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Paradise Lost - recensione

Affrontare il dolore non è mai stato così intenso...

Immaginate un'Europa diversa da quella attuale: un mondo devastato e irriconoscibile, vittima dei rimasugli di un tempo perduto, prosciugato da qualunque flebile e umana speranza.

La Seconda Guerra Mondiale è proseguita per vent'anni senza alcun vincitore, con gli Alleati e i nazisti a darsi battaglia. Prima che pensiate di essere di fronte al nuovo Wolfenstein o a una sua imitazione, Paradise Lost del team polacco PolyAmorous è quanto di più distante dal fortunato FPS sviluppato dai MachineGames.

Impersoniamo Szymon, un ragazzino di dodici anni, che vive nelle aride e fredde lande di una Polonia post-apocalittica a causa delle bombe nucleari sganciate dal Terzo Reich qualche anno prima. Attirato da un misterioso bunker nazista abbandonato, decide di esplorarlo per cercare informazioni su un uomo raffigurato in una vecchia fotografia della madre, scomparsa prematuramente.

Paradise Lost è un'avventura dinamica tridimensionale ispirata a What remains of Edith Finch e The Vanishing of Ethan Carter, per le sue atmosfere ansiogene con una visuale in prima persona, in grado di catapultarci in uno scenario da non sottovalutare per la sua profondità evocativa e grottesca.

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La trama è il punto focale, da sviscerare avanzando nell'esperienza, su cui riflettere mentre ci muoviamo in un level design semplice e convincente, esplorando i patemi del nostro animo nelle cinque fasi dell'elaborazione del lutto: il diniego, la rabbia, la negoziazione, la depressione e l'accettazione. Di certo non è un argomento facile da gestire per una casa sviluppatrice indipendente, soprattutto al giorno d'oggi; eppure Paradise Lost riesce a scalfire la nostra sensibilità, interfacciandoci con l'imprevedibilità della vita. Si tratta di una narrazione matura e fresca, molto evocativa e da cui trae alcuni elementi significativi dalle letture più iconiche della letteratura moderna.

Il gameplay di Paradise Lost è molto semplice: spazia dall'esplorativo all'investigativo, in cui però prevale il suo animo story-driven. L'interazione permette di sbloccare delle porte, accedere a dei monitor che ci aprono la strada a nuove aree di gioco e per salire o scendere da una zona a un'altra, con dei movimenti limitati per via del suo animo narrativo. Per sbloccare l'ingresso a nuova sezione dobbiamo premere il tasto destro del pad e utilizzare l'analogico, una scelta interessante che non intacca affatto la fluidità del titolo. Insomma, nulla di nuovo dal punto di vista ludico, ed è questo il miglior pregio di Paradise Lost: s'ispira ad altri titoli più blasonati e originali senza strafare, migliorando alcune particolarità interessanti nel corso dell'esperienza, spingendosi ben oltre alla distopia conosciuta in 1984 di George Orwell.

Paradise Lost offre una trama attenta ai dettagli e ispirata alla mitologia slava, che scopriamo in maniera approfondita nelle ultime due sezioni del gioco. Ma è l'esplorazione l'aggiunta più rilevante: inoltrandoci sempre più a fondo nel bunker nazista, scopriamo delle lettere con delle informazioni inquietanti che si incastrano ottimamente alla storia, consentendoci di capire più a fondo l'oscuro e orribile passato del luogo in cui siamo capitati.

Una delle parti iniziali del bunker, in cui facciamo la conoscenza con uno dei protagonisti più interessanti del titolo...

Ad averci colpito sono i dettagli racchiusi in ogni singolo documento, che riguardano indirettamente Szymon e sua madre, oltre allo strano individuo raffigurato nella fotografia, di cui non conosciamo alcunché. Senza fare spoiler, l'avventura dei PolyAmorous è imprevedibile nonostante la sua linearità, che non intacca ma esalta il ritmo di gioco e le cinque fasi del lutto, proposte ed elaborate con delicatezza.

La loro evoluzione è simile a quella presente in Rime, con livelli dedicati in cui viene trattata ciascuna emozione in maniera diretta, scoprendo i filamenti che ci legano al bunker e al nostro triste passato. "Io resterò sempre con te, ovunque sarò". Durante la fase dell'accettazione, è inevitabile che si possa sentire un peso nel cuore proveniente direttamente da quello che ci lega a una persona, che consideriamo importante allo stesso modo del piccolo Szymon: è il naturale corso dell'amore, che si manifesta anche nei momenti più difficili. In Paradise Lost ogni stadio è narrato con delicatezza e senza forzature, amalgamandosi nella storia trasmettendoci le stesse sensazioni dei suoi ricordi sulla madre, che non riesce a lasciare andare.

