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L'ascesa di CD Projekt - articolo

Da una cameretta di Varsavia fino al resto del mondo.

I numeri di The Witcher 3 sono impressionanti. 10 milioni di copie vendute nel mondo a marzo 2016, oltre 200 awards vinti e un meta-score stabilmente superiore al 90, grazie a oltre 75 recensioni delle quali nessun voto al di sotto dell'8. Questi risultati non potevano che generare profitto (oltre 60 milioni di euro), ma ciò che conta maggiormente è che la fiducia nella software house sia cresciuta al punto tale da portare il valore societario oltre il miliardo di dollari.

Qual è il segreto? Beh, la storia è strana. Noi di Eurogamer crediamo che quella dei videogiochi si possa dividere in due tronconi, e lo spartiacque sarebbe ovviamente l'avvento dell'online-gaming. La globalizzazione dell'industria ha portato ad un'esplosione del settore difficilmente prevedibile, capace di trasformare in pochi anni studi di successo in multinazionali miliardarie. Per questo motivo molti videogiocatori guardano al passato con occhi nostalgici, ricordando un'età dell'oro nella quale l'oggetto della passione non era ancora etichettabile come "commerciale", rimpiangendo quelle componenti elitarie e trasgressive che spingevano il video-game ad assumere una dimensione quasi letteraria: lontana dai numeri del cinema ma vicina ai cuori delle persone.

Un sentimento comprensibile, che tanto è umano quanto attuale. Le community hanno spesso la sensazione che a prendere determinate decisioni siano i venditori e non gli artisti, con lo sguardo rivolto verso i numeri senza comprendere fino in fondo come, nel nostro mondo, il feedback abbia un'importanza preponderante a livello di successo mediatico.

Allo stesso modo, è sbagliato volersi arrendere alla diffusa e populista nostalgia ad ogni costo. È incredibile quello che alcune software house sono riuscite a regalarci in passato, altrettanto incredibile è ciò che riescono a fare all'interno di un mercato di massa come quello attuale. Ed è per questo che oggi vorremmo raccontarvi la storia di un publisher che al tempo stesso è anche sviluppatore, di una società che nello scorso anno ha raggiunto tutti i traguardi ai quali potesse aspirare. Insomma, la storia di due ragazzi con un sogno nel cassetto, una grande passione e tanta, tanta voglia di fare.

Da sinistra, Adam Kicinski (CEO e fratello di Michal) Marcin Iwinski (Fondatore) e Piotr Nielubowicz (Presidente). L'attuale nucleo direttivo di CD Projekt.

Tutorial

Polonia, primi anni 90'. Immaginate come doveva essere vivere quel momento storico. La guerra fredda, l'occupazione sovietica da poco sollevata, il muro di Berlino appena crollato e il capitalismo sfrenato che portava i prodotti occidentali ad aprirsi prepotentemente una strada verso est. Marcin Iwinski e Michal Kicinski erano ragazzi come tanti. Si erano incontrati alle superiori, amavano il mondo dei videogiochi e non vedevano l'ora di mettere le mani sulle ultime uscite. Questo genere di software era da poco entrato nella cultura di massa, e l'ex U.R.R.S. difficilmente avrebbe consentito una commercializzazione dell'intrattenimento.

I due amici frequentavano i cosiddetti mercati grigi: al tempo non esisteva una normativa del copyright adeguata, dunque i gamer acquistavano e vendevano copie pirata dei titoli più in voga. Non appena la legge fu redatta, si resero conto che era giunto il momento di fare di quella passione un lavoro vero e proprio: Marcin e Michal divennero i primi distributori del paese a vendere CD-Rom nelle fiere (da qui il nome CD Projekt) per un investimento totale di duemila dollari. Finalmente avrebbero potuto letteralmente mettere le mani sulle ultime uscite, andando all'European Computer Trade Show per incontrare Blizzard Entertainment, in piena epoca Warcraft 2.

Per i ragazzi era un sogno. Da fan sfegatati della serie dovevano assolutamente portare quel titolo in Polonia: avevano deciso di lavorare solamente dalle 10 del mattino alle 4 del pomeriggio proprio per poter dedicare più tempo ai videogame. Ma quanti videogiocatori esistevano all'epoca nel paese? Pochi, pensammo venendo a conoscenza di questa storia. Ed è lo stesso pensiero che, sbagliando, ebbe lo staff di Bioware (allora sotto Interplay), che gestiva la pubblicazione di Baldur's Gate. I due giovani, dopo essersi sentiti dire che il mercato era troppo limitato per giustificare una localizzazione, decisero incoscientemente di assumersi il rischio promettendo di vendere almeno 3.000 copie del gioco, un numero enorme se paragonato al loro giro d'affari dell'epoca.

I numeri di The Witcher 3 sono impressionanti: 4 milioni di copie vendute nelle prime due settimane, cresciute a 10 milioni entro la fine del 2016. Con un totale di 251 awards vinti, detiene il titolo di gioco più premiato di tutti i tempi.

