The Sandbox Provato: Alla scoperta dei metaversi
“Play, create, earn, govern”.
Si fa un gran parlare di metaversi ultimamente, un concetto che è sempre più sulla bocca di tutti e del quale tutti vogliono far parte, vuoi perché realmente interessati, vuoi perché vogliono salire per tempo sul nuovo carrozzone in partenza dal Web 3.0, vuoi perché sanno già che non ce la faranno ma non vogliono sembrare tagliati fuori in partenza.
Capire cosa siano, però, non è immediato perché attorno ad essi sono state sollevate varie cortine fumogene per dare nuova vita a concetti che in larga parte esistono già da tempo. Cominciamo dall'etimologia del termine "metaverso", che come molti di voi sanno è stato coniato da Neal Stephenson nel libro di fantascienza Snow Crash.
Nel lontano 1992, non senza un evidente sforzo di fantasia, lo scrittore tratteggiava una realtà virtuale condivisa tramite internet. Il fatto che si venisse rappresentati attraverso avatar in tre dimensioni dà ancora più valore alla visionarietà dell'opera, e avvicina ancor di più quanto immaginato all'epoca con quanto accade oggi.
Dove la finzione e la realtà non coincidono è nella conformazione delle ambientazioni: quelle attuali, infatti, sono mappe tridimensionali "piatte" in cui avatar e scenografie presentano una grafica cubettosa alla Minecraft. Stilosa e di moda, senz'altro, ma infinitamente più facile da gestire vista la bassa conta poligonale.
Stephenson invece immaginava il suo metaverso come "una sfera nera di 65536 km di circonferenza, tagliata in due all'altezza dell'equatore da una strada percorribile anche su di una monorotaia con 256 stazioni, ognuna a 256 km di distanza. Su questa sfera ogni persona poteva realizzare in 3D ciò che desiderava come negozi, uffici, nightclub e altro, il tutto potenzialmente visitabile dagli utenti".
Interessante è anche la visione sociale di Stephenson, in cui l'internet del futuro sarebbe stata frequentata da fasce di popolazione diverse, le cui differenze sarebbero state riflesse "dalla risoluzione dei propri avatar (da quelli in bianco e nero dei terminali pubblici, a quelli con un'ottima resa 3D per le persone agiate), e dalla possibilità di accedere a luoghi esclusivi". I virgolettati sono per onestà intellettuale, visto che è quanto si trova facilmente cercando su internet.
Fast forward di trent'anni ed ecco che ci troviamo a parlare di The Sandbox. Ma cos'è successo nel frattempo? Nel frattempo abbiamo assistito all'avvento di Internet, alla diffusione di massa dei videogiochi, all'introduzione del multiplayer, all'arrivo degli MMO e alla pubblicazione di Ready Player One nel 2010, che ha rilanciato presso il grande pubblico scenari oggi sempre meno fantascientifici.
Ma prima c'è stato Second Life, un mondo virtuale lanciato nel 2003 dalla società americana Linden Lab e senza il quale, a mio personalissimo modo di vedere, forse non ci sarebbe stato né il bestseller di Ernest Cline, né i metaversi dei quali si parla tanto oggi.
Secondo l'intuizione del fondatore dell'azienda, il fisico Philip Rosedale, c'era spazio nell'impalpabile mondo digitale per una "piattaforma informatica nel settore dei nuovi media che integrasse strumenti di comunicazione sincroni ed asincroni e che trovasse applicazione in molteplici campi della creatività: intrattenimento, arte, formazione, musica, cinema, giochi di ruolo, architettura, programmazione e impresa, solo per citarne alcuni". Nota a margine: da vero precursore, Second Life era dotato di una sua valuta interna, i Linden Dollar.
A ben guardare, sono proprio questo i metaversi: tele bianche su cui gli utenti, attraverso i contenuti da loro generati, dipingono le creazioni più disparate. Venendo a The Sandbox, ad esempio, si può passare con grande facilità dall'attrazione di Snoop Dogg a quella di deadmou5, da un gioco di ruolo a un platform alla Super Mario, da una discoteca a una galleria d'arte le cui opere sono creazioni digitali trasformate grazie alla blockchain in NFT e commerciabili in criptovalute.
