Ant-Man and The Wasp - recensione
L'efficienza di una formica, l'efficacia di una vespa.
L'equilibrio su cui si regge Ant-Man and The Wasp è precario, sottile, pericolante. Eppure non viene mai meno e tiene in piedi uno dei film più rischiosi e delicati dell'interno universo cinematografico Marvel, un progetto costantemente in bilico e a rischio crollo non certo a causa del cast coinvolto, né per il tema che sviluppa, né tanto meno per la caratura degli eroi tirati in ballo.
Il problema è del tutto estraneo al lungometraggio di per sé, eppure mai come in questo caso influente, impattante, determinante ai fini di una corretta analisi di quanto visto. Non è facile, del resto, essere la prima produzione della Casa delle Idee a debuttare al cinema dopo Infinity War, capolavoro già entrato nei libri di storia, capace, da solo, di riscrivere gli standard del genere di riferimento. Il contraccolpo, soprattutto per il pubblico meno avvezzo ai continui cambi stilistici e nei toni propri del fumetto, avrebbe potuto spezzare qualsiasi entusiasmo, eccitazione, attesa.
Del resto, diciamocelo, soffermandoci sulla sinossi di Ant-Man and The Wasp, il salto, concettuale e dimensionale, è effettivamente gigantesco. Passare da una battaglia su scala galattica, a quella che sembra una scaramuccia tra eroi di serie B, potrebbe effettivamente scoraggiare chiunque.
Eppure, un po' come accaduto con Spider-Man: Homecoming, la riduzione del campo di battaglia, l'abbassamento dei toni, se attenua l'epicità che emana l'avventura, dall'altra ha il piacevolissimo vantaggio di avvicinare la storia allo spettatore, di coinvolgerlo più direttamente ed intimamente.
Se nel primo film dedicato ad Ant-Man si finiva per fare il tifo per un papà un po' sfortunato, un po' incapace, questa volta ci si scopre affascinati dalla storia d'amore senza tempo, né confini che lega il Professor Pym, interpretato da un ispiratissimo Michael Douglas, alla moglie, l'originale Wasp, scomparsa ormai da decenni, inghiottita nel regno quantico durante una missione di cui abbiamo già scoperto i drammatici risvolti proprio nel prequel.
La trama, così come l'inserimento nell'intreccio del villain di turno, ruota attorno a questa vicenda familiare, con il povero Scott Lang a recitare la parte di chi, per una volta, vorrebbe fare la cosa giusta, giusta per lui e sua figlia quantomeno, ma che si trova invischiato in grossi guai per riconoscenza nei confronti di Pym, ma soprattutto per riconquistare fiducia e cuore della bella Hope van Dyne, con la quale sembrava potesse nascere una relazione, almeno stando a quanto visto nella pellicola originale.
La forza di Ant-Man and The Wasp, dicevamo poco sopra, consiste proprio nella sua capacità di creare un sottile equilibrio tra le istanze supereroistiche, alimentate da una regia sempre all'altezza della situazione, e quelle legate allo sviluppo dei personaggi, aspetto non sempre curato con la dovuta attenzione almeno in parte delle produzioni Marvel.
Quando Ant-Man e Wasp non sono intenti a salvare il (loro)mondo, tra inseguimenti per le strade di San Francisco e combattimenti in laboratori iper-tecnologici, il terzetto composto da Scott, Pym e Hope danno prova di saper reggere la scena sia quando c'è da scavare affondo nel dramma che ha strappato la povera Janet dall'amore della figlia e del marito, sia quando si tratta di creare qualche siparietto comico, spesso e volentieri con l'azzeccatissima partecipazione di Michael Peña, nuovamente nei panni di Luis, a suo agio nell'interpretare un personaggio ad un passo dal diventare una scialba macchietta, invece perennemente in grado di divertire, proprio perché si tiene ben lontano dall'eccesso.
Grosso del merito, soprattutto in chiave comica, va riconosciuta anche alla sceneggiatura, intelligente, mai demenziale, pervasa da un tenue retrogusto che ricorda certe pellicole degli Anni 90. Laddove gli Avengers indicano e battono il sentiero dei cinecomic che verranno, Ant-Man and The Wasp, pur con minor coraggio e personalità rispetto al prequel, procedono a ritroso, recuperando il feeling, le atmosfere dei migliori action di due decenni fa, quelli che, per l'appunto, non rinunciavano mai ad un pizzico di ironia.
Tra giochi di parole e piccoli equivoci, spicca naturalmente l'interpretazione di Paul Rudd, che pur non godendo della stessa fama di Chris Pratt e Ryan Reynolds, non esce affatto ridimensionato dal confronto, inevitabile, con Star Lord e Deadpool, altre icone "comiche" della Marvel cinematografica. Nel suo sguardo sincero, nelle sue espressioni ora divertite, ora lievemente terrorizzate, c'è ancora il padre apprezzato nel prequel, al quale si aggiunge l'uomo, finalmente l'uomo, in grado di rischiare tutto, pur di aiutare, pur di meritarsi l'appellativo di eroe.
Manca un pizzico di coraggio nella gestione del villain, inoltre, come era prevedibile, Peyton Reed ha dovuto lievemente aggiustare il tiro, rinunciando ad un pizzico dell'efficacissima estetica che ammaliò il pubblico del primo Ant-Man.
Eppure, nonostante la sensazione di avere a che fare con un prodotto meno genuino e più confezionato, si è testimoni di uno spettacolo che non solo convince, ma che non fa per nulla rimpiangere le gesta sovrumane degli Avengers. Consigliato, insomma, non fosse altro che, in attesa di scoprire come andrà a finire la battaglia contro Thanos, qualcosa sotto i denti, almeno per ingannare l'attesa, dovremo pur mettere.