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The Division 2 - recensione

Il nostro voto all'ultima fatica di Ubisoft.

Il panorama dei looter shooter di questi tempi è decisamente affollato. I giochi dai contenuti dinamici che cambiano nel tempo ed evolvono il loro mondo e la loro formula tra una patch e l'altra, hanno fatto breccia nel cuore di noi appassionati, desiderosi di vivere storie emozionante coi nostri amici, affamati di loot sempre più rari e pronti a sconfiggere nemici sempre più importanti nel corso degli anni che ci separeranno dal prossimo capitolo.

Questo genere di giochi, però, richiede un supporto nel tempo che può sfiancare lo sviluppatore e diventare alla lunga insostenibile. I giocatori richiedono costantemente più armi, più missioni e un end-game che regali continue soddisfazioni. Sotto questi colpi è caduto il primo The Division, shooter in terza persona di Ubisoft con elementi MMORPG, capitolato sotto il peso di un end-game poco longevo e accattivante.

La componente RPG, inoltre, si è rivelata poco profonda e la scelta di dare ai personaggi statistiche di base uguali per tutti, da variare solo in seguito tramite l'equipaggiamento, ha reso l'azione più piatta e ripetitiva del voluto.

Ubisoft ci riprova tre anni dopo con The Division 2, che conserva lo stesso sistema del predecessore ma promette tonnellate di contenuti in più. Li abbiamo provati tutti durante questi primi giorni di gioco, raggiungendo il level cap a 30 e proseguendo ben oltre al semplice debellare la minaccia e rimettere il Presidente al posto che gli compete.

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Inizialmente ci troviamo a scegliere le fattezze del nostro personaggio tramite un editor sufficientemente vario, salvo poi trovarci ad affrontare le minacce di una nuova città: Washington D.C. I primi passi nella capitale statunitense ci illudono di avere a che fare con un ambiente diverso dalla New York gelata dall'inverno e dalla desolazione, depredata del suo splendore dalle gang criminali infiltratesi fino al suo cuore, come il virus che l'ha messa in ginocchio.

I paesaggi assolati, più vivi e meno claustrofobici, sono solo l'anticamera di un'altra città in rovina sulle cui strade si combatte ancora la battaglia tra la vita e la morte. I sopravvissuti stanno tentando di instaurare un nuovo ordine ma le gang sono ancora un ostacolo. E noi, agenti della Divisione, avremo ancora una volta il compito di dare man forte e ribaltare la situazione.

Cambia il periodo, il clima, gli equilibri, eppure gli elementi che hanno contraddistinto e posto le basi per il gameplay del primo The Division sono tutti lì, immediatamente riconoscibili. Stavolta è nientemeno che la Casa Bianca ad ospitare l'hub centrale dove tornare a raccogliere i frutti dei nostri sforzi in missione, acquisendo nuove abilità e potenziando il nostro arsenale. Da qui si diramano tutte le altre operazioni.

L'esplorazione è sempre libera e ci lascia la scelta di decidere se perderci tra le strade alla ricerca di risorse utili, o farci guidare dal navigatore verso la prossima destinazione. Ingaggiare il nemico sottraendogli man mano terreno prezioso e roccaforti, ci permette di far avanzare i nostri alleati e sfruttare il territorio per mutarlo in un checkpoint prezioso da cui ripartire grazie allo spostamento rapido. Tali avamposti ora si sommano ai rifugi, ricordando da vicino quelli conosciuti nella serie di Far Cry.

Washington come ambientazione è molto diversa da New York. La minaccia del virus e delle gang nemiche è invece immutata.

Torna anche l'interfaccia che simula la realtà aumentata a disposizione degli Agenti, capace di sovrapporsi a quello che vediamo. Tramite effetti minimali e ben definiti, questa feature ci segnala i dettagli di cui abbiamo bisogno, dagli spostamenti possibile grazie alla copertura in movimento, fino agli indicatori di energia e ricarica nostra e dei nemici, passando per tutta una serie di minuzie utili a immedesimarci in un soldato del prossimo futuro dalle capacità tecnologiche avanzate.

