Horizon Forbidden West Recensione: Aloy non è più sola
Più grande, più bello, più curato. Eppure uguale a se stesso.
È passato appena un anno, nell'ipotetico mondo post-apocalittico di Horizon, tra gli eventi narrati in Zero Dawn e quelli di Forbidden West. Nella realtà però ne sono passati quasi cinque ed è considerando questa asincronia che ci apprestiamo a recensire la nuova fatica dei talentuosi Guerrilla Games. Perché un lustro nel mondo dei videogame è una vera e propria era geologica, e in questo lasso di tempo certe formule ludiche possono resistere ai graffi del tempo oppure mostrare le prime smagliature.
Per chi non lo sapesse (ma esiste davvero qualcuno?), quella di Horizon è la risposta di Sony ad Assassin's Creed, ossia un videogioco appartenente al genere degli open world che mette a disposizione una trama fantascientifica, una mappa enorme e tanti punti di domanda sulla stessa da scoprire uno dietro l'altro (per i completisti) o da ignorare bellamente tirando dritti fino al finale (per chi nella vita va di fretta). Perdendo però in questo modo le missioni secondarie e tutti quelli approfondimenti necessari a godere appieno il lavoro degli sceneggiatori.
Un altro punto in comune con la saga di Assassin's Creed lo si trova nella trama, che in questo caso ci narra la storia di un'umanità che, raggiunto il suo apice tecnologico, viene spazzata via da un cataclisma che riporta le lancette del progresso alla preistoria.
Nel mondo di Horizon coloro che hanno fatto parte della prima civilizzazione prendono il nome di Precursori, in quello di Assassin's Creed si chiamano Isu. In entrambi i casi, agli occhi dell'umanità imbarbarita che li scopre e li studia, appaiono come delle divinità. Sempre come in Assassin's Creed, anche in questo caso ci troviamo ad avere a che fare con un pantheon di divinità classiche (Apollo, Giunone, Artemide, e via dicendo), che nel caso di Horizon sono però le intelligenze artificiali agli ordini di Gaia, l'IA più potente nonché quella con l'incarico più gravoso: ricreare la vita dopo l'estinzione causata dalle malefatte di Ted Faro, ingannevole multimiliardario che è il deus ex machina della sceneggiatura.
Ovviamente le cose non sono andate secondo i piani: innanzitutto perché Ted Faro, nel disperato tentativo di coprire i propri errori, oltre che sbarazzarsi degli scienziati coinvolti nel progetto New Horizon, ha disabilitato Apollo, l'IA che doveva istruire gli umani usciti dalle capsule di clonazione dopo un lungo processo di terraformazione, precipitando così la civiltà in una nuova preistoria. E poi perché Efesto, l'intelligenza artificiale deputata alla creazione dei robot che dovevano aiutare l'uomo, impazzisce creando quei Terminator giurassici che hanno reso celebre la serie.
Gli eventi di Horizon Forbidden West partono poco dopo quelli narrati in Zero Dawn, con la protagonista Aloy impegnata in una corsa contro il tempo per bloccare il proliferare di una piaga che sta distruggendo qualsiasi ecosistema (e che ricorda molto da vicino quella vista in Kena Bridge of Spirits). Ancora una volta ci troviamo a dover fare i conti con Sylens, sempre interpretato da Lance Reddick (Law & Order, CSI: Miami, Lost, Fringe e Bosch, tra i tanti, ma anche Quantum Break e Destiny, essendo la voce di Zavala). Come sempre la sua posizione nei nostri confronti sarà ambigua e non capiremo mai quanto fidarci di un personaggio sempre un passo avanti ad Aloy.
Il gioco, per farla breve, parte da queste premesse: siamo in lotta contro il tempo per salvare l'umanità dall'estinzione, Sylens compie azioni apparentemente ostili che però dice essere nel nostro interesse, e per sbrogliare i nodi della matassa siamo costretti a intraprendere un lungo viaggio a Ovest, in un luogo proibito (da cui il nome dell'episodio) perché abitato dai Tenakth. Ossia da una tribù guerriera molto feroce e molto arrabbiata coi Carja (e con chiunque li rappresenti) per via dei massacri perpetrati dal Re Sole, il precedente monarca che Aloy stessa ha contribuito a deporre nel primo episodio.
