The Witcher: abbiamo incontrato lo scrittore Andrzej Sapkowski - intervista
Odia davvero i giochi come si dice in giro?
Andrzej Sapkowski ha già una certa reputazione e non è una passeggiata confrontarsi con lui. Ha inventato Geralt, i witcher, Triss, Ciri e l'intera storia: tutto quanto è venuto fuori dalla sua testa. Ha vinto numerosi premi e il suo lavoro è rispettato, soprattutto in Polonia. Più d'una volta l'ho sentito venire definito come il Tolkien polacco. Ho anche sentito dire però che si tratti di una persona difficile e sto andando a incontrarlo.
"Buona fortuna, Robert. Non è la persona più piacevole del mondo…", mi avverte un follower su Twitter. “Buona fortuna, ne avrai bisogno”, dice un altro.
Sapkowski sembra non gradire particolarmente i videogiochi ma per quanto ci provi non può fuggire da essi. Ovunque vada le persone gli chiedono di parlare dei giochi di The Witcher, sviluppati da CD Projekt Red. Li ha giocati? Lo hanno ispirato? Sarà eternamente grato allo studio per la visibilità ottenuta? È come scuotere un nido di vespe. Questa intervista non promette molto bene.
Mi aggiro nella sezione dei gialli di una libreria Waterstones (noto rivenditore di inglese, ndR) a Birmingham, quando una voce dal forte accento polacco dietro di me mi dice che Andrzej Sapkowski è arrivato.
Tutto è iniziato nel 1985. Sapkowski a quel tempo era un venditore sempre in viaggio che trattava pellicce. Aveva 38 anni, una laurea in economia e parlava diverse lingue. La scrittura non è stata la sua prima scelta nella vita, tuttavia adorava il fantasy e divorava tantissimi libri durante i suoi viaggi. Ogni anno partecipava ad una fiera di pellicce a Montréal e la sua prima tappa, una volta arrivato in città, era una libreria. “Avete il nuovo Cronache di Ambra di Roger Zelazny?", avrebbe chiesto senza fiato. "Sì? Bene! Benissimo!”. Ma non sa dire perché un anno abbia deciso di partecipare ad una competizione di brevi racconti sulla rivista polacca Fantastyka.
Sapkowski sapeva quello che voleva fare, ossia impressionare davvero il pubblico polacco, ma aveva solo 30 pagine per farlo. “Ho scritto lettere d'amore più lunghe!”, mi dice ora, ridacchiando. “Non puoi immaginare quanto fossi famoso e quanto abbia ottenuto. Credetemi, loro amano le parole. Ma è stato molto difficile per me essere confinato in quelle 30 pagine."
Il fantasy classico non sarebbe bastato. “Che fare?”. Una fiaba, decise. Reinterpretare una fiaba della tradizione polacca e renderla reale. Prendiamo ad esempio il tradizionale racconto polacco del povero calzolaio che uccide un drago. L'uomo riesce in un'impresa che neanche i soldati riuscivano a compiere, ingannando il drago e spingendolo a divorare un agnello ripieno di zolfo. Il drago è così costretto a bere tantissima acqua del fiume vicino e, nel tentativo di placare il violento incendio nel suo ventre, esplode.
“È una menzogna”, dice Sapkowski. “I poveri calzolai fanno belle scarpe, non uccidono mostri. I soldati e i cavalieri? Sono degli idioti in genere. E i preti vogliono solo soldi e f*****e gli adolescenti. A questo punto, chi uccide i mostri? I professionisti. Non chiamate degli apprendisti calzolai, chiamate dei professionisti. Perciò li ho inventati”.
Chiamò la sua storia Wiedzmin, un titolo poi tradotto come The Witcher, e la mandò alla rivista Fantastyka. “Ho aspettato un anno per i risultati”, dice. “Pensavo: ho perso, ho sicuramente perso, nessuno ha notato la mia storia, la considerano pessima. Che cosa devo fare?”. Lui però non aveva perso, Wiedzmin aveva quasi vinto e da quel momento il fantasy avrebbe migliorato la sua reputazione.
"A quel tempo, in Polonia, il fantasy era considerato come qualcosa per bambini stupidi che non riuscivano nemmeno a masturbarsi adeguatamente”, mi spiega. “Perciò hanno detto: la storia è la migliore tra quelle che hanno partecipato al concorso, ma si tratta di fantasy, quindi diamogli il terzo posto. Ma si sa, i giudici sono giudici e sono per la maggior parte stupidi e per lo più prevenuti. Il pubblico però… l'impatto di The Witcher sui lettori polacchi è stato enorme, davvero enorme. E tutti dicevano: Ancora! Ancora! Ancora! Ancora!”.
"Non ne avevo intenzione, credimi. Non avevo intenzione di scrivere la seconda storia. Ma dopo un tale successo e questa enorme approvazione, che potevo fare? Dovevo farlo! I fan lo stavano chiedendo e nel momento in cui c'è una richiesta, bisogna necessariamente soddisfarla”.
