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Detroit: Become Human - recensione

Siete pronti a vivere la vostra storia?

Questa recensione è totalmente spoiler free e le informazioni relative alla trama in essa contenute riguardano solo le sezioni di gameplay già mostrate in precedenza all'interno di trailer e demo.

Circa otto anni fa usciva su PlayStation 3 Heavy Rain, titolo di grande successo sviluppato dal visionario David Cage, nonché anello di congiunzione tra due grandi medium: il cinema e i videogiochi. La sua formula prettamente narrativa, che concede ampia libertà di scelta al giocatore grazie alle molteplici ramificazioni della trama, è stata oggetto di innumerevoli riflessioni e diatribe.

C'è chi addita i lavori del game designer francese come prodotti dal gameplay fin troppo risicato, chi li ama alla follia e chi invece è combattuto e non riesce proprio a chiudere un occhio su alcuni 'plot hole' che, per forza di cose, punteggiano di tanto in tanto le produzioni con una trama così intricata e ramificata.

A dispetto dei detrattori questa formula ha avuto grande successo e, di fatto, dato vita ad un nuovo tipo di avventure grafiche, magari meno complesse e impegnative rispetto al passato, ma di sicuro dal grande impatto visivo ed emotivo. Sin dal suo primo annuncio Detroit: Become Human ha suscitato forte interesse e altrettanti dubbi da parte della community: è possibile avventurarsi in un campo così inflazionato come la fantascienza incentrata sugli androidi quando autori del calibro di Asimov e Dick hanno già detto praticamente tutto? A quanto pare sì.

Cover image for YouTube videoDetroit: Become Human - recensione

Detroit, anno 2038: la cittadina americana è divenuta il centro nevralgico per la produzione e la distribuzione di androidi ad opera di una corporazione che risponde al nome di Cyberlife. Loro sono come noi, anzi, meglio di noi. Sempre belli, perfettamente in salute, educati, ubbidienti, impeccabili; umani 2.0 che in pochi anni hanno dimostrato la loro superiorità sostituendo le proprie controparti organiche nella maggior parte degli impieghi che non richiedessero particolari abilità creative o concettuali.

Un androide stende il bitume fumante sotto il sole cocente con solerzia, senza lamentarsi e senza concedersi pause, si occupa di faccende domestiche e commissioni in modo ineccepibile, sorride da dietro un bancone anche al più scortese tra i clienti, trattandolo sempre con professionalità e gentilezza. Inoltre non necessita di cibo, non chiede ferie, non è soggetto a gravidanze e parte da un costo minimo di soli 899$.

Come è prevedibile, la rapida diffusione di questo tipo di lavoratori ha fatto schizzare il tasso di disoccupazione alle stelle, rendendo di fatto la ex classe operaia una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. Per contro, il ceto medio-alto vive un periodo di grande agiatezza, viziato da serventi sintetici verso i quali non esiste alcun obbligo di natura etica o morale.

Ed è proprio nelle strade illuminate dalle luci al neon e tra gli edifici ultratecnologici di Detroit che ha inizio la storia dei protagonisti. Tre personaggi che permettono di vedere la vicenda da angolazioni diverse, ognuno con le sue priorità, le sue convinzioni e la propria battaglia personale da combattere. Connor è un androide speciale, donato dalla Cyberlife al commissariato di polizia di Detroit per fornire assistenza durante le indagini sui devianti, ovvero i modelli che presentano comportamenti che esulano dalla normale programmazione e sfociano spesso in atteggiamenti aggressivi e violenti.

Marcus capeggia la rivolta degli androidi e mette i suoi suoi simili davanti ad una semplice scelta: continuare ad essere schiavi o vivere liberi.

Determinato, solerte e pronto a tutto pur di portare a temine il proprio incarico, Connor è certamente un personaggio intrigante: un androide che per lavoro dà la caccia ai propri simili. Giocare nei suoi panni significa essere continuamente dilaniati da scelte morali in grado di far vacillare le nostre convinzioni, mettendo in mostra tutte le difficoltà di una coerenza ardua da mantenere.