Superata questa fase preliminare e preparatoria, giunge il momento di entrare un po' più nelle meccaniche del gioco. Ed è qui che Forbidden West mostra i suoi pregi ma anche i suoi difetti. Quanto ai primi, abbiamo lo stesso impianto tecnico ammirato cinque anni fa, ovviamente portato ai massimi livelli e capace di assestarsi al top della categoria.
Se gli scenari sono indubbiamente ammirevoli ma non tali da stupire come all'esordio del motore grafico Decima (nonostante registriamo un miglioramento del frame rate, della profondità di campo e texture più definite), l'ultima fatica dei Guerrilla Games colpisce per le animazioni dei personaggi durante i tanti dialoghi, nonché nella loro espressività. Il tutto, peraltro, scongiurando quell'effetto uncanny valley che è sempre dietro l'angolo quando i videogame tentano la strada del realismo (vedi Matrix Awakens, per fare un esempio recente).
Il mondo open world descritto in Forbidden West, dalle dimensioni mastodontiche, è anche stavolta di una varietà ragguardevole e propone un viaggio che va idealmente dallo Utah alla California. Durante il suo percorso, Aloy si trova ad attraversare canyon e praterie, a scalare gelide montagne e a sopravvivere al torrido deserto del Nevada, dove troviamo una Las Vegas che stupisce grazie a un colpo di sceneggiatura (e di scenografia) davvero magistrale. Tutto ciò senza disdegnare paludi, i boschi altissimi di quello che pare essere il Sequoia Nationl Park, fino ad arrivare alle coste del Pacifico in una San Francisco raffigurata in un'inedita veste tropicale (sarà per il riscaldamento globale?).
Purtroppo però i Guerrilla devono essersi convinti che la mappa non solo doveva essere aumentata in dimensioni ma che doveva essere costellata di ancora più punti d'interesse, alcuni realmente interessanti (e da scoprire col minigame dei Punti Panoramici), altri invece totalmente trascurabili e messi lì giusto per farci spendere più tempo nel gioco.
Immancabile (visto il genere) anche la caccia al collezionabile e ciò si traduce in una non indifferente quantità di scatole nere, droni e artefatti da collezionare. Se poi allarghiamo il discorso ai documenti da leggere o da ascoltare, il risultato che si ottiene approcciando il gioco da completisti è di atterrimento più che d'intrigo.
Peraltro la metà (a essere buoni) dei documenti che ci vengono proposti sono irrilevanti ai fini della trama. "Con queste pareti, il cratere e tutto il resto, sarebbe uno stadio fantastico. Però manca il chiosco degli hot dog", è un esempio di quei momenti in cui il gioco ci tira la giacca per richiedere la nostra attenzione, senza però altro motivo se non farci perdere tempo.
Ci sarebbe poi da discutere a lungo, a livello di suspension of disbelief, di tutti quei registratori ancora perfettamente funzionanti dopo un millennio di abbandono, dislocati peraltro in rovine spesso crollate su sé stesse. E sebbene comprendiamo che il documento (vocale e/o scritto) piazzato in giro per la mappa sia ormai lo standard narrativo (e in questo caso, un retaggio del primo episodio), ci piacerebbe che qualcuno osasse proporre un espediente meno logoro e più plausibile.
Il bestiario immaginato dai Guerrilla Games in Zero Dawn qui viene ripreso e ampliato con l'aggiunta di nuove creature meccaniche pronte a farci la pelle. Come già accaduto in passato, il loro design è molto articolato e propone una serie di punti deboli da aggredire cum grano salis, soprattutto ai livelli di difficoltà più alti.
Alcuni di essi sono indistruttibili, sono accessibili dopo aver fatto saltare le coperture che li proteggono e, se colpiti, arrecano un grande danno. Altri invece vanno aggrediti preferibilmente con frecce della giusta tipologia, così da staccarli o da innescare una reazione a catena.
