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Assassin's Creed: Unity e il problema delle quote rosa - editoriale

Quando giornalismo fa rima con moralismo.

Ci sono due modi di fare giornalismo: il primo è riportare le notizie che accadono, il secondo è crearle. Non mi sbilancerò in giudizi morali su quale sia il migliore ma mi sembra doveroso premettere che il mio modo d'intendere la professione rientra nella prima categoria. Ed è in tale ottica che ho ragionato in queste ore sulle polemiche sorte circa la mancanza di personaggi femminili nella modalità cooperativa del prossimo Assassin's Creed: Unity.

Quanti di coloro che in questi giorni hanno lanciato strali all'indirizzo di Ubisoft ci credono veramente e quanti invece stanno capitalizzando il tema caldo del momento per fare più accessi? La sensazione, a caldo, è che ci sia più malizia che buona fede nelle critiche mosse a una serie che finora ha avuto per protagonisti un arabo, un italiano e un nativo americano. E, per chi se lo fosse dimenticato, anche una donna di colore in Assassin's Creed: Liberation.

Insomma, tutto si può dire a Ubisoft tranne che di non aver dimostrato una certa correttezza politica. E se già erano stucchevoli le polemiche dell'anno scorso circa la caccia alle balene in Assassin's Creed IV, ancor di più lo sono quelle rivolte in queste ore ad Assassin's Creed: Unity. Se c'è un mondo che è sempre stato libero nello spirito è proprio quello dei videogame: volerlo vincolare con lacci e lacciuoli perbenistici sarebbe prima di tutto un danno arrecato alla sua indipendenza espressiva.

Ubisoft alle donne ha dimostrato di pensarci con Assassin's Creed: Liberation, avente per protagonista la bella Aveline de Grandpré. Ma il 2012 dev'essere troppo lontano nel tempo per ricordarsene.

Incredibile ma vero, l'intellighenzia del giornalismo di settore ha dunque montato un caso mediatico sul sesso dei personaggi di una modalità secondaria di un videogioco. Come se la parità dei sessi passasse attraverso una skin. Come se le donne si terranno lontane dai videogiochi perché non verranno adeguatamente rappresentate nella coop di Unity. Dimenticando però che una delle icone dei videogiochi è quella Lara Croft apparsa sui nostri schermi in Tomb Raider già nel 1996.

"Ci sono due modi di fare giornalismo: il primo è riportare le notizie che accadono, il secondo è crearle"

Da allora in poi ci sono state decine di donne protagoniste di videogiochi, eppure a quanto pare qualcuno se ne dev'essere dimenticato, imputando a Ubisoft il mancato rispetto di quelle quote rosa che, dopo il Parlamento, ora devono essere rispettate anche nei videogame.

Voglio però credere che si tratti di una montatura fatta ad arte per attirare qualche click in più. Perché se davvero questi signori fossero così sensibili verso i problemi sociali, mi domando perché non verghino parole di fuoco contro la violenza nei videogiochi (che al contrario difendono sempre a spada tratta). Forse che sia un tema meno importante? E perché a questo punto non lamentarsi che tra i personaggi della modalità cooperativa di Assassin's Creed: Unity non ci sono uomini (pardon, donne) di colore? Le discriminazioni razziali sono meno importanti di quelle sessuali?

Se vogliamo essere politically correct, nella modalità coop di Unity non ci sono assassini di colore. Possibile che i fustigatori morali di queste ore non se ne siano accorti?

Se allora vogliamo giocare, giochiamo. Dunque in futuro voglio un gioco in cui l'eroe sia gay. O portatore di handicap. Non hanno forse diritto anche loro a essere rappresentati nei videogiochi? Che poi, Ubisoft... ma vogliamo parlare di Nintendo, che da una vita ci propina Super Mario Bros? Che diamine, ora vogliamo anche le Super Maria Sisters!

E perché quella da salvare è sempre la principessa? Shigeru Miyamoto dev'essere un sessista convinto che le donne siano un po' sciocche e un po' ingenue, visto che si fanno sempre rapire dal malvagio di turno. E già che ci siamo, diciamone quattro anche ad Activision ed Electronic Arts: il gentil sesso nell'esercito è ormai realtà e non si capisce perché i protagonisti dei vari Call of Duty e Battlefield debbano essere sempre dei maschi.

I paralleli potrebbero andare avanti ma mi fermo qui, ormai ci siamo capiti. La polemica montata ad arte contro Assassin's Creed: Unity è nel migliore dei casi miope e tardiva. Prima di scagliarsi contro Ubisoft, gli scandalizzati dell'ultim'ora farebbero bene a domandarsi quante occasioni hanno avuto in passato per dare voce alle loro pulsioni paritarie. Se non in nome del giornalismo, quanto meno della coerenza.