Tutto ha un sapore molto familiare per chi ha già fatto parte della Divisione tre anni fa, e fortunatamente anche l'impatto iniziale non ha perso il suo fascino, anzi. Lo SnowDrop Engine mostra i muscoli ancora una volta: Washington D.C. non genererà lo stesso incanto di una New York in balia delle tempesta di neve nel periodo natalizio, ma la mole di detriti dispersa per le strade unita a scenari urbani devastati, risulta inquietantemente credibile, da lasciare ancora una volta a bocca aperta: nonostante i capolavori usciti in questi tre anni, quello di The Division è uno dei setting più curati nella storia dei videogiochi se comparati alla vastità della mappa.

La cura maniacale per il dettaglio raggiunge il suo apice nelle missioni principali, quando ci ritroviamo ad esplorare edifici complessi nell'architettura, che raccontano tramite una quantità spropositata di "props" (gli oggetti che adornano gli ambienti) i loro scopi passati. Un esempio perfetto sono gli uffici di produzione televisiva, ricostruiti fin nel minimo anfratto: entrate dal piano inferiore passando tra gli scatoloni e i carrelli dei magazzini, curiosate dietro il backstage degli studi del telegiornale per scoprire cineprese e manichini, e fate esplodere uno dei tetti per far cadere l'elicottero usato per monitorare il traffico.

I sopravvissuti tenteranno di ricostruire una società civile, e saremo noi Agenti della Divisione a dover contribuire con le maniere forti.

Ma Washington cela anche laboratori sotterranei, uffici governativi, locali commerciali e tanto altro, e goderseli durante l'esplorazione libera senza fare uso del viaggio rapido è il miglior consiglio che vi possiamo dare, visto che l'esplorazione è sempre ripagata da preziose risorse in The Division 2. Lasciamo pure da parte qualche sporadica sbavatura come qualche glitch o alcune texture caricate in ritardo.

Se la città riesce a raccontare efficacemente la triste storia presente e passata, non altrettanto riescono a fare i protagonisti che la popolano. Sicuramente non ci riesce il nostro personaggio, semplice spettatore muto degli eventi che coinvolgono i sopravvissuti alla piaga.

Come a New York, ogni tanto troveremo in giro anche i dispositivi ECHO che, tramite la Realtà Aumentata, ricostruiscono scene chiave avvenute nel passato, aiutandoci a capire cosa ha portato al collasso la città. Purtroppo questi espedienti non riescono a generare il climax necessario a emozionarci e il doppiaggio in Italiano, seppur completo, risulta alle volte in un'interpretazione priva di mordente.

Veniamo spesso a contatto con informazioni su personaggi e retroscena che arrivano a coinvolgere il governo americano, il presidente e il suo personale, ma l'assenza di una caratterizzazione precisa e profonda dei personaggi in questione, priva di noi stessi in quanto attori, si dimostra uno sterile contesto alle nostre azioni.

Le location più importanti (ma anche quelle minori) sono curatissime in ogni minimo dettaglio.

La frammentazione della narrativa favorisce quella che invece scriviamo noi con fucili e granate, a riprova che l'attenzione principale è tutta sulle battaglie del nostro agente e sul suo equipaggiamento. Passando al gameplay, infatti, la struttura che abbiamo imparato a conoscere tre anni fa, la ritroviamo in maniera molto simile anche qui. Pericolosamente, aggiungeremmo.

Nelle sessioni che abbiamo affrontato finora, il game loop è uguale a quello visto in passato: partite dal rifugio che preferite, affrontate la missione fino a raggiungere il nemico più corazzato, aumentate il livello, acquistate nuovo equipaggiamento e tornate alla carica.

Il senso di progressione è dato quindi dal ritrovamento (o dal crafting) dell'arsenale più potente, al pari del primo capitolo, riducendo il comparto narrativo a mera preparazione a quello che ci aspetterà una volta raggiunto il level cap. Ossia il coop online e quindi la Dark Zone, che comporterà a sua volta l'inevitabile grinding alla ricerca dell'equipaggiamento più raro e potente.

Le missioni sono lunghe e impegnative, con l'IA che seppur leggibile in molti casi, mette a dura prova cercando di aggirarci e circondarci il più possibile, facendo uso anche di tecnologia avanzata e dell'ambiente circostante. La strategia in battaglia, con le maggiori variabili introdotte da nuovi strumenti e tipologie di nemici, acquista un minimo di profondità in più, che finalmente varia l'azione per non renderla troppo ripetitiva ed estenuante.

