Appunti di Game Design #2
Come trasformare un'idea in un videogioco.
Dalla testa alla carta
Datemi un punto d'appoggio e vi solleverò il mondo. Così esclamava Archimede nel passato, dopo aver dato prova della sua genialità.
In maniera simile, ogni volta che all'improvviso abbiamo un'idea, il nostro ego è portato a esaltarsi e a sentirsi un po' come il sopracitato Archimede: chi non ha mai pensato di aver avuto una trovata geniale e rivoluzionaria?
Il mondo dei videogiochi è davvero giovane se confrontato con altri campi di applicazione delle scienze e o delle arti (tra l'altro non è neppure molto chiaro come dovremmo classificare i videogiochi, ma l'onere di stabilirlo lo lasciamo volentieri ai tanti teorici, mentre noi ci concentreremo sulle questioni pratiche di questo affascinante universo). E in un campo così giovane sono davvero tante le persone che pensano di poter inventare "qualcosa di nuovo".
"Chi non ha mai pensato di aver avuto una trovata geniale e rivoluzionaria?"
A volte è semplice spirito di intraprendenza di qualche giovane, quasi un'innocente dimostrazione del desiderio di lasciare il segno, di fare qualcosa che posso essere ammirato da altri. Ricordo ancora quando, anni fa, gestivo una comunità di "wannabe game designer", basata sull'utilizzo di tool e programmi per realizzare giochi senza dover programmare (rpgmaker, game maker e simili): non passava giorno in cui qualcuno annunciasse sul forum che "aveva avuto un'idea che avrebbe cambiato il mondo dell'intrattenimento".
Era l'epoca d'oro delle prime comunità online, eravamo tutti molto giovani e il Milan di Capello era invincibile. Era normale che in quelle piccole comunità underground tutti cercassero "l'idea" che avrebbe permesso loro di spiccare il volo e di fare le cose in maniera più seria. Il problema, però, nasce quando questa idea romantica tipica dell'adolescenza la si conserva anche in età adulta, senza confrontarla con la realtà delle cose. Insomma, fare un videogioco è una faccenda sporca ed è un affare molto serio. Almeno quando si parla di sfornare delle buone idee…
E quando questo accade, le conseguenze possono essere catastrofiche o ridicole (o, a volte, entrambe le cose assieme). Capita così di ricevere curriculum di adulti che, spacciandosi per novelli Kojima, sottopongono idee bislacche e "rivoluzionarie". Oppure che qualcuno ottenga dei fondi che poi vengono non-impiegati, nel più classico del magna-magna italiano, per mettere in ridicolo l'industria dei videogiochi nostrana (piccola ma seria) con prodotti come... beh, quello lì sulla gioventù, quello di cui mi vergogno anche a scrivere il titolo (ma tanto avete capito di quale pseudo-gioco sto parlando, no?).
Questo non vuol dire che una buona idea non possa esistere, anzi. Nel capitolo precedente abbiamo visto come fare a trovare l'ispirazione, a trarre insegnamento dalle cose che ci circondano e come lasciare che le influenze esterne si trasformino in intuizioni. Ma di fronte a un'intuizione dovremmo sempre domandarci: è davvero una buona idea?
"Le idee rivoluzionarie sono davvero rare perché di solito sono evolutive e non rivoluzionarie, e perché di solito quella stessa idea l'ha già avuta qualcuno . "
Saper rispondere a questo quesito è spesso fondamentale ma come si può essere critici nei confronti di qualcosa alla quale, magari, abbiamo lavorato per giorni prima di stabilire che poteva essere davvero una buona idea? I modi ci sono, e hanno a che fare con il Diavolo e con i ciechi. Esaminiamoli assieme…
Galileo o Darwin?
Devo fare una premessa: in realtà, le idee rivoluzionarie sono davvero rare. Innanzi tutto perché di solito qualcuno quella stessa idea l'ha già avuta (ma su questo argomento torneremo in seguito); inoltre, di solito le idee sono "evolutive" e non rivoluzionarie.