Un serbatoio di vampa, pertanto, andrà colpito con frecce incendiarie; una sacca d'acido, se trafitta da frecce corrosive, danneggerà gravemente il resto della creatura, mentre alcuni parti elettroniche andranno bersagliate da frecce elettriche, che manderanno temporaneamente KO il nemico permettendoci di infierire con attacchi speciali in corpo a corpo.
La stessa filosofia la si applica alle trappole, ai lancia cavi, ai lancia dischi e a tutto l'armamentario che propone Forbidden West. Il quale, in una sorta di bulimia ludica, è tale e tanto da creare qualche problema.
Ogni creatura meccanica è generalmente vulnerabile a uno specifico elemento ma i suoi punti deboli possono essere sensibili ad altri. L'iconico Divoratuono, ad esempio, è vulnerabile all'acido, al fuoco e al gelo, oltre che alla lacerazione. Le nostre armi, però, sparano solamente dardi relativi ad alcuni elementi e non ad altri, col risultato che l'arco con frecce da gelo ed elettricità che magari abbiamo equipaggiato non è adatto a quel nemico, che invece è vulnerabile a gelo e acido.
Potremmo avere in inventario un'arma che faccia al nostro caso ma magari non è della tipologia che s'adatta al nostro modo di giocare: supponendo che noi si preferiscano gli archi da guerra, potremmo trovarci costretti a usare un lanciatrappole o un arco veloce. Non bastasse, poi, spesso s'incontrano branchi di creature di vario genere, ognuna con le sue vulnerabilità elementali.
Se a questo aggiungiamo il fatto che di ogni bestia meccanica esistono diverse varianti (dalle 4 dei Rovistatori alle 16 dei Foraterra), anch'esse con diverse vulnerabilità, il risultato è che si finisce col tenere in inventario tutti gli archi che raccogliamo, anche quelli verdi, così da non trovarci costretti a snaturare il nostro stile di gioco.
Comunque vada, la conseguenza (più grave) è che ci si trova a frammentare i combattimenti mettendo spesso in pausa il gioco, così da equipaggiare l'arma giusta per quel nemico e i suoi punti deboli, salvo poi tornare all'inventario ed equipaggiare un'altra arma adatta al nemico successivo.
Un problema analogo si presenta coi vestiti, che in media conferiscono bonus al corpo a corpo, allo stealth, all'utilizzo delle trappole o ai danni elementali. Supponendo di voler compiere un'azione in cui prima posizioniamo delle trappole, quindi colpiamo dalla distanza nascosti nei cespugli e infine passiamo al melee, ci troveremmo a dover cambiare vestiario tre volte nell'arco dello stesso combattimento.
Chi volesse finire Forbidden West al massimo livello di difficoltà si prepari dunque a continui cambi di arma e di vestiti, perché ovviamente più il gioco si fa duro, più bisogna massimizzare i danni elementali e i bonus derivanti dall'armatura. Gli altri, invece, potrebbero prendere in considerazione di abbassare il livello di difficoltà. Non vogliamo certo improvvisarci game designer ma sarebbe stato molto meglio se dalla classica ruota delle abilità si fossero potute scegliere le frecce da incoccare anziché le armi da usare, ma tant'è...
Tutto ciò vale quando ci si tiene a distanza. Quando invece si passa al corpo a corpo, Forbidden West passa dall'essere cervellotico all'essere impreciso. Mentre in questi cinque anni gli Assassin's Creed hanno strizzato l'occhio al combat system dei Souls, qui ci troviamo di fronte a un melee in cui i nemici ci caricano a testa bassa da qualsiasi distanza essi si trovino, facendo venire il dubbio dello scripting.
Non bastasse, i loro colpi alle volte ci danneggiano anche senza un contatto fisico tra i nostri e i loro poligoni, rendendo poco leggibili le cosiddette hitbox. L'assenza del lock della telecamera, rimasto immutato dal primo capitolo, se da un lato trova una spiegazione nella caoticità di alcuni combattimenti che vedono le creature saltarci addosso contemporaneamente, dall'altro porta a non vedere bene da che parte arrivino i danni. Che giungono imperterriti anche durante le animazioni degli attacchi critici ai nemici una volta che li si è atterrati, e che quindi si finisce per usare solo quando nei paraggi sono rimasti giusto un paio di avversari.
