il percorso del protagonista.
L'attenzione al dettaglio è fondamentale per mettere insieme i pezzi del puzzle, molti dei quali sono nascosti nei collezionabili sparsi in giro, il cui disegno verrà svelato poco prima della fine. Per arrivarci non dovrete attendere molto visto che è possibile portare a termine A Tale of Paper abbondantemente prima dello scoccare della seconda ora.
Se ci seguite da un po' sapete bene che Eurogamer non misura il valore di un videogioco in base alla sua durata. In passato abbiamo dato voti altisonanti a produzioni anche piuttosto brevi e, al contrario, penalizzato mastodonti che avevano ben poco da dire. Purtroppo non possiamo premiare il gioco Open House Games come avremmo sperato a causa dei difetti strutturali descritti nei paragrafi precedenti, e di un gameplay le cui potenzialità sono state sviluppate solo in minima parte.