Questo perché difficilmente un'idea rivoluziona totalmente un concetto. È più facile invece che sia in grado di far evolvere una precedente idea o un concetto simile, portandola a un nuovo standard o aprendo il campo a un'applicazione innovativa.
Innovare, dunque, non significa per forza rivoluzionare ma, più realisticamente, affinare qualcosa che c'è già ma che, come tutto, può essere migliorato. In questo senso, Darwin 1 - Galileo 0.
Inoltre, molte volte il lavoro del game designer si concentra su un aspetto specifico e non sulle idee generiche di un gioco. Poiché stendere un game design è un'operazione lunga e complessa, le meccaniche o le parti del videogioco che necessitano di innovazione vengono separate e analizzate in maniera singola, per poi essere integrate nel resto del progetto.
Comunque, con un po' di lavoro in più, i metodi esposti possono essere applicati a un progetto intero.
L'avvocato del Diavolo
Il primo metodo per analizzare la bontà della propria intuizione lo possiamo definire con il titolo di un famoso film. Proprio come in quella pellicola, saremo chiamati a essere avvocati smaliziati e senza scrupoli, mettendo sotto torchio il nostro imputato: l'idea. Per applicare questo metodo dobbiamo cercare di scovare tutti i limiti e i peggiori difetti del lavoro che abbiamo fatto.
"Per analizzare la bontà della propria intuizione dobbiamo essere i peggiori clienti di noi stessi."
Lo scenario è il seguente: abbiamo avuto un'intuizione, l'abbiamo analizzata e messa nero su bianco. Poi abbiamo riletto i nostri appunti ed è sembrato un buon lavoro. Ora, però, dobbiamo essere i peggiori clienti di noi stessi. Quali sono le prime obiezioni che qualcuno potrebbe fare dopo aver letto i nostri appunti?
1. È originale? Se l'idea è la copia di qualcos'altro, se in qualche modo non è un'innovazione (piccola o grande), se non aggiunge nulla di nuovo a qualcosa che c'è già... beh, allora è meglio cestinare subito i nostri appunti e ripartire da capo.
2. È comprensibile? Ok, abbiamo stabilito che la nostra idea (o parte di essa) è originale; ma al tempo stesso è comprensibile? Perché un errore che si commette molte volte è quello di cercare di estremizzare l'innovazione, rendendo troppo confuso il proprio lavoro e vanificando così tutto lo sforzo profuso.
Una cosa troppo originale risulta spesso troppo "futuristica" e quindi poco chiara per l'utente. Ci sono numerosi esempi nella storia dell'informatica (e non solo) che dimostrato quanto questo problema possa fare fallire un'ottima idea solo perché troppo originale. L'uomo è abituato a cambiare le proprie abitudini un passo alla volta. Se la rivoluzione arriva tutta assieme, spesso non viene compresa.
3. È facilmente comunicabile? Diciamo che l'idea è originale e comprensibile: ma è anche facilmente comunicabile? Che si tratti di una meccanica di gioco, un'idea base per un progetto, la trama di una storia, un personaggio o un'ambientazione, la nostra idea deve essere chiara. E possibilmente comunicabile in una manciata di parole, perché spesso le persone alle quali dovremo comunicarle ci concederanno pochi secondi per risultare convincenti.
"La nostra idea deve essere chiara. E possibilmente comunicabile in una manciata di parole."
Quindi, se la risposta è no, dovremmo rivedere e riscrivere i nostri appunti in modo tale da poterne trarre un sunto chiaro e conciso. Recentemente ho letto su un libro un suggerimento molto utile: un'idea deve poter essere contenuta nei caratteri tipici di un messaggio su Twitter. Se il nostro lavoro necessità di più spazio per essere descritto vuol dire che stiamo mettendo troppa carne al fuoco.
4. È necessaria? Rileggente il sunto che avete appena fatto dei vostri appunti e domandatevi: è davvero fondamentale? Troppo spesso ci si concentra sulla propria idea, pensando di adattare il contesto a essa. Ma dovrebbe essere il contrario: il nostro lavoro dovrebbe essere fondamentale per il contesto e dovremmo sforzarci di adattarlo per inserirlo coerentemente.