La scrittura dei dialoghi è buona, sebbene non faccia urlare al miracolo. Paradise Lost è un titolo che punta più sulle sensazioni rispetto ai soliti approcci dei videogiochi di questo genere, proponendosi senza grandi pretese ma differenziandosi dalle solite avventure story-driven per un profilo registico più realistico e brutale, pur non innovando la formula già vista in altre produzioni simili. Ma se questo valore è da noi così decantato, è per merito delle atmosfere intense racchiuse al suo interno, che lasciano spazio ai ragionamenti più disparati sul senso della vita. In base a come affrontiamo l'esperienza, quello che ci circonda cambia per le importanti scelte che intraprendiamo: da esse dipende il futuro del mondo, nonostante le opzioni siano poche (ma decisive) nell'evoluzione dell'intricata trama di gioco.

Segni di un passato ormai decaduto, in cui persino l'arte era sotto il controllo del Terzo Reich.

Paradise Lost spazia da ambientazioni asfissianti e oscure, ad aperte e all'apparenza normali. Nel corso dell'esperienza ci siamo imbattuti in un bistrot con un microfono rotto su un palco e in una stanza con il poster di una cantante lirica tedesca, simboli di una normalità perduta a causa della guerra e delle bombe atomiche sganciate dalla Germania nazista su una Polonia già devastata dall'invasione del '39.

La direzione artistica è valida ed evocativa: passiamo da statue che raffigurano un culto antico, ai freddi corridoi nazisti che portano a delle stanze inquietanti e angoscianti, che sbalordiscono per il design curato e appagante.

Sul lato tecnico abbiamo riscontrato diversi bug, che però non hanno minato l'esperienza e la godibilità del prodotto, nonostante qualche calo di frame rate già risolto con la patch del Day One.

L'Unreal Engine 4 è ben sfruttato e godibile: il team l'ha saputo utilizzare, definendo anche i dettagli più piccoli e insignificanti. Un'impresa non da poco, considerata la prima esperienza del team polacco con un videogioco di tale portata, con alcune limitazioni che non pregiudicano affatto il buon lavoro svolto sotto il profilo tecnico e di ottimizzazione.

La spietatezza del Terzo Reich ha raggiunto luoghi che credevamo sicuri. Non pensavamo che sarebbe arrivato anche sottoterra.

Se ci sono da fare i complimenti, è inevitabile menzionare il comparto sonoro nonché le toccanti composizioni musicali, che regalano degli istanti intimi e molto personali nei momenti più toccanti dell'avventura.

Nonostante la longevità si attesti sulle cinque ore, la rigiocabilità è assicurata grazie alla possibilità di rivivere l'esperienza compiendo scelte differenti, con dei finali multipli che vi raccomandiamo di conoscere se volete curiosare ogni sua sfaccettatura. Purtroppo non è presente la localizzazione in italiano, sebbene i dialoghi tradotti in inglese siano assolutamente comprensibili.

Paradise Lost è un videogioco ispirato ai prodotti più iconici del genere story-driven, che è riuscito a convincerci grazie alla sua semplicità. Purtroppo non osa a sufficienza, ma non è una critica al valore effettivo del team di sviluppo, che ci ha sorpreso per la naturalezza con cui è riuscito a raccontare la triste storia di Szymon, un protagonista spaventato dal mondo, desideroso di dare un senso alla sua vita e alla memoria della madre, venendo a capo degli oscuri segreti di un bunker nazista che nasconde ben più di qualche scheletro nell'armadio.

Un prodotto delicato ma intenso, su cui vale la pena di investire per i messaggi al suo interno, che ci hanno sorpreso e convinto. Inoltre vi consigliamo di procurarvi un pacco di fazzoletti, poiché c'è la seria possibilità che possiate commuovervi, una volta esplorati tutti i finali disponibili.

7 / 10
Avatar di Nicholas Mercurio
Nicholas Mercurio: Classe '95, Nicholas ama i videogiochi difficili e gli RPG, non disdegna gli indie e fa incetta di titoli ogni volta che può, per riempire la sua preziosa collezione. Uno scapestrato, in tutto e per tutto.

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