La tecnologia SHADE, da recuperare tra missioni principali e secondarie, o semplicemente come collezionabile, si sostituisce ai punti abilità. La mappa è ricca di attività e collezionabili.

Ci sarà bisogno di maggiore riflessione prima di scagliarsi contro le orde nemiche, più resistenti e meglio attrezzate. Rispetto al passato siamo stati sconfitti molte più volte per aver cercato di chiudere la questione troppo in fretta, sottovalutando la situazione. Bisogna ricorrere a tutti i mezzi a nostra disposizione per sopravvivere, a vantaggio di un'azione più ragionata e complessa, seppur si basi sempre su logiche da RPG, dove un colpo ravvicinato e uno da grande distanza generano sempre lo stesso danno indicato dalle caratteristiche dell'arma in questione.

Inoltre, l'introduzione dei Clan, le marche degli equipaggiamenti e la personalizzazione dei i droni, contribuiscono ad aggiungere qualche novità in più. Nonostante questo, però, è la struttura generale a non subire cambiamenti di sorta fino al raggiungimento del level cap e dell'end-game.

La mancanza di innovazione nella formula generale fa storcere il naso, ma sarebbe superficiale bollare The Division 2 come un semplice re-skin. Innanzitutto perché il primo The Division traeva dalle sue meccaniche la propria forza, che quindi Ubisoft ha comprensibilmente mantenuto inalterate. Il vero problema, lo ricordiamo ancora una volta, è stato l'end game, non tutto quello che portava ad esso.

I fan della prima ora si sentiranno quindi a loro agio e non vedranno l'ora di tornare a far fuori orde di nemici una dopo l'altra, senza dover reimparare nulla da zero, cercando di scovare la giusta combinazione tra corazze e bocche da fuoco per ottenere la massima efficacia.

La storia in single player presenta un'impostazione fin troppo in linea con quella vista nel primo capitolo della serie.

In secondo luogo dobbiamo ricordarci di guardare al genere tenendo in conto le potenzialità sul lungo termine, ed il fatto che Ubisoft ha annunciato da tempo di essersi focalizzata su ciò che nei prossimi mesi dovrà essere capace di tenerci incollati alla sua licenza.

Tenendo ben presente queste premesse, abbiamo impiegato come previsto circa 30 ore per raggiungere il level cap ed eliminare le fazioni delle Iene, dei True Sons e dei Reietti dal territorio di Washington, e vedere le sequenze finali. Una volta giunti a questo punto, però, la missione si è rivelata tutt'altro che compiuta. Un altro nemico ha preso nuovamente possesso di tutta la mappa: sono i Black Tusk, un vero e proprio esercito più che una gang, attrezzati con le migliori tecnologie militari. Più che un game plus, è un'avventura tutta nuova.

Siamo rimasti piacevolmente stupiti dal cambio repentino della situazione di gioco. Di colpo la visuale a volo d'uccello sulla mappa riaccende di rosso tutti i segnalini precedentemente colorati di verde, e le minacce sono molte di più. Se prima le attività erano già tante, ora colmano quasi tutto lo spazio possibile, dando vita ad un'area di gioco aperta in cui succede sempre qualcosa e che ci mette a dura prova ad ogni angolo di strada. Resta poco credibile dal punto di vista narrativo ma è un aspetto sul quale ci sentiamo di chiudere un occhio.

Le missioni principali e secondarie vedono ora protagonisti nemici diversi e più avanzati, e il gioco si fa davvero tosto. Ogni missione può durare facilmente più di mezz'ora, e dovrete scatenare l'inferno per uscirne vivi. Affrontandole, abbiamo capito che è qui che si scopre il vero The Division 2. La differenza con la campagna principale è abissale. Durante tutta la prima parte, combinando le forze con altri tre agenti si fa presto a liberarsi anche degli avversari più corazzati e meglio armati, mentre contro i Black Tusk bisogna dar fondo a tutte le proprie risorse.

Dopo l'apparente fine della storia, la mappa si riempie nuovamente di eventi e compiti da svolgere, sorprendentemente di numero maggiore rispetto al primo ciclo di missioni.