Ha scritto racconti più brevi, “sistemati” come li descrive lui, raccolti e pubblicati nei libri "La spada del destino" (1992) e "Il guardiano degli innocenti" (1993). Il sostegno aumentò, così Sapkowski decise di provare a fare qualcosa senza precedenti. “I fan polacchi, il mercato polacco e i lettori polacchi meritano qualcosa che assomigli ad una grande saga fantasy”, ha detto a se stesso. “Perché non dovrebbe essere un autore polacco a scrivere una saga fantasy?”.
Tutti risero. “Tutti”, dice. Non credevano che un editore avrebbe messo un cognome polacco su un romanzo fantasy, aspettandosi di riuscire a venderlo. SuperNowa invece lo fece e nel 1994 Il sangue degli elfi, il primo libro della saga di The Witcher, uscì sul mercato.
Sapkowski, non volendo che i fan aspettassero più di un anno per una nuova storia (si ricorda ancora di quanto fosse rimasto deluso una volta a Montréal, quando in libreria non aveva trovato il nuovo libro di Zelazny che desiderava), ha fatto uscire un nuovo romanzo ogni anno come un orologio. Nel 1999, la saga di The Witcher era completa. Se solo George R. R. Martin scrivesse così velocemente! “Sai che lo conosco di persona?”, risponde Sapkowski. “Siamo amici. Ci conosciamo. Beviamo insieme quantità di birra inimmaginabili”.
Sapkowski e la sua saga di The Witcher erano famosi anni prima che CD Projekt ne avesse a che fare. In effetti CD Projekt non è stata neppure la prima a tentare di realizzare un gioco di The Witcher. Adrian Chmielarz (Bulletstorm, The Vanishing of Ethan Carter) e lo studio Metropolis hanno avuto infatti questo onore. Ho parlato a lungo con Chmielarz riguardo al gioco di The Witcher che non è mai stato realizzato. Il gioco ottenne sia un publisher che degli screenshot, ma era troppo ambizioso e lentamente morì.
CD Projekt è arrivata a curiosare nei primi anni 2000, interessata ad un'altra storia che avevo scritto precedentemente in modo dettagliato. Sapkowski non ricorda come sia andata la conversazione, ricorda però di aver acconsentito alla realizzazione del gioco. “Beh, mi hanno portato un bel mucchio di soldi!”, dice. È lo stesso motivo per cui aveva detto di sì a Chmielarz. “Quello che mi aspettavo da un adattamento: un bel mucchio di soldi. Questo è quanto”.
Sapkowski non ha rivelato quanti soldi gli sono passati per le mani. Chmielarz, dal canto suo, ha detto di aver pagato “un bel po' di soldi per la Polonia del 1997” e il co-fondatore di CD Projekt, Marcin Iwinski, ha parlato di un'offerta che “non corrispondeva ad un'enorme quantità di denaro”.
Sapkowski continua: "Ho accettato che CD Projekt scrivesse una storia completamente nuova usando i miei personaggi e l'ontologia del mio folle mondo. Avrebbero creato storie completamente nuove. Così ho detto: perché no? Vi prego, davvero, fatemi vedere quanto siete bravi”.
Semplicemente pensava che non sarebbe stato un granché. Riteneva che i giochi fossero stupidi, sin da quando si era trovato a sparare a dei marziani su una vecchia console collegata ad una TV. “Ok, giochiamo a carte o beviamo della vodka”, ha detto allora, “ma uccidere marziani è stupido. E la mia posizione continua ad essere quella: è stupido”.
Così ha lasciato tutto nelle mani di CD Projekt Red. Non è passato a visitare lo studio, non è stato consultato, non gli importava. Lui era Andrzej Sapkowski, chi erano loro? “La gente mi chiede: i giochi ti hanno aiutato? Io rispondo: sì, nella stessa misura in cui io ho aiutato i giochi. Non sono stati i giochi a promuovere me: io ho promosso i giochi con il mio nome e i miei personaggi”.
Quando nel 2007 è uscito il primo The Witcher, le cose sono iniziate a cambiare. Gli editori lo hanno visto come un modo per raggiungere nuovo pubblico, così hanno ripubblicato la serie con le immagini e i commenti relativi al gioco. Questo ha confuso le acque, rendendo meno chiara la distinzione tra il gioco e l'autore. Sicuramente non si trattava di un problema in Polonia, dove Sapkowski era un nome conosciuto da tutti, ma per i lettori in Inghilterra, dove l'autore non è stato pubblicato fino al 2008, “è stato fottutamente negativo per me”, dice.
Quando la notorietà di CD Projekt Red è iniziata a crescere, ovvero ogni volta che veniva pubblicato un gioco, il problema è peggiorato. Date un'occhiata alle copertine dei libri inglesi e lo potrete vedere voi stessi. Si può facilmente immaginare perché qualcuno abbia per sbaglio chiesto a Sapkowski se fosse il tizio che ha scritto i libri basati sui videogiochi. “È accaduto”, dice. “È accaduto. Mi ricordo ancora la mia reazione: conosco molte parolacce e le ho usate tutte, in diverse lingue”.