Kara, che ha saputo toccare i nostri cuori sin dalla presentazione nella tech demo rilasciata quando il progetto era ancora in fase embrionale, rappresenta l'amore, il senso di maternità e la capacità di provare empatia anche nei confronti di chi è diverso, perfino ostile. Poi c'è Marcus, un androide di servizio come ce ne sono tanti, ma che si troverà a ricoprire un ruolo di importanza critica. Egli è chiamato a guidare la propria 'razza' durante la rivoluzione che è in procinto d'esplodere e a decidere come portare avanti la battaglia, trovandosi spesso a scegliere tra un approccio pacifico e uno più violento.

Proseguire con la descrizione anche solo di una delle innumerevoli trame e sottotrame sarebbe un peccato imperdonabile, quindi vi lasciamo il piacere di scoprirle da voi. Quello che ci teniamo a farvi sapere, però, è che come promesso saremo noi a decidere il destino che attende i tre personaggi, influendo sul dipanarsi della faccenda in modo molto marcato in base alla direzione che decideremo di intraprendere ad ogni bivio. Alcune scelte incidono davvero profondamente il tessuto narrativo, arrivando persino ad escludere personaggi dalla vicenda o cambiando completamente l'esito di eventi d'importanza critica.

Proprio come la realtà virtuale, anche gli androidi vengono sfruttati per soddisfare uno degli istinti primordiali dell'essere umano.

La struttura di gioco è rimasta pressoché invariata rispetto al passato con un gameplay ridotto all'osso e incentrato in prevalenza sulle risposte da dare nei dialoghi, l'esplorazione degli ambienti, i pulsanti da premere per eseguire azioni scriptate e gli immancabili QTE. Come in passato la telecamera (selezionabile in due posizioni) è asservita a necessità di tipo cinematografico, scelta condivisibile a livello stilistico ma che causa qualche difficoltà nel controllo del personaggio, soprattutto in ambienti angusti.

Per fortuna la rigiocabilità si attesta su ottimi livelli, e se l'avventura la si porta a termine in una decina di ore, ce ne vogliono molte di più per esplorare tutti i bivi narrativi e i molteplici finali. Al termine di ogni capitolo viene presentato uno schema ad albero che mostra tutte le biforcazioni, le scelte e persino i punti di interesse, evidenziando quelli che abbiamo imbroccato e lasciando gli altri oscurati.

Abbiamo quindi a disposizione una "mappa" che semplifica notevolmente il lavoro di esplorazione narrativa, fermo restando che per vedere le ripercussioni di scelte effettuate a monte sui capitoli successivi dobbiamo comunque ripercorrere l'intera vicenda dal punto prescelto.

Il buon Cage è riuscito anche questa volta ad orchestrare una vicenda davvero intricata, appagante, pregna di momenti emozionanti e commoventi, che fanno riflettere in più di un'occasione su chi sia davvero il mostro senza sentimenti, se noi o gli androidi. Seppur alcuni quesiti esistenziali siano già stati esplorati in precedenza, Detroit : Become Human non si limita ad applicare i concetti a situazioni fresche, ma ci permette di viverle attraverso gli occhi dei diretti interessati, una posizione che enfatizza e consente di percepire il peso di alcune diatribe morali in modo del tutto nuovo.

Connor deve scegliere in che modo rapportarsi con i devianti che cattura: può essere freddo e insensibile oppure cercare di stabilire un legame con la sua preda.

E se in passato avete solo letto di replicanti del tutto identici agli umani, oppure li avete visti al cinema con indosso un trench lungo mentre sfrecciavano a bordo di auto volanti attraverso i fumosi cieli di qualche megalopoli, ora è giunto il momento di camminare tra loro. La Detroit del futuro è cesellata sin nei minimi dettagli ed è uno spettacolo per gli occhi. Per le strade circolano auto senza conducente e l'intero agglomerato urbano è composto da edifici vitrei la cui linfa vitale è rappresentata da venature al neon che si inerpicano in ogni dove.