Il risultato è un gioco in cui volano botte da orbi, un po' si danno e un po' si prendono, e si usano medikit uno via l'altro. Meno male che, una volta finito il combattimento, è molto facile reperire le erbe per creane di nuovi...
Chiude il nostro elenco delle lamentele il discorso relativo alle special e agli attacchi. Forbidden West presenta un albero delle abilità più articolato che in passato (i rami erano Predatrice, Audace, Raccoglitrice e Viaggiatrice) diviso in Guerriera, Intrappolatrice, Cacciatrice, Superstite, Infiltratrice ed Esperta di Macchine. Se l'idea sulla carta pare piuttosto intrigante, come nel caso di Assassin's Creed sappiate che i completisti alla fine potranno sbloccarle più o meno tutte.
Il che è un po' un'occasione sprecata, perché la necessità di dover scegliere uno stile di gioco (e attenersi ad esso) avrebbe invogliato ad affrontare Forbidden West ogni volta in modo diverso, a tutto vantaggio della rigiocabilità. Ma, dicevamo, anche altri open world hanno scelto questa strada (lo stesso Zero Dawn in primis) e non vogliamo certo farne una colpa esclusiva dei Guerrilla Games.
Che invece ci sentiamo di criticare per il fatto che ognuno dei rami succitati possiede due Special (quindi 12 in tutto), ognuna migliorabile per tre volte, delle quali però ne possiamo equipaggiare una sola. Anche in questo caso, una volta mandate a memoria le caratteristiche di ognuna di esse (il che non è immediato), ci si trova a mettere il gioco in pausa per passare a quella più adatta alla situazione che immaginiamo di affrontare.
Non bastasse, ogni ramo possiede delle Tecniche Arma, ossia degli attacchi potenti e specifici per ogni classe di armi, che possono cambiare notevolmente gli esiti dello scontro. Anche in questo caso, però, la voglia di strafare degli sviluppatori ha portato a introdurne ben 23, utilizzabili non attraverso la classica ruota delle abilità, né permettendo una mappatura del gamepad come fa il dirimpettaio targato Ubisoft.
Per usarle bisogna tenere premuto L1 per aprire la ruota delle armi, quindi scorrere le varie abilità con la croce direzionale (a destra o a sinistra) e infine attivarle con R1. Al di là del fatto che ricordarsele tutte e 23 inizialmente non è facile, e che premendo L1 il gioco rallenta ma non si ferma del tutto, le icone (così come il testo che descrive le singole tecniche? è così piccolo che più volte ci siamo dovuti avvicinare al nostro OLED 52" per vedere cosa stavamo selezionando.
Se a tutto ciò aggiungiamo una varietà di armi davvero ragguardevole (archi da caccia, archi da guerra, archi di precisione, fionde esplosive, lancia-trappole, lancia-corde, lancia-punte, scaglia-dardi e guanti laceranti), e una quantità spropositata di elementi e di alterazioni di stato, il risultato è un mare magnum di alternative che se da un lato dimostra la volontà dei Guerrilla di soddisfare il giocatore con molteplici alternative, dall'altro si rivela ingestibile per un qualsiasi gamepad.
Giunti a questo punto, rileggendo quanto appena scritto ci si aspetterebbe una totale stroncatura del sistema di combattimento, ma non è così. Ancorché meno tecnico di quanto ci saremmo augurati, il risultato è comunque godibile. Certo, sul mercato ci sono alternative che offrono proposte più strutturate ma una volta capita l'antifona di Forbidden West, ci si adegua e ci si diverte ugualmente. Con però il dubbio che, a volersi guardare attorno, i Guerrilla avrebbero potuto proporre un combat system strepitoso e non solamente gradevole.