"Tra 20 anni”, dice “qualcuno chiederà: "ah sì, il gioco di The Witcher e chi è l'autore?”. Nessuno lo saprà. “Qualcuno”, diranno. Ho come l'impressione che questa sia la sua più grande paura.
Si può comprendere la sua frustrazione ma anche la sua confusione. Ma non è meglio considerare tutto questo come acqua passata se comparato ai soldi che si è fatto con le vendite dei giochi di The Witcher? Purtroppo no perché, e qui sta la ragione del costante peggioramento della sua situazione, non ha ottenuto niente.
"Sono stato abbastanza stupido da vendere i diritti in toto”, dice. “Loro mi avevano offerto una percentuale sui loro profitti. Ho risposto: no, tanto non ci sarà nessun profitto, datemi ora tutti i miei soldi! L'intero importo. È stato davvero stupido da parte mia. Sono stato così stupido da lasciare tutto nelle loro mani perché non credevo nel loro successo. Ma chi poteva prevederlo? Io no”.
Non se l'è comunque presa con i risultati di CD Projekt Red. Per molti versi non poteva desiderare uno studio migliore. Diamo a Cesare quel ch'è di Cesare. “Il gioco è stato realizzato molto bene”, dice “e si meritano tutti i benefici che ne derivano. Se lo meritano. Il gioco è perfetto, davvero ben fatto”.
Non si rifiuta di firmare la copia di un gioco di The Witcher, basterà portargliela e avrete un autografo. “Lo faccio”, dice. “Prima di tutto perché, quando le persone vengono da me per ricevere un autografo, li considero fan, quindi se arrivano e mi presentano una copia del gioco da firmare, cosa dovrei dire? Per favore vattene, non te lo firmerò? Sarebbe molto poco educato”.
Chi lo sa? Nel silenzio famelico che ha seguito The Witcher 3: Wild Hunt, molti nuovi fan potevano scoprire il lavoro di Sapkowski e il suo nome poteva finalmente prendere il volo e essere conosciuto da tutti. Ma l'ironia è che Sapkowski si trovava nella libreria Waterstones di Birmingham un venerdì sera, in compagnia di decine di persone, per lanciare la traduzione inglese di un libro che aveva scritto 18 anni prima, questo mentre il mondo di The Witcher da lui inventato non era mai stato così famoso in tutto il mondo, il che fa un certo effetto.
Sapkowski in molti casi è stato all'altezza della sua reputazione, ma in molti altri è riuscito a sorprendermi. Contrariamente a quanto si crede, Sapkowski afferma in realtà di non odiare in assoluto i videogiochi. “Non è che non mi piacciano o che li disprezzi”, dice. Aspetta, ma non avevi detto che i giochi erano stupidi? “Non li gioco semplicemente! Ma non ho niente nei confronti dei giochi, non ho niente contro i giocatori. Assolutamente niente”.
È anche più divertente di quanto mi aspettassi, esuberante quanto bellicoso. Racconta barzellette come se le avesse già raccontate milioni di volte prima, ma continua a farlo. Vuole divertire, come suppongo dovrebbe fare un romanziere. Altrettanto humour scorre nei suoi lavori e di conseguenza nei giochi. Questo umorismo lo caratterizza proprio come persona. Molti dei suoi commenti sembrano così severi sulla carta perché sono diversi dal modo in cui lui li esprime, con una sorta di cattiveria teatrale, un bastian contrario polemico, se preferite. Oserei dire che ci sono momenti in cui sembra persino amichevole.
"Quando ho inventato The Witcher e venduto il mio primo romanzo al pubblico avevo 38 anni. Adesso ne ho 69. Tutte queste emozioni… non sono più un adolescente”, dice. “Posso giudicare le emozioni che provo. Posso dire: sì, me lo sono meritato, è stato legittimo. E questo non mi dà il diritto di andare in Vaticano per autoproclamarmi santo”.
Guardando al futuro, per quest'anno dovrebbe essere previsto il lancio a livello mondiale di un film di The Witcher, anche se i dettagli non sono ancora stati rivelati. Sapkowski sostiene di conoscere il nome di un attore ad esso collegato, che presumibilmente avrà un ruolo importante, forse lo stesso Geralt, anche se non ha voluto dirci nient'altro.
Inoltre è prevista la traduzione in inglese di un altro romanzo di The Witcher, "La stagione delle tempeste", una storia autoconclusiva uscita in Polonia nel 2013 (già tradotta in italiano nel 2016, ndR). Possiamo dunque aspettarci che alcuni degli altri lavori di Sapkowski, in particolare l'acclamata Trilogia degli Hussiti, possano prima o poi essere tradotti.
E forse, e soltanto forse, Andrzej Sapkowski potrebbe avere un'altra storia di The Witcher da raccontare. “Sì, perché no?”, dice. “Ne scriverò un'altra, lo farò”.
"Lo farai davvero?”, chiedo.
"Assolutamente".