Amnesia: Rebirth - recensione
“Paura, oblio, speranza. È così semplice”.
Un sibilo di vento, il metallo che geme lamentoso, il caldo soffocante. Appiccicoso, pesante sulla pelle come un passeggero inaspettato e petulante che aggiunge una zavorra quasi insostenibile, che spezza le gambe fisicamente a una persona che sotto tanti aspetti mentalmente le ha già viste spezzarsi da tempo, sotto il peso di macerie forse troppo insostenibili per chiunque.
Tasi non sarà una superdonna, non avrà poteri da avventuriera da far invidia all'eroe macho di turno ma è viva e anche la sua speranza lo è più che mai. Tra i rottami di un aereo abbandonato a se stesso nel deserto algerino, però, Tasi dovrà scendere a patti con una verità che forse fa troppo male. Anche la speranza porta con sé un passeggero ingombrante e soffocante: la paura.
Paura. Essenza di ogni lavoro di Frictional Games, cardine centrale di una software house che dal 2007 ha sempre cercato di fuggire dalla banalità in un settore che il più delle volte fonda il proprio successo proprio su quella banalità, sulla comodità di una scelta sicura e priva di rischi. Ma questo team svedese costituito da una ventina di persone sembra non aver mai apprezzato le cose scontate. D'altronde dopo un successo praticamente unanime di critica e pubblico raggiunto grazie ad Amnesia: The Dark Descent sarebbe stato facile realizzare subito un sequel o perché no un franchise.
E invece no. Amnesia: A Machine for Pigs venne affidato a un team esterno (The Chinese Room, studio capace ma più avvezzo a giochi narrativi che a survival horror) per dare il giusto tempo e spazio di maturazione al seme che germogliò nell'affascinante orrore sci-fi ed esistenziale di SOMA. Ma proprio dopo SOMA la voglia di tornare in qualche modo nell'universo di Amnesia divenne troppo forte per essere ignorata. Il problema rimaneva soltanto uno: come?
"Il punto è che in uno shooter spari ai nemici, in un puzzle game risolvi puzzle e in un gioco di strategia crei strategie ma non c'è davvero un'attività centrale dei giochi horror...è tutta una questione di emozioni che evochi. Penso sia piuttosto diverso da come si approccino altri generi e aggiunge molto più focus sul modo in cui strutturi la narrazione. Penso che sia un modo molto interessante di creare videogiochi".
Parole di Thomas Grip, co-fondatore e creative director di Frictional Games, che in un'intervista con i colleghi di Eurogamer.net ha sottolineato un punto cruciale di Amnesia: Rebirth, un progetto nato come un semplice sequel dell'iconico Amnesia: The Dark Descent ma poi cresciuto rigogliosamente in quello che vuole essere il distillato di più di dieci anni di esperienza nel genere horror. Ci saranno davvero riusciti?
Chi tra voi si sarà tuffato immediatamente a fine recensione per leggere velocemente l'amato/odiato voto numerico ha già la risposta ma dobbiamo ammettere che non tutto ha funzionato per il meglio e qualche compromesso c'è stato. In questo senso, nel caso in cui la nostra politica lo avesse previsto, molto probabilmente un 8,5 sarebbe stata la nostra scelta finale perché nel ritorno ad Amnesia qualcosa di SOMA è purtroppo andato perduto. Va sottolineato come si tratti anche di gusti e preferenze ma le tematiche filosofiche e non toccate dal precedente progetto di Grip e soci ci avevano colpito con più forza rispetto a un Amnesia: Rebirth che sceglie una strada molto più emozionale e personale fortemente legata alla protagonista.
Una protagonista che può contare su un doppiaggio in lingua inglese efficacissimo (sottotitoli in italiano perfetti) e che è risultata molto più convincente del Daniel di The Dark Descent o del Simon di SOMA. Paure, speranze e rimorsi prendono vividamente forma durante il viaggio di una giovane donna alla disperata ricerca non solo della salvezza ma anche dei propri ricordi e di una risposta credibile ai luoghi e agli esseri che incontra. Perché il deserto algerino, già di per sé scelta coraggiosa per un horror incentrato sull'oscurità, è solo l'inizio, un punto d'accesso a un universo che regala setting molto più vari rispetto al passato di Frictional Games e che gioca costantemente con il lore di Amnesia.
Il titolo d'altronde è godibilissimo anche da chi non ha mai visto con i propri occhi la follia celata dal Castello di Brennenburg ma chi invece lo ha fatto si troverà di fronte a molti riferimenti e a qualche gradita risposta. Una serie di collegamenti che tratteggiano una mitologia molto più complessa e vasta di quel che ci si potrebbe aspettare. È un lavoro di "costruzione" di un universo da non sottovalutare e che si poggia su soluzioni narrative come flashback e documenti testuali fortunatamente mai troppo lunghi o eccessivi. Si rimane così spiazzati esattamente come la povera Tasi quando il deserto, le caverne, le oasi e i villaggi abbandonati lasciano spazio a forti misteriosamente vuoti, tombe spettrali ma soprattutto a luoghi lontani e ignoti.
Torna così con assoluta prepotenza il dualismo fascino/terrore verso l'inconoscibile e verso ciò che non sembra sposarsi con spiegazioni logiche e terrene. Un po' di sano orrore lovecraftiano che influenza e si lascia intravedere in più di un'occasione ma che rimane solo un accenno, una ispirazione da cui delineare una cosmogonia nuova, inquietante e disturbante che sa regalare ambientazioni e spaventi spesso inaspettati.
