Black Mirror - recensione
Uno specchio in cui è meglio non riflettersi.
Se all'inizio del nuovo millennio eravate appassionati di avventure grafiche, il titolo Black Mirror non dovrebbe suonarvi nuovo. Il gioco di cui parliamo oggi è appunto il reboot/remake del punta e clicca sviluppato nel 2003 da Future Games, a cui sono seguiti due capitoli non proprio all'altezza. Questo nuovo punto di partenza della serie cerca di coniugare il sapore old school delle avventure grafiche anni Novanta con una più moderna impostazione grafica a tre dimensioni, ma purtroppo le cose non sono andate troppo bene.
La storia è praticamente l'unico elemento che riesce a tenere in piedi la produzione e si avvale di ambientazioni e atmosfere tanto care a Edgar Allan Poe e Lovecraft. È il 1926 e il rampollo della famiglia Gordon viene costretto a recarsi nelle fredde lande scozzesi a causa della repentina dipartita di suo padre. Egli ha sempre vissuto in India, dove la sua famiglia si è trasferita quando lui era ancora molto piccolo. La stirpe dei Gordon è una delle più antiche e prestigiose delle Highlands e quando il capostipite passa a miglior vita al suo discendente tocca tornare all'enorme magione per prendere possesso della proprietà.
La gigantesca tenuta rispecchia in pieno gli stereotipi che sono radicati nella mente di tutti. Le fredde mura di pietra contengono stanze buie e polverose, alcune pareti sono rivestite in legno mentre molte altre hanno ormai ceduto al passare degli anni. L'aria che si respira è quella tipica dei castelli infestati e coloro che vi abitano contribuiscono a rendere l'atmosfera ancor più inquietante. David, il protagonista, viene accolto da Angus, l'impeccabile maggiordomo che però sembra aver dimenticato a casa le buone maniere. In sua compagnia c'è anche Margareth, attuale tenutaria della villa nonché sua nonna, ed Andrew, l'avvocato di famiglia.
Sin da subito è chiaro che qualcosa non va: la presenza del rampollo sembra non essere gradita e gli inquilini hanno proprio l'aria di chi nasconde innumerevoli segreti. David comincia subito a darsi da fare per capire se quello di suo padre è da considerarsi un suicidio, come gli era stato prospettato in precedenza, o se invece la verità è più torbida e spaventosa. Le sue indagini lo porteranno a scoprire indicibili nefandezze perpetrate dalla sua famiglia che si trova in effetti sotto il giogo di una terribile maledizione.
Intrighi, segreti, legami di sangue insospettabili, omicidi e perfino soprusi al limite della sopportazione umana, sono gli ingredienti di una storia che a tratti sa tanto di un Beautiful dalle tinte horror. Chiaramente non approfondiremo ulteriormente la trama in questa sede ma ci limitiamo a dirvi che, seppur in parte ben orchestrata, è facile smarrirsi tra le rigogliose fronde dell'albero genealogico dei Gordon, facendo fatica a capire chi diamine sia la vecchietta rappresentata nella foto appesa alla parete che sembra così importante.
Il titolo è a tutti gli effetti un'avventura, che si differenzia dalle controparti anni '90 grazie alla grafica tridimensionale e agli enigmi fin troppo scontati. Questi si possono contare sulle dita di una mano e, seppur in alcuni casi siano ben studiati, in generale non presentano un livello di sfida stimolante. Quelli a cui facciamo riferimento sono gli enigmi veri e propri, ovvero puzzle che richiedono un po' di applicazione per essere risolti, peccato però che nella stragrande maggioranza dei casi, per procedere nell'avventura ci si limiti a cercare un punto d'interazione magicamente apparso dopo l'ultima cutscene o dialogo.
La maggior parte del tempo la si passa quindi a camminare in lungo e in largo per la casa e il giardino, una pratica resa estremamente frustrante da due fattori: i movimenti legnosi del protagonista e gli onnipresenti caricamenti. David non corre, anche se procede a passo abbastanza svelto, e ama incastrarsi di continuo in sedie, vasi, corrimano e qualsiasi altro componente di arredamento si trovi anche solo di poco tangente alla sua traiettoria.
Se sulla legnosità dei movimenti e le difficoltà a spostarsi possiamo sorvolare (d'altronde non si tratta mica di un action) i caricamenti sono davvero una piaga insostenibile. Ogni volta che si passa da una stanza all'altra, parte un video o un dialogo, lo schermo diventa nero e un indicatore circolare con tanto di percentuale appare in basso a destra. Questo si verifica con una frequenza disarmante, e la durata dell'attesa è davvero troppo elevata per un gioco che, sia per vastità di ambientazioni che dettaglio grafico, non è davvero nulla di ingestibile.
Non esageriamo dicendo che abbiamo passato almeno un quinto dell'avventura, che dura circa sei ore, a fissare uno schermo nero. Purtroppo queste magagne di natura tecnica non sono le sole ad affossare la produzione; ci si mette anche un framerate che definire ballerino è un complimento (sia durante le cutscene che in game) con tanto di frequenti freeze totali. In qualche occasione abbiamo anche riscontrato crash dell'applicazione, con conseguente riavvio e necessità di riaffrontare intere sezioni già giocate (caricamenti inclusi!).
Al netto di tutte queste problematiche ci si aspetterebbe un comparto tecnico da capogiro, capace di mettere in crisi una macchina con i suoi annetti sulle spalle come la PS4 standard, piattaforma su cui abbiamo effettuato la nostra prova. Ma il livello è bassino, con ambientazioni lodevoli dal punto di vista dell'atmosfera e povere per quanto riguarda i poligoni. Idem dicasi per i personaggi, il cui dettaglio e le animazioni fanno pensare ad un titolo della scorsa generazione, se non a quella precedente ancora.
Black Mirror è quindi un esperimento fallito, seppur si riescano in qualche modo ad intravedere le buone intenzioni degli sviluppatori. Gli enigmi sono pochi e banali e la loro risoluzione è spesso legata alla sola capacità del giocatore di girare la casa per l'ennesima volta sopportando gli estenuanti caricamenti. Sul versante tecnico stendiamo un velo pietoso, davvero uno spettacolo a cui ci auguriamo di non assistere nuovamente. L'unico barlume di luce è dato dalla storia, a tratti interessante e che può contare su uno stile preso in prestito da produzioni decisamente più riuscite.