Il gioco di squadra si fa più importante grazie alla componente ruolistica, che finalmente acquista maggior peso, imponendo di combinare quanto meglio possibile il vostro equipaggiamento al fine di essere il più utili possibile agli altri membri del team. Avere un Clan con cui poter parlare è quasi obbligatorio nelle missioni più difficili, in modo da poter decidere chi sceglierà le abilità, l'attrezzatura e l'atteggiamento più o meno offensivo. Basta una mod infatti a cambiare l'assetto di un drone, che può fargli sputare fuoco o emanare un fluido curativo su un compagno di squadra. Tutte possibilità che vi faranno trascorrere piacevoli ore nella gestione di ciò che vi siete conquistati duramente sul campo.

Un'altra scelta fondamentale da fare una volta raggiunto il livello 30 è quella della Specializzazione. Al momento, e non escludiamo che in futuro ne arrivino altre, ce ne sono tre che sbloccano altrettante armi speciali e alberi di abilità. Il bello è che si può cambiare Specializzazione in ogni momento, ma si può tenere soltanto un'arma speciale per volta. Dopo aver sbloccato tutte le capacità della classe Esperto di Sopravvivenza, con tanto di balestra a dardi esplosivi, abbiamo letteralmente cambiato il modo di approcciarci a qualsiasi missione, il che ci ha convinto definitivamente dell'efficacia di questa nuova sezione.

Nella battaglia contro i Black Tusk, la progressione a livelli fa spazio a quella basata sul punteggio dell'equipaggiamento, già vista alla fine del primo capitolo. Ed è qui che parte il grinding tipico del genere, alla ricerca dell'arma o dell'armatura sempre più rara e potente. The Division 2 risolve così una delle magagne più pesanti del passato, ovvero la noia di dover ripetere sempre le stesse missioni in attesa che il boss di turno lasci cadere a terra un pezzo di grado maggiore di quello in nostro possesso.

Lo si fa anche qui ovviamente, parliamo pur sempre di un looter shooter, ma ci sono talmente tanti eventi sulla mappa che ci vorrà davvero molto tempo prima di dover ripetere la stessa missione. Con tutta probabilità, in quel momento, arriveranno i DLC ad evitare che la ripetitività prenda il sopravvento. E non è finita qui. Il vero game plus è rappresentato dal livello del mondo di gioco, che può arrivare fino all'undici, dove nemici e loot diventano raggiungono la fascia più alta.

I Black Tusk sono nemici temibili: hanno addirittura dei mech a loro disposizione

Nel caso siate degli Agenti particolarmente talentuosi e capaci di portare a termine la lunghissima lista di cose da fare in modo rapido, basta aprire le porte della Dark Zone per avere sempre una sfida a disposizione. Le cose non sono cambiate molto rispetto al primo The Division: l'obiettivo è sempre aprire quelle maledette casse di rifornimenti e arrivare vivi al punto di estrazione. L'esperienza nella Dark Zone segue un percorso tutto suo, diverso da quello in single player, e si porta dietro tutta un'altra serie di perk unici sfruttabili in queste aree. Grazie ai Clan finalmente è possibile dare un'identità alla nostra squadra, personalizzabile con tanto di stendardi.

Ci sarebbe ancora tanto da dire, ma possiamo confermare che The Division 2 ha mantenuto la promessa fatta. La mappa che cambia in modo dinamico, il multiplayer attivabile in ogni momento, i nemici più duri e gli alberi di abilità da completare, sono le soluzioni trovate da Ubisoft per tenere in piedi la struttura di gioco per tanto tempo a venire. Non si è avuto il coraggio di intaccare il classico game loop e il comparto narrativo resta immutato, è vero, ma l'end game è davvero ricco di attività e regala finalmente agli Agenti più appassionati quello che hanno sempre chiesto: dei motivi validi per proseguire nella ricerca spasmodica del loot successivo. È tempo dunque d'imbracciare nuovamente le armi e rivestirvi dello stemma della Divisione: la capitale degli Stati Uniti ha bisogno di voi!

9 / 10
Avatar di Michele Sollazzo
Michele Sollazzo: Provenendo dalla leggendaria regione del Molise, non poteva fare a meno di vivere avventure in mondi virtuali. Dopo un'infanzia vissuta tra gli arcade dei bar diventa adulto firmando petizioni per far uscire Shenmue 3. Ora è passato a Outcast 2.

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