Tutto ciò che è presente in The Sandbox è in vendita, dagli appezzamenti di terreno necessari a creare i propri mondi personali agli avatar e ai loro accessori. E i prezzi sono da capogiro: è di pochi giorni fa la notizia che uno yacht digitale è stato venduto a 650mila dollari. Chi volesse risparmiare, si fa per dire, potrebbe sempre trasformarsi in mercante d'arte e comprare Bored Ape Yacht Club a oltre 494mila dollari. Senza dimenticare il pass per accedere all'alpha, disponibile su OpenSea a 1,96 Ethereum, che al cambio fanno poco più di 12mila dollari (i prezzi sono comunque piuttosto volatili e cambiano sensibilmente da un giorno all'altro).
Prima però di accusare gli sviluppatori di un'avidità senza pari, è giusto precisare che i suddetti pass sono stati prodotti in 5000 esemplari, dopodiché i primi 1000 sono stati assegnati casualmente con una riffa tra tutti coloro che avevano già acquistato un appezzamento. Altri 200 circa sono stati assegnati direttamente ai creator mentre i restanti sono stati distribuiti con dei contest sui social media. Se quindi i pass sono in vendita a queste cifre esorbitanti è perché tale è il loro valore di mercato, dettato dalla domanda (chi vuole entrare in The Sandbox) e dall'offerta (chi vuole vendere il proprio accesso all'alpha).
Lo stesso discorso vale per tutto il resto che trovate in vendita in Sand (la criptovaluta creata dagli stessi sviluppatori e utilizzabile in-game) o in Ethereum (usata da OpenSea). Al che la domanda sorge spontanea: siamo di fronte all'ennesima bolla speculativa? Per alcuni sì e parlando di un qualcosa che piega il gaming al business fondendolo con blockchain e criptovalute, la bolla appare ancora più effimera. Eppure sarebbe sbagliato vedere i metaversi (in generale, sia chiaro) unicamente sotto questa luce. Perché in realtà sono molto di più.
L'obiettivo di un prodotto (che chiamarlo "gioco" sarebbe riduttivo) come The Sandbox è offrire esperienze attraverso contenuti generati dagli utenti stessi, oltre che dalle aziende. Le blockchain non sono una concessione alla moda del momento ma un modo per remunerare i creator dell'impegno profuso nella realizzazione degli asset.
E l'intero metaverso sarà così democratico da offrire una governance interna in cui a esprimersi sul futuro di The Sandbox saranno gli stessi proprietari delle terre (sulla base dei millesimi come accade nelle riunioni condominiali? Chissà...). Ecco spiegato il claim che avete trovato nel sottotitolo: "play, create, earn, govern".
Tutto il progetto si regge sue due pilastri: il Vox Edit per creare gli asset e il Game Maker per realizzare le architetture in cui inserire gli asset stessi. Si tratta di software scaricabili gratuitamente che permettono a chiunque, potenzialmente, di mettersi in affari all'interno di The Sandbox. Non è infatti necessario diventare proprietari terrieri e acquistare uno dei tanti lotti di terreno disponibili, venduti a caro prezzo. Si possono anche creare quegli "oggetti" che poi gli altri utenti useranno: basterà legarli a una blockchain e trasformarli in un NFT, quindi metterli all'asta.
Ecco spiegato anche perché per entrare nel vivo di the Sandbox sia necessario dotarsi di un wallet digitale, ossia di un portafoglio al quale possano fare riferimento tutte le nostre transazioni. Senza di esso non si potrà partecipare ai contest, né guadagnare in alcun modo dalla propria partecipazione alla vita di The Sandbox.
Chi però trovasse insormontabile l'ostacolo di imparare a usare dei nuovi tool di sviluppo o temesse di investire il proprio tempo inutilmente, sappia The Sandbox attraverso il Creators Fund offre supporto economico a chiunque voglia creare esperienze. C'è anche un servizio di revisione degli asset, e dei gruppi di supporto su Discord e Telegram con volontari che fanno da ambasciatori e revisori.