Dove invece il gioco ci ha convinto è nella sceneggiatura. C'è però da fare una premessa: la trama parte davvero piano e, dopo le prime ore, sembra di trovarsi in una rivisitazione di Assassin's Creed. Poi però, in concomitanza con lo sblocco della nostra base operativa (nulla di accostabile alla Ravensthorpe di Valhalla, sia chiaro), Forbidden West inizia ad assumere una propria fisionomia e il filone narrativo emergente (non diciamo nulla volutamente) prende corpo, conferendo a questa seconda incarnazione di Horizon una sua ben precisa autonomia. Che trova la massima espressione in una pirotecnica missione finale che, ne siamo sicuri, resterà impressa nella vostra memoria,
Anche la scrittura delle missioni secondarie è curata e non ci vuole molto per trovarsi proiettati nel mondo fanta-preistorico di Horizon, che ci propone decine di quest e, come vuole la tradizione, missioni personali per rinsaldare i rapporti con quelli che saranno i nostri compagni di viaggio. Compagni la cui presenza è tutt'altro che secondaria e che fanno di Forbidden West un gioco corale: Aloy non è più sola, abbiamo scritto nel titolo, e non a caso. Perché l'impresa che si trova ad affrontare stavolta è tale e tanta che sarebbe semplicemente impossibile se affrontata da sola. E sebbene già nel primo episodio la protagonista faceva amicizia con vari personaggi, in Forbidden West si ha la sensazione che essi siano molto più importanti che in passato.
Una cosa che ci ha particolarmente soddisfatti è il sistema degli Incarichi, ossia delle missioni che possiamo creare noi stessi e che indicano sulla mappa dove farmare i materiali necessari a migliorare il nostro equipaggiamento al banco da lavoro. Negli altri open world spesso ci si trova a vagare per la mappa sperando d'incappare in ciò che fa al caso nostro, qui il procedimento è personalizzabile e dunque mirato.
Questa caratteristica del gioco s'interseca con un'altra feature, molto comoda ancorché poco realistica. Aloy è infatti dotata del consueto un inventario, le cui dimensioni possono essere ampliate; una volta riempito, però, possiamo continuare a raccogliere tutto quel che vogliamo in quanto i materiali in eccesso si teletrasportano direttamente nella nostra scorta, un baule dal database condiviso presente nella nostra base e in altri punti designati della mappa.
Un gioco che si prende simili licenze poetiche per privilegiare la quality of life parrebbe sottendere un'impostazione di un certo tipo, salvo poi stupire con le gestione della cavalcatura che, anziché propendere verso gli standard del genere, sceglie l'approccio di Red Dead Redemption 2, con da uno a tre tap per determinare l'andatura, e altrettanti per ridurla.
Sempre restando in sella, avremmo anche gradito un indicatore a schermo che indicasse la strada da percorrere per andare a destinazione (cosa che peraltro sarebbe coerente con l'utilizzo da parte di Aloy del Focus, il suo dispositivo di "realtà aumentata", utile anche per le solite investigazioni). La sua mancanza, invece, costringe una volta di più a interrompere il gioco per accedere alla mappa e accertarsi di essere nella giusta direzione.
Scomodo è anche il sistema di looting, che come in passato costringe ogni volta ad almeno due pressioni del tasto: la prima per accedere all'inventario di ciò in cui si sta rovistando, la seconda per raccogliere tutto. Volendo si può scegliere cosa raccogliere o cosa lasciare a terra ma se da un lato nessuno si mette a fare cherry picking col trash, dall'altro il succitato teletrasporto degli oggetti nella scorta rende inutilmente articolato, e dunque superfluo, questo sistema di looting.
Tra le novità annunciate per questo secondo capitolo troviamo un migliorato sistema di scalata e la possibilità per Aloy di esplorare le profondità subacquee. Sotto il primo punto di vista, tutto funziona bene e il risultato è in linea con gli standard del genere. A voler essere pignoli, soprattutto quando si usa il rampino, alcuni movimenti paiono eccessivamente "scriptati", ma ci si abitua presto. Inoltre è un po' più facile cascare dalle sporgenze per via della maggiore liberta di movimento concessa al personaggio, laddove gli Assassin's Creed ne propongono uno più vincolato.
In compenso si ha una sensazione di maggiore libertà rispetto al passato e sebbene non tutte le pareti siano scalabili, si respira senz'altro una maggiore sensazione di libertà. Per vedere dove arrampicarsi è però necessario un pulse del Focus, altra feature che possiamo trovare nel rivale targato Ubisoft e che non ci ricordiamo fosse presente in Zero Dawn.
