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Alita: angelo della battaglia - recensione

C'è sempre un'anima in un guscio.

Poche creazioni frutto della mente umana sono affascinanti quanto i cyborg, organismi formati da esseri organici sui quali sono innestate parti biomeccaniche.

Già fascinosa illusione dei Futuristi, sono da sempre stati visti come mezzo per superare gli ostacoli insiti nell'esplorazione spaziale, macchine costruite per avere il massimo di un essere umano: la maggiore forza, l'inarrestabilità davanti a ogni ostacolo, il ricambio delle parti guaste e, soprattutto, la mancanza assoluta di sentimenti che rendono la "macchina-uomo" così volubile, così fallibile, così delicata.

I cyborg (termine creato nel 1960 da Manfred Clynes e Nathan S. Kline) sono centrali nella letteratura cyberpunk, corrente letteraria nata negli anni '80, ricchissima di intriganti contaminazioni politico/sociali anche in tutte le sue successive varianti, grazie a scrittori come William Gibson, Bruce Sterling, Asimov, discendenti diretti di Huxley, Orwell, Ballard, Blake, Borroughs e ovviamente di Philip K. Dick, che hanno esplorato il tema della tecnologia che si espande nel corpo umano.

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Sono stati protagonisti di una grande quantità di film, alcuni bellissimi, indimenticabili, capaci di stimolare riflessioni preziose su noi stessi, sul nostro prossimo, sulla vita e sulla morte. E sono stati particolarmente amati dalla cultura giapponese con storie indimenticabili come Ghost in the Shell, Akira, Kyashan, nomi noti anche ai profani, e appunto Alita: angelo della battaglia, di Yukito Kishiro, manga del 1991, sviluppato a più riprese fino al 2014. All'incirca nel 2000 Guillermo del Toro convince Fox e James Cameron a interessarsi al progetto ma gli impegni del regista si accavallano, primo di tutti Avatar, e così ci ritroviamo nel 2018, quando alla regia sopraggiunge Robert Rodriguez, che dai tempi del Mariachi ne ha fatta di strada.

La sceneggiatura, scritta dallo stesso regista insieme a James Cameron e Laeta Kalogridis (Altered Carbon, Shutter Island, I guardiani della notte), ci fa incontrare Alita come un moncone di bambola rotta, buttata in una discarica, nella quale pazientemente si aggira il Dottor Ido (un bonario Chistoph Waltz), in cerca di pezzi per poter riparare a prezzi molto democratici tutte le ibride creature che popolano il pianeta di Iron City, ridotto a una discarica brulicante di poveracci dove vige la legge del più forte e i disgraziati vengono razziati dai più forti.

Al di sopra della sporcizia, del caos, della violenza di Iron City, galleggia indifferente Salem, la città degli eletti, un empireo dove tutto è perfetto, al quale nessuno può ascendere a meno di uscire vittorioso dalle mortali gare di Motorball, in cui i contendenti si sfidano fino alla morte.

Una delicata bambola rotta.

Despota assoluto di Iron City è Vector (uno stilosissimo Mahershala Ali), che strumentalizza per i suoi fini le capacità della Dottoressa Chiren (una stupenda Jennifer Connelly). Ma al di sopra di tutti, da Salem, si muove una forza misteriosa, Nova, che per comunicare come un oracolo parla per bocca di diversi personaggi e manovra tutti come suoi burattini.

Alita, riparata e riportata a nuova vita, del tutto immemore di ciò che poteva essere stata in precedenza, ignara degli interessi che ha suscitato, affronterà un doloroso percorso di formazione, che passerà anche attraverso un sentimento d'amore nei confronti di un umano, Hugo (l'incolore Keenan Johnson), un ragazzo di strada dai loschi traffici. Ovviamente, passerà anche attraverso la presa di coscienza delle proprie incredibili capacità di combattente.

Tutto ciò la arricchirà, portandola inevitabilmente alla sofferenza. Come tutti questi personaggi interagiranno, è inutile anticiparlo. Ben scelto il cast, dalla minuscola Rosa Salazar (vista in Bird Box), su cui è modellata la protagonista, con la CG a enfatizzare gli occhioni da manga dell'originale, passando per un Christoph Waltz di inattesa, convincente bontà; e poi Mahershala Ali in un ruolo che gli è congeniale, il gangster di classe, e Jennifer Connelly dalla rarefatta eleganza, e infine Ed Skrein, vanesio e malvagio cyborg.

Nessuno mette Alita in un angolo (cit.).

Non esiste film di questo genere che non contenga in sé tracce di altri film precedenti, e in questo Alita non fa eccezione, ma l'insieme è assai ben impastato. La perfezione formale è assoluta, la fusione fra live action e computer grafica è perfetta, i cyborg che si aggirano per i peggiori bar della città sono accuratamente caratterizzati, l'architettura della fatiscente megalopoli è ben strutturata, le gare di Motorball sono di vertiginosa velocità, i combattimenti coreografati con raffinatezza.

Alla fotografia troviamo Bill Pope (la serie Matrix), al comparto che si è occupato del "look" del film è al lavoro un manipolo di personaggi, tutta gente del giro dei film precedenti di Rodriguez e di Tarantino. La colonna sonora originale è di Tom Holkenborg (aka Junkie XL, quello di Mad Max, Batman vs. Superman, Tomb Raider), tutti al servizio di un film girato in 3D nativo con (si favoleggia) un budget da oltre 200 milioni di dollari. Stranamente (o forse proprio dato il peso della produzione), la mano di Rodriguez è indistinguibile.

Nel giudizio conclusivo di un film pesa sempre molto il finale. Che qui purtroppo si tronca in un brutale cliffhanger, spezzando quel legame emotivo che si poteva essere instaurato fino a quel momento con lo spettatore. Un legame non troppo corposo, va detto, perché Alita è un film che mira sì a non scontentare i fan del manga originale (ardua impresa), ma anche e sopratutto a un target nuovo e non necessariamente acculturato.

Il paradiso che attende.

Quindi gli appassionati della tematica cyborg qui non troveranno troppo pane per i loro denti, abituati a trattamenti di maggior spessore drammatico. Non c'è qui traccia degli eterni interrogativi legati a questo argomento, Alita sta seguendo il filo che la ricondurrà alle sue origini, non ci sono i noti strazianti dilemmi (conta più il ghost o lo shell? Chi dei due influenza, limita o aiuta l'altro?), c'è solo una creatura che va alla ricerca di se stessa e intanto impara a flettere i propri muscoli.

Ma forse tutto si svelerà nella sua interezza nel prossimo episodio, se mai ci sarà: Cameron e il suo fidato socio Jon Landau hanno impegni con Avatar fino al 2025.