E dato che abbiamo appena accennato agli "spaventi" tagliamo la testa al toro: Rebirth sa terrorizzare quanto The Dark Descent? Difficile rispondere con un assoluto considerando gli anni passati e l'influenza di SOMA sulla gestione e la calibrazione di questo aspetto. Sicuramente Frictional sta continuando la propria evoluzione verso un survival horror più raffinato e capace di non mostrare troppo il fianco a causa della propria natura indie. Merito di un comparto tecnico e artistico migliorato con decisione e di un engine, l'HPL 3, che per quanto sia lo stesso è stato decisamente perfezionato regalando un'interazione fisica, modelli, texture e animazioni molto più curati e semplicemente belli da vedere.
Con questo passo in avanti i benefici sono innumerevoli pressoché in ogni sfaccettatura del gameplay. I nemici sono meno grotteschi ma altrettanto spaventosi e realistici (per quanto possano esserlo) e sfruttano anche una IA migliorata con la loro capacità, in alcuni casi, di fiutarci trasformando un nascondiglio apparentemente perfetto in una potenziale trappola. D'altro canto anche il nostro alter ego, Tasi, è molto più agile e realistica durante gli spostamenti in puro stile stealth ma anche in quelli più rapidi e disperati. Le corse a perdifiato e i momenti di pura adrenalina e panico sono infatti molto più godibili grazie a una limatura tecnica che sa lasciare il segno e che permette la nascita di un horror fedele al passato di Frictional ma palesemente migliorato in spettacolarità e capacità registiche.
Si tratta di un gioco che riesce a muoversi con grazia sulla sottile linea che sta tra l'eccessivamente scriptato e guidato, il puro story-driven lineare in ogni aspetto e il survival horror fatto di stealth, esplorazione, puzzle, jump scare (pochi per fortuna) e atmosfera che si pretende da un Amnesia che si rispetti. Un mix di tradizionalismo e voglia di cambiare che si manifesta anche nel ritorno dell'inventario e degli indispensabili fiammiferi e lanterna così cruciali contro l'oscurità e una perdita di sanità mentale che viene contestualizzata, così come la morte, in modi inaspettatamente coerenti dal punto di vista narrativo e che, come confermato prima del lancio dagli sviluppatori, sono legati a una sorta di strana malattia.
Chi conosce i precedenti lavori degli sviluppatori si sentirà per lunghi tratti a casa con questo nuovo horror in prima persona che ci immerge molto spesso nell'oscurità chiedendoci di resistere alla tentazione di usare troppi fiammiferi o prezioso olio della nostra lanterna e che ci vede alle prese con la manipolazione di oggetti da ruotare, combinare o semplicemente spostare fino ad arrivare a qualche puzzle più complesso che pretende spirito d'osservazione, esplorazione, inventiva e un pizzico di backtracking all'interno di macrolivelli più vasti e decisamente meno anonimi che in passato. Si creano dei mini-hub esplorabili anche in ordine differente e in cui gli sviluppatori, come già fatto in passato, giocano con i giocatori sovvertendo aspettative e sicurezze.
Non è solo una questione di tensione derivante dall'atmosfera o dalla ricercatezza di suoni e musiche né tanto meno quella concepita sfruttando solo precise scelte registiche. Certo, c'è anche questo nel calderone dei creativi svedesi ma c'è anche la capacità di sovvertire le aspettative, di piazzare nel momento giusto il colpo di scena che svolta completamente fasi di gioco sulla carta calme e riflessive e che trasformano quella che pare una zona sicura nell'ennesimo incubo che rischia di cancellare definitivamente le speranze della povera protagonista. È quel ribaltamento completamente inaspettato capace di lasciare un segno molto più netto del solito jumpscare fatto di rumori assordanti e trucchetti visivi. Un ribaltamento che si manifesta anche con una manciata di oggetti e meccaniche dall'effetto addirittura sorprendente.
Amnesia: Rebirth è un viaggio lungo circa 11 ore, un'odissea fatta di mostri da evitare e da cui fuggire (come da tradizione niente combattimento) ma anche di scelte complicate, che spingono l'amore incondizionato verso un incontro con la disperazione che mette di fronte a bivi che vista la situazione vestono di appetibilità azioni in realtà troppo orribili per essere anche solo pensate. Azioni e conseguenze che ci accompagnano verso un finale leggermente affrettato che noi stessi, anche con decisioni sofferte, possiamo plasmare in una manciata di modi diversi.
Non sappiamo affermare con certezza assoluta se questo sia o meno il punto più alto toccato da Frictional Games. Per certi aspetti sì, per altri molto meno e da un'altra prospettiva fa tutto parte di un percorso di perfezionamento e di crescita. La sensazione che il gameplay abbia raggiunto una formula leggermente troppo standard tra stealth, puzzle legati alla fisica e non, fughe a rotta di collo, interazione con l'ambientazione e binomio luce/oscurità si è fatta largo in alcuni frangenti così come l'impressione che il lore presentato sia addirittura troppo complesso e ricco per essere apprezzato efficacemente.
Tuttavia sono sensazioni parziali, frammentarie, momentanee. Ciò che sappiamo con certezza è che Amnesia: Rebirth è nato come un semplice sequel per poi cercare qualcosa di più e anche questo è lodevole. "Volevamo riprendere quanto fatto da Amnesia ma creare un gioco capace di far riflettere e lasciare il segno. Anche dopo i titoli di coda", ha più volte sottolineato Grip. E sotto questo aspetto sicuramente Tasi resterà con noi per parecchio tempo.