Per fare un esempio sfruttiamo a una meccanica di gioco molto classica: il doppio salto. In molti giochi, quando il personaggio controllato si trova al culmine della parabola descritta dal salto, premendo nuovamente un tasto si effettua il "double jump", permettendo al giocatore di raggiungere altezze altrimenti inaccessibili. Ora, se la nostra idea fosse questa dovremmo domandarci: è necessaria? Il gioco ha davvero bisogno di questa meccanica oppure sarà solo una complicazione inutile? È così fondamentale per il progetto o per inserirla dovremo modificare la struttura dei livelli, in modo da giustificarne la presenza?
Blind Test
Se la nostra idea ha superato con successo il primo metodo di analisi, non rimane altro che sottoporla al cosiddetto blind test (test cieco). Questo metodo, in realtà, viene applicato a qualunque prodotto che dovrà essere commercializzato, non solo alle idee per i videogiochi. È utile, comunque, anche nel campo al quale siamo interessati, poiché permette di verificare se siamo stati dei buoni "cattivi avvocati".
"Se la nostra idea ha superato con successo la prima fase di analisi, non rimane altro che sottoporla al cosiddetto blind test."
Per applicare questo test, dobbiamo sviluppare un piccolo prototipo del nostro lavoro. I modi possono essere svariati e ovviamente variano in base all'argomento che stiamo affrontando (un prototipo di una meccanica di gioco verrà realizzato in maniera differente dal prototipo di un'interfaccia).
Nell'esempio utilizzato precedentemente, il prototipo potrebbe essere un livello di gioco di "test" con implementata la meccanica del doppio salto (se il gioco è già in un buono stato di sviluppo) oppure un prototipo su carta, nel quale realizzeremo le meccaniche di gioco come se si trattasse di un gioco da tavolo.
Qualunque siano gli strumenti scelti, il test si esegue in questo modo:
- Scegliamo una persona che non sa di cosa stiamo parlando.
- Consegniamo una descrizione testuale del nostro lavoro a tale persona (se vogliamo valutare davvero il buon esito del nostro lavoro, la scelta dovrebbe ricadere sul sunto che abbiamo realizzato al punto 3 del precedente metodo).
- La "cavia" dopo aver letto le istruzioni dovrà affrontare il prototipo, senza poter chiedere aiuto a nessuno per capire cosa deve fare e come.
Assistendo ai suoi errori, alle difficoltà incontrate, ai suoi successi, potremo valutare la bontà del nostro lavoro e dedurre se la nostra idea è chiara, se è intuitiva e se il giocatore la vede come davvero necessaria nel contesto del progetto.
I risultati di un blind test sono sempre molto sorprendenti: quello che noi di solito diamo per scontato gli altri lo vedo con un occhio totalmente differente.
La dura legge del gol
Spesso gli esiti di questo tipo di test sono molto duri: la maggior parte delle volte si scopre che la nostra idea non è così buona come credevamo. Esporci alle critiche e alle obiezioni di qualcuno non è mai facile e richiede un buon senso critico e parecchia umiltà. Di fatto, ci mettiamo volontariamente sotto la lente di ingrandimento. Peggio: mettiamo sotto quella lente il nostro lavoro, la nostra intuizione, quella che speravamo davvero che risultasse rivoluzionaria e che avrebbe strappato applausi a scena aperta.
Sentirsi dire cose come "non lo capisco" oppure "non funziona, non ci siamo proprio" può risultare davvero svilente. Ma non bisogna abbattersi, perché anche dall'analisi dei fallimenti e degli errori commessi si può sempre trarre un buon insegnamento. E molte volte una buona idea non è altro che una pessima idea rivista e corretta…
Matteo Sciutteri inizia come Game Designer in Artematica sviluppando giochi ispirati alle favole classiche, per poi finire a lavorare su Martin Mystere. Lasciata la ridente riviera ligure, approda in Milestone dove cura la serie di SBK e diversi altri giochi, prima di diventare responsabile del reparto di Game Design dell'azienda..