Dall'asfalto, liscio e pulito si ergono immense strutture, monoliti cristallini simbolo del progresso tecnologico che avanza inesorabile e che punta dritto al cielo. Non mancano però zone periferiche al limite del fatiscente che cercano ostinatamente di resistere all'impietosa avanzata di uno sviluppo asettico. Il contrasto tra il nuovo e il vecchio è incredibilmente d'impatto e ogni luogo che possiamo visitare è una delizia per gli occhi. I personaggi stessi vantano un livello di dettaglio incredibile, animazioni facciali del tutto convincenti e una caratterizzazione d'eccezione della quale possiamo essere, in buona parte, fautori.

Su PS4 standard l'esperienza visiva è davvero soddisfacente, anche senza raggiungere i 60fps (praticamente inutili in un titolo del genere) e con qualche impercettibile e saltuario calo di frame. A completare il favoloso spettacolo visivo abbiamo un doppiaggio in italiano integrale d'eccezione, considerando gli standard odierni. Qualche piccola sbavatura nelle voci di alcuni personaggi secondari non inficia minimamente l'ottima qualità globale del comparto audio.

Il destino di Kara è indissolubilmente legato a quello di Alice e la loro storia è di certo quella più toccante. Mi raccomando, tenete i fazzolettini a portata di mano.

Al netto delle limitazioni insite nel genere, come la mancanza di un gameplay corposo e qualche piccola forzatura a livello narrativo, Detroit: Become Human è un nuovo punto di riferimento per la fantascienza moderna. Seppur il titolo sfrutti un'ambientazione che deve molto a stimate penne del passato, l'opera di Quantic Dream consente al giocatore di vivere in prima persona il dramma della diversità, la lotta per l'accettazione e di decidere in che modo combattere la propria guerra.

Certo, molte di queste argomentazioni fanno parte della ricetta usata per confezionare opere ormai divenute punti di riferimento del genere, ma il titolo riesce comunque a mantenere una propria e ben definita identità. Chi ama la fantascienza non potrà fare a meno di stilare miriadi di parallelismi, ad esempio la figura di Connor è facilmente accostabile a quella di Rick Deckard, il cacciatore di replicanti protagonista di Blade Runner, a sua volta inconsapevole membro della medesima genìa a cui dava la caccia.

Volendo passare a un'opera più recente, Westworld, fortunata serie TV che mischia elementi sci-fi a tematiche molto vicine ai videogiochi, contiene parecchi elementi presenti anche in Detroit, alcuni di essi dedicati solo ai più attenti e menzionati in veste di citazione elitaria rispetto ad un palese cammeo.

La ricostruzione delle dinamiche del delitto sulla scena del crimine è solo una delle specialità di Connor.

Data la mole di elementi da mettere a confronto e l'estrema profondità del contesto ci riserviamo di sviscerare questo tipo di riflessione in separata sede, limitandoci per il momento a rassicurarvi sul fatto che l'opera Quantic Dream è sì derivativa e fortemente citazionista, ma non sfocia mai nel becero plagio. Il suo merito è quello di riuscire a sfruttare le solide basi gettate da altri e miscelarle sapientemente a tematiche dal forte impatto sociale.

Come avrete modo di scoprire con immenso piacere le situazioni in cui ci si trova coinvolti sono davvero in grado di minare alla base le nostre convinzioni e pongono al centro dell'esperienza ludica un coinvolgimento emotivo difficilmente riscontrato prima all'interno nostro medium.

9 / 10

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PS4

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Andrea Forlani

Contributor

Andrea Forlani videogioca da sempre e scrive da parecchio. Il suo ambiente naturale è la sedia davanti al PC e si nutre principalmente di cibo spazzatura. Se importunato, potrebbe difendersi tirandovi contro manciate di dadi da 20.

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