E fu così che la piccola CD Projekt dovette affittare un grosso magazzino. Sì, perché poco prima dell'uscita la società aveva già ricevuto ordini per 18.000 copie, diventate poi 50.000 entro la fine dell'anno. Mesi più tardi, i due partirono alla volta dell'E3 di Los Angeles per dare a Interplay la buona notizia, e il loro contatto non ci credette. "Non esistono così tanti videogiocatori in Polonia", continuava a ripetere. E invece esistevano e qualcuno si era accorto delle dimensioni che il medium videoludico stava assumendo. I due ragazzi erano ormai diventati grandi: Icewind Dale, poi Planescape, Fallout e Diablo. Il passo successivo? "Dovremmo creare il nostro gioco".

Hard mode

I favolosi anni 90' stavano giungendo al termine. Un decennio segnato da due generazioni di console che avevano costellato i cieli dell'industria di una galassia di capolavori destinati a rimanere immortali. CD Projekt non vedeva l'ora di entrare nel settore, avendo tenuto sotto controllo le tecniche di produzione software dei propri clienti. Era rimasta particolarmente affascinata dal business model scelto da Blizzard Entertainment: la qualità prima della quantità, pochi titoli con finestre ridotte di marketing aggressivo e l'orecchio sempre teso ad ascoltare i feedback degli utenti. C'era solo un piccolissimo problema: i due ragazzi non avevano la minima idea di come si realizzasse un videogioco.

Iwinski acquistò i diritti per realizzare un'opera dedicata alla saga letteraria di Andrej Sapkowski: Wiedzmin ("Lo Strigo" in italiano, e ovviamente in inglese "The Witcher"). Venne il giorno della nascita di CD Projekt RED, distaccamento dedito unicamente allo sviluppo di software. Fu un'impresa degna di nota. Nei primi anni del nuovo millennio il progetto era sull'orlo del fallimento: Zielinski, che era stato assunto come direttore, scelse di abbandonare dopo un riscontro negativo da parte della stampa specializzata. Iwinski prese in mano la situazione e decise ripartire da zero. Il progetto dedicato alla creazione dell'IP di Wiedzmin si trasformò: quello che doveva essere un team di 15 persone destinato a lavorare su un gameplay in stile Diablo, si ritrovo in poco più di due anni ad includere oltre 100 elementi coordinati attorno al nucleo action-RPG che diventerà The Witcher, per un investimento complessivo stimato intorno ai 5 milioni di euro.

Rilasciato nel 2007, il titolo fu un successo inaspettato, specialmente per una software-house alla prima pubblicazione come CD Projekt RED, con 800.000 copie vendute nel mondo. Un risultato del genere non poteva che spalancare le porte a un sequel. Il team, galvanizzato, si buttò su tre progetti contemporaneamente: lo sviluppo del secondo episodio, la creazione di un engine proprietario ed il progetto White Wolf, che puntava a rendere disponibile il primo capitolo per console.

Il progetto Rise of the White Wolf avrebbe dovuto portare il remake del primo capitolo su Xbox 360 e PS3. Fu cancellato nel 2009, ma i fans più hardcore della saga del Lupo Bianco non hanno ancora smesso di credere in questa possibilità.

A causa dei costi elevati di quest'ultimo, emersi in concomitanza con la grande crisi economica del 2008, il tutto accompagnato da una disputa con i francesi di Widescreen Games, le cose si stavano mettendo veramente male. Il peso degli sforzi spesi in troppe direzioni stava per schiacciare CD Projekt fino all'orlo della bancarotta. Fortunatamente, questa vicenda non sarà altro che una lezione di vita fondamentale.

Il REDengine venne portato a termine rendendo immediatamente efficace il porting di The Witcher 2 su console (ulteriore testimonianza dell'importanza di un engine proprietario), obiettivo raggiunto grazie al sacrificio di They, un altro titolo che era stato messo in cantiere. Assassin of Kings vide luce nel 2011, riuscendo nell'apparentemente impossibile impresa di raddoppiare le vendite del primo episodio.

Non esiste maestro migliore dell'esperienza: dopo aver assistito ai problemi che possono sorgere in fase di sviluppo, dopo aver ricevuto i feedback dei media e degli utenti, il team era pronto per il capitolo finale della saga: ciò che The Witcher, agli occhi di CD Projekt, avrebbe dovuto essere fin dal primo giorno.

God mode

Fermiamo un attimo le lancette dell'orologio. Abbiamo aperto questa analisi con una domanda: cosa ha fatto sì che CD Projekt si distinguesse fino a vincere ogni award possibilmente immaginabile, con un titolo come The Witcher 3? Le scelte del passato determinano il futuro. Kicinski, e soprattutto Iwinski, fin dai primi giorni hanno dimostrato di avere un talento speciale nell'industria: la capacità di comprendere il pubblico. Quando investirono in Baldur's Gate, sapevano che avrebbe avuto successo perché essi stessi erano parte attiva e protagonista della community videoludica polacca, conoscevano i gusti e i desideri dei giocatori, ed è per questo che si erano permessi di rischiare tutto. Sapevano di farcela.

Blood and Wine è la seconda espansione di The Witcher 3: la regione di Toussaint, con il suo taglio colorato e fantasy, ha portato un'esperienza di gioco vasta al punto da invocare il paragone con quella di un titolo stand-alone.