Cosa attende The Sandbox oltre l'alpha? Senz'altro si cercherà di vendere quante più land possibile, trattandosi probabilmente dell'attività più remunerativa per gli sviluppatori. Poi si accentuerà l'implementazione delle funzionalità NFT mentre si porrà sempre più attenzione sull'impatto ecologico delle blockchain stesse. Come sa chiunque s'interessi di criptovalute, la loro creazione richiede quantità d'energia sempre maggiori e ci si sta iniziando a porre il problema dell'impatto ambientale delle stesse a livello globale. Inutile dire che chiunque riuscirà a offrire lo stesso servizio con un'impronta ecologica ridotta, avrà maggiori possibilità di successo.
E poi ovviamente gli sviluppatori dovranno accertarsi che The Sandbox riesca a intrattenere costantemente il proprio pubblico, offrendo esperienze sempre nuove e diverse tra loro. Sotto questo punto di vista l'avvio è promettente: in pochi minuti infatti siamo passati dai combattimenti di Dungeon of Dum-Yz alle feste di Club XYZ, quindi abbiamo fatto una capatina in una galleria d'arte digitale.
Tenere d'occhio tutte le novità potrebbe non essere facile e non a caso gli sviluppatori informeranno gli utenti dei giorni e degli orari in cui verranno rese disponibili le nuove attrazioni, tramite una sorta di calendario dell'avvento. In questo modo si eviterà che una release simultanea di più mondi finisca per farli cannibalizzare tra loro, e si garantirà al pubblico un flusso costante di novità.
E poi ovviamente bisognerà vedere cosa creeranno i grandi brand all'interno dei terreni da loro acquistati. Al momento i partner sono già numerosi e di rilievo: tra i tanti segnaliamo Wedbush (sì, l'azienda presso cui lavora il celebre e controverso analista Michael Pachter), The Walking Dead, Samsung, LG, Atari e Adidas. A seconda di come i proprietari terrieri svilupperanno le loro land, The Sandbox sarà un posto più o meno interessante.
E a ben guardare è questo il vero tallone d'Achille di un sistema basato sulla generazione di contenuti da parte degli utenti: se la gente produrrà esperienze divertenti e interessanti, attirando altre persone alcune delle quali creeranno nuovi contenuti, si innescherà un circolo virtuoso che proietterà The Sandbox sempre più verso l'alto. Diversamente si otterrà il risultato opposto e il metaverso ideato da Animoca si spopolerà gradualmente.
Se dovessimo però scommettere su un metaverso che abbia successo al di fuori di quelli che nell'ambito della finanza si definiscono Walled Gardens (Meta, Fortnite e ormai anche Roblox), questo è quello sul quale punteremmo i nostri soldi. Perché nell'orbita di The Sandbox sono entrati anche i gemelli Winklevoss, ossia coloro che all'epoca idearono Facebook e che si videro derubati dell'idea proprio da Zuckerberg (guardate il film The Social Network diretto da David Fincher, se voleste saperne di più). E che nel 2013 con il misero compenso (attualizzato a quello che vale oggi il colosso di Menlo Park) che Zuckerberg fu costretto a risarcire (65 milioni di dollari), comprarono l'1% di tutte le criptovalute del pianeta in un'epoca in cui quasi nessuno sapeva cosa fossero.
Ecco, i due geniali gemelli hanno nel frattempo fondato Gemini Space Station, oggi valutata 7,1 miliardi di dollari. E indovinate un po' su cosa stanno scommettendo adesso i Winklevoss? L'avete capito: sui metaversi e su The Sandbox in particolare, con un investimento di 2,2 miliardi di dollari che tra il 27 ottobre e il 18 novembre scorsi ha fatto aumentare il valore del Sand del 413%, portandolo a 3,94 dollari. Il fatto che oggi ne valga 6,46 dà un'idea di come si stiano muovendo gli interessi economici attorno al gioco.
In attesa di sapere se e come i metaversi, le blockchain, le criptovalute e gli yacht digitali da 650mila dollari si evolveranno, terremo d'occhio un fenomeno ormai non più solo mediatico, che ha le potenzialità di riscrivere le regole del cyberspazio. E non disdegneremo una visita al Dart 2121, progetto espositivo di Crypto Art dal vivo all'interno del Museo della Permanente di Milano (dal 23 novembre 2021 al 6 febbraio 2022). Sempre che la pigrizia non c'invogli a guardare alcune di quelle opere all'interno di The Sandbox.