Quanto alla possibilità d'immergersi, questa è presente sin dall'inizio ma è solo proseguendo nella trama che potremo stare sotto il pelo dell'acqua per tutto il tempo che vogliamo. Una volta ottenuto il respiratore, potremo nasconderci tra le alghe per sfuggire allo sguardo dei nemici ma l'impossibilità di combattere in immersione limita le situazioni proposte dal gioco all'esplorazione o allo stealth.
La Maschera Marina non è l'unica novità presente nell'equipaggiamento di Aloy, che oltre al succitato Rampino può disporre anche di Innesco e Segatralci, utili rispettivamente a far detonare alcune concrezioni sulle pareti e a liberare certe zone da una vegetazione fin troppo invasiva. In entrambi i casi l'obiettivo è liberare l'accesso ad aree altrimenti inaccessibili, oppure sbloccare alcuni meccanismi. C'è poi l'Alascudo, una sorta di utilissimo paracadute col quale planare da alture che diversamente richiederebbero una lunga scalata verso il basso. Verso la fine del gioco si ottiene poi un override davvero speciale, che permette di esplorare il gioco come prima non era possibile, e nel cui dettaglio non entriamo per evitare spoiler indesiderati.
Rileggendo quanto scritto finora ci accorgiamo di aver più volte accostato Horizon Forbidden West ai recenti Assassin's Creed, e purtroppo ci troviamo costretti a ripeterci nel momento in cui ci troviamo a commentare arene in cui combattere per accumulare esperienza (AC Origin), un minigame di nome Batosta, diverso dall'Orlog di Valhalla ma uguale nella funzione assegnatagli a livello di di gameplay, corse a cavallo (ancora Valhalla) e infine la presenza di una pietra pregiata da scambiare coi mercanti, il Verdelume, che ammicca all'Oricalco o agli Opali di Odyssey e Valhalla.
Promosso a pieni voti il parlato di Aloy, che coi suoi pensieri ad alta voce assolve egregiamente il ruolo di aiuto non appena il gioco s'accorge che siamo bloccati di fronte a qualche enigma. Il doppiaggio in Italiano è peraltro eccellente e, tolte un paio di occasioni, l'intonazione è sempre coerente alla situazione proposta sullo schermo.
E saltando di palo in frasca, segnaliamo anche un'ottima applicazione pratica delle potenzialità del DualSense della PlayStation 5. Non siamo ai livelli raggiunti dagli Housemarque con Returnal ma basta riprendere in mano il primo capitolo della saga (che abbiamo rigiocato grazie al PlayStation Now) per avere la sensazione di trovarsi in mano un oggetto morto e non dotato quasi di una vita propria. E dunque, di avere un minor feeling con Aloy e con le sue armi.
Ci sarebbe ancora molto da dire ma il conteggio dei caratteri segnala cifre che solitamente raccomando alla redazione di non superare mai, pertanto non mi resta che passare al commento finale, che vuole assegnato a questo Horizon: Forbidden West il voto che trovate qui sotto e che, potessimo farlo, ci vedrebbe aggiungere qualche decimale.
Horizon Forbidden West è un open world molto bello da vedere, che racconta una storia avvincente narrando le gesta di un cast azzeccato. Propone anche stavolta l'abbinata tra robot e dinosauri, capace di riportarci alle passioni della nostra infanzia, ma si ferma sulla soglia del bigger and badder senza osare qualcosa di più.
Ho pensato a lungo se assegnare a questo gioco lo stesso voto dato a Valhalla, ossia un 8 con Raccomandato, ma rispetto al gioco di Ubisoft l'ultima fatica dei Guerrilla propone un sistema di combattimento che, dopo cinque anni, non è più accattivante come un tempo; mentre la user experience in alcuni casi è snella, in altri è appesantita da retaggi del passato.
Soprattutto, non vi è traccia al momento in cui scriviamo di un piano di uscite che tenga vivo l'interesse del pubblico fino al prossimo capitolo. Mentre Assassin's Creed continua a vivere a un anno e mezzo dalla sua release avvicinandosi ai GaaS, il destino di Forbidden West pare più canonico.
E se agli estimatori della serie tutto ciò basterà ed avanzerà, gli scettici della prima ora difficilmente cambieranno idea.