Adam's Venture
Toccata e fuga.
Ogni videogioco ha una propria anima: chi punta maggiormente alla grafica, chi al gameplay, chi alla trama. È difficile dare una ricetta univoca che possa essere una promessa di successo, così come è ancora più difficoltoso capire se questo o quel gioco possa rientrare nelle nostre corde prima di averlo assaporato a fondo.
Con “Adam's Venture: alla ricerca del Giardino Perduto”, fortunatamente il problema non si pone poiché dopo averlo giocato per due ore, non solo ne saprete abbastanza per poter dare un vostro giudizio con cognizione di causa ma addirittura, a meno che la vostra carta d'identità non riporti un anno di nascita successivo al 2005, sarete arrivati al termine di questo titolo targato Vertigo Digital Entertainment.
Ora, dopo questa rivelazione shock e risistemati comodamente sulla vostra bella sedia, cerchiamo perlomeno di capire se Adam's Venture sia paragonabile a un fuoco di paglia o se invece sappia essere virtuoso nella sua brevità. Una cosa però diciamola pure: se, come sembra sia nei piani della software house olandese, questo sarà il primo episodio di una serie di avventure aventi come protagonista il giovane emulo di Indiana Jones, non è che il futuro sia proprio tutte rose e fiori...
Le premesse d'altro canto sarebbero stuzzicanti: sulla falsariga della tradizione cominciata anni fa con l'uomo con la frusta e proseguita in ambito videoludico con Lara Croft, il motore delle vicende è rappresentato dal ritrovamento di un reperto archeologico di inestimabile valore, carico di quelle promesse che solo il mistero è in grado di dare. Arrivati sulla soglia dell'ipotetico ingresso dell'Eden, il nostro compito sarà riuscire a varcare i portoni che sembrano precludercene l'accesso: niente male, considerando che il tema cattolico/cristiano raramente è protagonista nel mondo dei videogiochi.
Già al momento di entrare nel vivo dell'azione si inizia però a subodorare che qualcosa non torna: i controlli infatti prevedono un utilizzo praticamente esclusivo della tastiera, con buona pace del mouse. E se anche si potrebbe chiudere un occhio sulla faccenda (Grim Fandango docet), quando a tutto ciò viene affiancata un'interazione con l'ambiente praticamente nulla, il rischio è che ci si inizi a porre diverse domande esistenziali piuttosto che abbandonarsi al piacere della narrazione: chi sono, da dove vengo e soprattutto, cosa sto facendo?
Durante il vostro peregrinare alla ricerca del mitologico Eden non potrete infatti uscire dal seminato se non quando espressamente previsto dagli autori e ogni velleità esplorativa verrà limitata al proseguire da un punto A a un punto B, ammirando i virtuosi giochi di luce della vostra torcia e le decine di muri invisibili che vi impediranno di fare una fine prematura.
Questa continua spola da una stanza all'altra non richiederà poi uno sforzo celebrale degno di tal nome: praticamente zero enigmi che vadano al di là del binomio “premi quel pulsante” o ”metti in ordine tre frasi”, con conseguente effetto soporifero in agguato. L'unica sfida degna di nota arriverà, ironia della sorte, alla fine della storia, quando vi sarà richiesto di dare segnali di vita risolvendo il meccanismo che vi aprirà le porte del giardino proibito.