Assassinio sul Nilo Recensione: Kenneth Branagh è Poirot, il famoso investigatore
“Chiunque può averlo fatto e tutti hanno una buona ragione per farlo”.
Sequel di Assassinio sull'Orient Express (dov'era annunciato nella scena conclusiva), Assassinio sul Nilo, di Kenneth Branagh, è la seconda trasposizione del libro scritto da Agatha Christie nel 1937. Nel 1978 ne era già stata fatta una fedele trasposizione con un cast che era il sogno di ogni cinefilo (Peter Ustinov, David Niven, Bette Davis, Angela Lansbury, Maggie Smith) ed era stato trattato anche nell'episodio Poirot sul Nilo, nella nona stagione della serie tv con David Suchet nel 2005.
Siamo nel solito ambiente di ricchi e anche ricchissimi borghesi, di nobili decaduti e di arrampicatori sociali. Nei luoghi dove si consumano gli esclusivi riti mondani dei felici pochi, si dispiegano l'arroganza della grande ricchezza acquisita sulla pelle degli altri, l'arrivismo di chi di quella ricchezza vuole godere, la frustrazione di chi ne è stato vittima, le umiliazioni di chi ha dovuto subire le conseguenze di quella supposta superiorità, i sensi di colpa degli idealisti, che vorrebbero cambiare l'ordine costituito.
Questa volta siamo nell'Egitto del 1937, con alberghi di lusso brulicanti servizievole personale, battelli di massimo confort che solcano le acque del Nilo blu con le bianche tende svolazzanti. A bordo un bel concentrato di umanità varia: Hercule Poirot, uomo che scruta e ascolta, con il raro dono di trovarsi sempre in mezzo a chiacchiere e situazioni imbarazzanti.
La "coppia regale" composta dall'ereditiera e dal suo bel marito nuovo; l'ex fidanzata di lui; la madrina della donna con la sua dama di compagnia; un ragazzo in amichevoli rapporti con Poirot (compariva anche nel film precedente) e la sua mamma altezzosa; una cantante blues di colore che ne ha viste tante e la sua giovane figlia; un medico frustrato, ex innamorato dell'ereditiera; un lontano cugino che amministra le finanze della ricca famiglia.
Sotto una scorza di finta affabilità mondana, appena venata da sarcasmi e pettegolezzi vari, tutti nascondono qualche segreto e quindi mentono, tutti in qualche modo sono collegati fra loro da una fitta rete di eventi che si estendono nel passato e che nel presente possono portare a indizi ingannevoli, quando qualcosa di drammatico si verificherà.
Bella le messa in scena, quanto a interni e costumi, gli esterni sono in CG a ricreare un Egitto che è molto cambiato, tempio di Abu Simbel compreso. Ma tanto i momenti migliori sono quelli che si consumano come fossimo in una rappresentazione teatrale, sui ponti del battello, nell'andirivieni fra le varie cabine, porte che si chiudono e si aprono su diversi criminosi eventi, mentre Poirot indaga, interroga, prende le sue cantonate, fino alla drammatica soluzione del caso.
Branagh si riserva il ruolo del mattatore, circondato da un cast medio, facce non notissime al grande pubblico a parte i due altri protagonisti principali, Gal Gadot e Armie Hammer (e anche Annette Bening, riconoscibile dai meno giovani). In ordine decrescente incontriamo attori visti in serie tv di buon livello come Tom Bateman (Beecham House, Vanity Fair), Russell Brand (Ballers), Sophie Okonedo (The Slap, Undercover), Rose Leslie (Game of Thrones), Emma Mackey (Sex Education).
Come già avevamo detto in occasione del film precedente, il Poirot di Kenneth Branagh (interprete oltre che regista) è molto differente dall'iconografia classica, è più gradevole fisicamente dell'originale, oltre che munito di un paio di foltissimi e prolungati baffoni che gli tagliano orizzontalmente la faccia, qui un poco alleggeriti, la cui genesi ci viene spiegata in una breve introduzione che dà un tono leggermente innovativo rispetto al solito.
Anche aver visto il vecchio film e letto il libro non toglierà il piacere di assistere al gioco delle indagini, di interpretare gli indizi (che Agatha Christie metteva sempre a disposizione del lettore), a prevenire le deduzioni di Hercule, a smascherare le bugie, le finte confessioni, il complesso piano che sta dietro l'assassinio.
Solo ci lascia perplessi (ma era già successo la volta precedente) la volontà di stravolgere tanti personaggi, cambiando le meccaniche delle coppie. La trama originale funzionava benissimo, quindi perché? Piacerebbe chiederlo a Michael Green, anche questa volta autore del trattamento, che nuovamente si concede sostanziose digressioni rispetto all'originale, qualcuna non necessaria ai fini dell'avanzare della trama, qualcuna per renderla più melodrammatica e umanizzare maggiormente il protagonista, che è la vera novità di questa versione.
Come nel film precedente si fa notare il tono elegantemente antiquato, volontà confermata anche dalla scelta di girare su pellicola da 70 mm, che lascia trasparire il godimento di Branagh nel mettere in scena con stile classico una storia altrettanto classica, come un ritorno a una trasposizione tradizionale di un'opera di Shakespeare. Piace comunque sempre questo tipo di narrazione, come ha dimostrato il successo dei citazionista Cena con Delitto, del quale vedremo presto un sequel, e la parodia Murder Mystery.
Sono storie in cui in un gruppo ristretto di personaggi in un luogo altrettanto chiuso, avvengono delitti dei quali trovare il responsabile. Sono prodotti discendenti dal capolavoro Dieci piccoli indiani, dove tutto alla fine sarà chiaro, netto, senza bisogno di avvocati azzeccagarbugli, di giudici fallibili, di polizia che fa confusione, senza equivoci ed errori la razionalità vincerà, giustizia trionferà, i cattivi saranno smascherati e pagheranno per le loro colpe.
L'uscita del film è stata a lungo rimandata a causa della pandemia e forse anche dei presunti scandali "comportamentali" di Armie Hammer, che in Italia, dove almeno su questi argomenti siamo più equilibrati, non dovrebbero dare problemi. Per concludere, anche questa seconda trasposizione di un capolavoro di Agatha Christie per mano di Kenneth Branagh, è un elegante esercizio di stile, con un protagonista più umanizzato e in preda ai sentimenti di quanto sia mai stato sulla pagina scritta, alla cui visione bisogna accingersi come se fosse una versione più drammatica e sanguinosa di Downton Abbey. E non sembri blasfemo dirlo.