Illusion: A Tale of the Mind - recensione
A volte la mente gioca brutti scherzi.
Chiudete gli occhi e immaginate per un attimo di dover affrontare un viaggio attraverso le profondità della vostra mente, proseguendo lungo un sentiero che serpeggia fra ricordi e fantasie, fra echi del passato e immagini dimenticate che riaffiorano ossessivamente dall'inconscio. Una prospettiva intrigante e allo stesso tempo spaventosa. Nei poco più di mille centimetri cubici della nostra calotta cranica, infatti, si espande un intero universo, un labirinto sconfinato nel quale, se non stiamo attenti, rischiamo di perderci per sempre.
Emma, la giovane protagonista di Illusion: A Tale of the Mind, non ha bisogno di immaginare un viaggio simile. Lo sta vivendo sulla sua pelle. Il tutto ha inizio all'interno di una caverna umida e oscura, nella quale la ragazzina si risveglia con una grossa catena che le avvolge il corpo e la tiene imprigionata. Non ha idea di come sia giunta in quel luogo, una feroce amnesia le impedisce di scavare nella memoria e la sua stessa identità rimane un mistero.
Fortunatamente accorre in suo aiuto Topsy, un coniglietto di pezza svolazzante che la libera in un batter d'occhio. Emma lo riconosce, si rende conto di quanto sia familiare ma l'amnesia non lascia riaffiorare i ricordi. E il pupazzo, purtroppo, nelle stesse identiche condizioni, sembra non avere risposte. I due riescono comunque a fuggire dalla caverna e, senza sapere come, si ritrovano a Parigi, all'inizio del ventesimo secolo.
Qualcosa però non torna. La capitale francese appare trasfigurata: lo spazio sembra non rispondere più alle leggi della fisica, le proporzioni sono sballate, gli edifici si inerpicano seguendo le spirali di vicoli impossibili e per strada passeggiano figure incorporee. È come se qualcuno avesse proiettato attorno a sé la propria visione della città, e i protagonisti si rendono subito conto di trovarsi all'interno di quel labirinto della mente di cui abbiamo parlato in apertura. Il problema è che questo non è il loro labirinto. Emma e Topsy sono intrappolati nella psiche di qualcun altro.
Illusion: A Tale of the Mind è un puzzle adventure dalle premesse narrative sicuramente interessanti. L'ambientazione proposta non è forse tra le più originali. A Parigi, ormai abusato stereotipo di città affetta da un romanticismo decadente, si affianca il tema del circo e non manca una parentesi dedicata alla Prima Guerra Mondiale. Da queste basi non può che svilupparsi una storia strappalacrime dai toni decisamente bohémien, condita con amori assoluti, gelosie dilanianti e una buona dose di alcolismo.
Nonostante ciò, lo sforzo a livello stilistico è sicuramente apprezzabile. Emma, per quanto si scoprirà poi coinvolta nelle vicende narrate, mantiene sempre un punto di vista esterno che coincide con quello del giocatore. Il dipanarsi graduale della trama riesce quindi a mantenere tutto sommato alto il nostro livello di curiosità. Esplorando in lungo e in largo le diverse aree in cui è suddiviso il gioco, contenute ma arzigogolate, raccogliamo diverse fotografie e pensieri sparsi, frammenti di memoria che ci permettono di ricostruire il passato dei personaggi, e solo quando avremo in mano la verità saremo in grado di portare in salvo la ragazzina.
Purtroppo tutti i buoni propositi di Illusion cedono sotto il peso di un gameplay non all'altezza del resto della produzione. L'esplorazione degli ambienti, infatti, si rivela ben presto un'operazione lineare e poco stimolante. Per quanto le aree siano ricche di dettagli l'interazione è limitata a pochi elementi, i cui colori sgargianti si stagliano nettamente rispetto alle tonalità più pacate degli sfondi. Gli indizi vengono quindi sbattuti in faccia al giocatore, e ogni qual volta mettiamo piede in una nuova zona basta una rapida occhiata per comprendere immediatamente dove dirigersi e cosa fare.
Per proseguire nel gioco spesso dobbiamo soffermarci a risolvere alcuni enigmi, tutti basati sulla creazione o ricostruzione di immagini. Si va dai semplici puzzle, con frammenti da girare e spostare per ottenere la figura richiesta, a diversi giochi di prospettiva sia bidimensionali che tridimensionali. Premendo degli interruttori, per esempio, è possibile spostare in aria le assi di legno e le ruote di un vecchio carretto, e una volta posizionata la telecamera nella giusta posizione i pezzi comporranno la sagoma di un aeroplano, utile per accedere ad una piattaforma sospesa.
Trattandosi per lo più di illusioni ottiche i rompicapo si sposano perfettamente con il tema psicologico del titolo, scherzi della mente che in alcuni casi possono anche sorprendere. Il livello di difficoltà però è settato decisamente verso il basso. Ogni volta la soluzione viene rivelata o almeno suggerita dal gioco stesso. Particolarmente fastidiosa poi la sovrabbondanza di noiosi labirinti che si succedono senza sosta verso la fine del gioco. Anche in questo caso il tasso di sfida è pari a zero, e il tutto si risolve con un meccanico andirivieni fra i diversi interruttori colorati per aprire porte e cancelli nel giusto ordine.
Se dal punto di vista stilistico Frima Studio ha fatto un buon lavoro, riproducendo in maniera ispirata e soddisfacente un immaginario artistico già esistente, lo stesso non si può dire per quanto riguarda il lato tecnico. Graficamente il gioco non nasconde le sue origini indipendenti, e sebbene si lasci giocare senza problemi una pulizia generale avrebbe sicuramente giovato all'impatto visivo.
Sono soprattutto le animazioni a non convincere. Quando appaiono su schermo le controparti poligonali dei personaggi, decisamente più sgraziate rispetto alle tante illustrazioni usate nelle cut scene, il nostro grado di coinvolgimento emotivo si abbassa inesorabilmente. E il doppiaggio, che a tratti ci propina un accento francese talmente marcato da suonare ridicolo, non aiuta nelle fasi più drammatiche.
Il prodotto finale non riesce quindi a rendere giustizia alle tante buone idee su cui poggia Illusion: A Tale of the Mind. E non c'è niente di peggio che provare curiosità per la trama di un gioco che, ahimé, ci annoia. Le cinque ore che abbiamo impiegato per portare a termine l'avventura ci sono parse decisamente più lunghe, e al termine del viaggio ci siamo resi conto che forse avremmo preferito chiudere gli occhi e perderci nel labirinto della nostra, di mente.