Un esempio lampante di questa filosofia è la questione dei DRM. The Witcher 2 fu rilasciato con l'idea di limitare la pirateria, ma proprio a causa di questa scelta fu oggetto di una contraffazione spietata. Iwinski capì le ragioni, affermando che un pirata non fosse altro che un cliente insoddisfatto: "dobbiamo fare in modo che l'utente sia contento di acquistare il gioco", disse. E aveva ragione anche questa volta, perché con The Witcher 3, oltre all'abbandono di qualsiasi iniziativa in quella direzione, venne introdotto un numero considerevole di piccoli bonus per chi sceglieva di investire nell'IP come missioni, skin e armi. Insomma, un pacchetto fedeltà completamente gratuito in regalo all'utenza, un plateale ringraziamento senza costi aggiuntivi capace di lasciare il segno perfino nel cuore dei pirati.

Toccando l'argomento DLC non si può che citare i casi di Hearts of Stone e Blood and Wine, riguardo ai quali crediamo nessuno si possa rivolgere con la definizione di "contenuto", quanto con l'ormai desueto termine "espansione". Vi basti pensare che se dovessimo stilare una classifica dei "titoli" che più ci hanno colpiti nel corso del 2016, sicuramente Blood and Wine occuperebbe una delle prime tre posizioni. Oltre ad un raffinato livello di comprensione del pubblico, CD Projekt ha dimostrato un'altra qualità estremamente rara da possedere, ma ancor più rara da esporre pubblicamente: quella di analizzare il posizionamento dei propri prodotti.

Quando uscì il primo episodio della saga di Geralt, i produttori erano consapevoli di aver costruito un mondo, una UI ed un RPG estremamente hardcore, per i fan del genere ma difficilmente adatti al grande pubblico e poco in linea con le IP dell'epoca. E fu così che con The Witcher 2 adottarono un approccio più cinematografico, capace di raccontare una storia medievale ma attualizzata, mantenendo un livello di difficoltà ben (forse troppo) superiore alla media ma abbandonando i tecnicismi troppo spinti dell'episodio precedente.

Gwent segna una inaspettata incursione dello sviluppatore nei giochi di carte collezionabili e nel modello di business del free to play.

The Witcher 3 non fece eccezione. Forte delle esperienze passate e con in tasca un engine pronto ad esprimersi al massimo, il fulcro della produzione era diventato l'immersione, con paesaggi riconducibili all'Europa del nord-est ed un perfetto equilibrio tra realismo e componenti fantasy, in grado di far passare per normale anche ciò che è straordinario grazie a una regia e a una sceneggiatura stavolta scritta in parallelo in polacco e inglese (e la differenza si sente tutta).

Credits

Il vero marchio di fabbrica di CD Projekt, sicuramente figlio delle opere di Sapkowski, resta l'estrema difficoltà nel distinguere nettamente tra bene e male. La specie umana diventa la maggior parte delle volte il reale nemico, perfino all'interno di un universo abitato da mostri; questo l'inevitabile retaggio della storia polacca, che ha portato un velo di malinconia ed un'analisi orribilmente realista dell'umanità a tradursi nelle opere di qualsivoglia genere, fino all'inserimento di scelte e situazioni estremamente toccanti e coinvolgenti all'interno di un videogioco. Sono elementi dai quali l'industria non può permettersi di prescindere, fondamentali per far raggiungere al settore un livello superiore di dignità artistica.

La qualità è diventata un mantra capace di determinare tempi di sviluppo, scrittura e forse il marketing. Nonostante le numerose voci che confermerebbero la conclusione della serie di "The Witcher", dopo il successo globale di Wild Hunt è difficile pensare di abbandonare completamente questo brand; l'universo narrativo fornisce diverse ispirazioni e in ogni caso un re-vamp al giorno d'oggi non è mai da escludere.

Cyberpunk 2077 sarà un RPG open world basato sulla saga 'Cyberpunk' di R. Talsorian Games. Da un'idea di Walter John Williams, era una serie di opere noire ambientate in un futuro fatto di Cyberspazio, intelligenze artificiali e mega-corporazioni (le cosiddette zaibatsu).

Tutte queste considerazioni non possono fare altro che focalizzare l'attenzione verso i futuri progetti. Dove a un Gwent in fase di rodaggio, inaspettata incursione dello sviluppatore nei giochi di carte collezionabili (e nel modello di business del free to play), s'affiancherà l'attesissimo Cyberpunk 2077, grazie al quale avremo finalmente il piacere di assistere ad un lavoro di CD Projekt al di fuori dei vincoli di fedeltà narrativa in cui era elegantemente costretto Wiedzmin.

Qualcuno potrebbe pensare che il successo planetario di Wild Hunt non si rifletterà nella prossima IP perché, a differenza di The Witcher 3, le aspettative degli utenti sono diventate ormai elevatissime. Ma dobbiamo tenere conto che le aspettative di quei ragazzi, che dopo il crollo del muro hanno deciso di investire i propri risparmi e le proprie vite nel mondo dei videogiochi, sono ancora più alte.