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Déraciné - recensione

La sabbia nella clessidra scorre in due sensi.

Déraciné in francese significa "sradicato" ma anche "disorientato", una condizione tipica di chi si trova in una situazione o in un ambiente diverso dal solito. Forse From Software deve essersi sentita così quando ha iniziato a sviluppare questo gioco, che non potrebbe essere più diverso dai precedenti progetti della software house nipponica.

Abbandonate le dimensioni lugubri e sanguinolente di Dark Souls e Bloodborne, una volta indossato il casco del PlayStation VR ci si ritrova immersi in un'atmosfera completamente diversa.

Il setting di Déraciné è un collegio, una enorme villa in stile vittoriano nella quale vivono e studiano un pugno di giovani vite. Questa ambientazione è stata spesso associata ai film horror, ma non è questo il caso, anche se il vostro ruolo avrà a che fare con gli spiriti. Vestirete i "panni" di una fata, una presenza eterea che dovrà entrare in contatto con i ragazzi che popolano quelle grandi stanze cristallizzate in un presente lento e malinconico.

Dovrete comunicare con loro cercando di scoprirne la storia e se interagire con essa con la dovuta cautela e gentilezza, sfruttando la vostra capacità di muovervi tra il regno dei vivi e quello dei morti ma non solo.

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Dopo averci giocato abbiamo capito molte delle cose che nei trailer di presentazione del gioco sembravano non avere significato: lo scorrere veloce del tempo, i petali di un fiore che sfioriscono in pochi secondi. La vostra natura spiritica vi concede due poteri. Con quello nella mano destra potrete modificare la vita, assorbirne l'essenza da un oggetto per poi donarla altrove. Con la sinistra invece modificherete lo scorrere del tempo. Questi due elementi possono intersecarsi tra loro e dare vita a reazioni di vario genere, ma il gioco non vi concederà la possibilità di farlo a piacimento. Déraciné è un'esperienza narrativa estremamente lineare, la cui storia va ricostruita visitando le ambientazioni e assorbendo le storie in cui vi imbatterete. Man mano che l'empatia con gli altri personaggi aumenterà scoprirete nuovi dettagli su di loro e sulla loro vita. Dettagli spesso divertenti, altre volte dolorosi.

La necessità di immergere il giocatore in una storia così particolare ha purtroppo avuto ripercussioni sul gameplay. La poca esperienza degli sviluppatori con l'ambiente VR ha fatto sì che il sistema di movimento e quello di interazione siano strettamente collegati tra loro e incanalati verso un'unica uscita. Il classico teletrasporto, utile a prevenire fenomeni di motion sickness, imbriglia i movimenti del giocatore e lo accompagna per mano alla ricerca dei punti d'interesse come in una monotona, benché suggestiva, visita guidata. Altro effetto collaterale di tale scelta di design è l'eccessiva semplificazione degli enigmi, che nella maggior parte dei casi si limitano all'utilizzo di una serie di oggetti nel giusto ordine.

I toni seppia del gioco danno all'avventura un'atmosfera davvero unica, ma spesso ci si ritrova immersi in meravigliosi panorami bucolici.

La mezza dozzina di ore necessaria per arrivare alla fine viene in parte banalizzata da una trama che stenta a decollare e che in alcune occasioni diventa leggermente ostica da seguire a causa dei "salti" temporali. Fortunatamente il comparto grafico e l'eccellente colonna sonora fanno di tutto per alimentare le emozioni nel cuore del giocatore nonostante la mancanza di di un sufficiente numero di guizzi narrativi. La sensazione generale è che i programmatori si siano preoccupati soprattutto del fattore "immersione" senza spremere troppo la loro vena da sceneggiatori.

Per entrare in questo particolare mondo avrete bisogno necessariamente di un paio di PlayStation Move, che diventeranno i prolungamenti delle vostre mani all'interno del gioco. Il DualShock 4 non è supportato ed è facile capire perché, gli stick analogici del controller non avrebbero garantito la precisione di movimento sufficiente per immergere il giocatore nella parte.

Potrete interagire con gli studenti del collegio toccando un loro oggetto, che nella maggior parte dei casi darà vita ad un ricordo.

Déraciné rappresenta una sorta di ritorno al passato per From Software, una pausa dal "solito" che riporta la compagnia ai tempi di Echo Night. Con quella affascinante avventura della prima era PlayStation il gioco che stiamo analizzando oggi condivide l'elemento del ricordo legato agli oggetti, ma anche la sensazione di scoperta che porta il giocatore verso il finale mettendogli davanti pezzi di puzzle che solo all'ultimo rivelano il quadro completo.

Per certi versi ci ha ricordato anche una vecchissima avventura intitolata Shadow of Memories, uscita nel 2001 su PlayStation 2. Chi all'epoca ebbe la fortuna di giocarla non può non ricordarne le qualità uniche e l'alone di affascinante e doloroso mistero che la circondava. Le sensazioni provate giocando a Déraciné sono in parte simili, ma al tempo stesso uniche. Non è il gioco più adatto chi è ancora in cerca di ritmo e azione, ma risulta perfetto per prendersi una pausa (virtuale) dal caotico periodo di uscite che stiamo vivendo.

Amicizia, morte, tempo che passa inesorabile... i temi trattati sono importanti ma restano sempre in superficie evitando qualsiasi approfondimento.

Nessuno poteva immaginare un prodotto del genere per l'esordio su PlayStation VR dei creatori di Dark Souls, ma è un bene che compagnie famose per saghe ben consolidate, di tanto in tanto si avventurino in terreni inesplorati regalandoci emozioni diverse... anche se, come in questo caso, il risultato non è esattamente quello sperato.

7 / 10

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Daniele Cucchiarelli

Contributor

Lavora nel giornalismo videoludico da oltre 20 anni. Anche se tutti quelli che lo conoscono gli hanno consigliato di "trovarsi un lavoro serio", resta sempre fedele al suo primo amore.
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