Bleeding Edge - recensione
Il combattimento fra eroi secondo Ninja Theory.
Non è mai bello inaugurare una recensione facendo paralleli ma è inevitabile paragonare Bleeding Edge di Ninja Theory all'ormai quadriennale esperienza maturata nel mondo di Overwatch. Perché, purtroppo o per fortuna, chi sta scrivendo queste righe ha lasciato migliaia di ore nelle strade dell'hero shooter targato Blizzard Entertainment, uno sparatutto rivoluzionario capace di inaugurare un intero nuovo filone di produzioni.
Ma, udite udite, Bleeding Edge non è assolutamente un FPS. Non fa parte della stessa famiglia di Quake Champions, né tanto meno di quella di Paragon, l'ormai dimenticato MOBA in terza persona partorito da Epic Games. Di cosa si tratta, quindi? Il progetto di Ninja Theory, che ha spiazzato i fan durante lo scorso E3, parte dalle solide radici squisitamente action che hanno caratterizzato la storia dello studio, per poi costruire un "hero arena" in cui il combattimento a muso duro diventa l'unico protagonista sul palcoscenico.
Scontri quattro contro quattro, due modalità di gioco, tre classi e undici eroi: sono questi gli ingredienti alla base di Bleeding Edge, un uragano di azione al cardiopalma e rapide partite dalle quali diventa sempre più difficile staccarsi. Fra combo di fendenti rigorosamente in corpo a corpo, schivate, parry e contrattacchi fulminei, l'unico momento per riprender fiato è il breve intervallo di tempo che separa la morte dal respawn, mentre ciascuna sconfitta, per quanto amara, insegna nuove importanti lezioni.
Il momento più difficile è il primo incontro con il titolo. Perché, come brevemente accennato, è evidente che Bleeding Edge sia un progetto che strizza l'occhio a una fetta di utenza ben precisa, ormai forgiata da decine di esperienze simili, giocatori che hanno conosciuto tanto la triste mediocrità di Paladins quanto l'eccellenza artistica di Overwatch. Proprio per questo motivo si fa molta fatica a scrollarsi di dosso la sensazione di già visto, perlomeno durante i primi istanti di gameplay.
Il confronto fra i volti conosciuti di Tracer e Genji e quelli nuovi di Daemon e Gizmo è inevitabile, ma ben presto ci si rende conto che l'ispirazione estetica è decisamente più vicina a quella di Borderlands, capace di mescolare atmosfere da cartoon e velleità steampunk in modo sì scherzoso, ma al contempo crudo e sgraziato. Insomma, si tratta di un'opera derivativa eppure diversa, ambiziosa e capace di andare controcorrente; in altre parole, Bleeding Edge è un videogioco punk.
Sono punk i personaggi, come il musicista metal Nidhoggr, che si fa largo menando fendenti di chitarra elettrica, o l'assassino messicano El Bastardo, che si getta nella mischia accompagnato dal baffo a manubrio e da un paio di machete. È punk l'ambientazione, un mondo in cui innesti cibernetici e skateboard volanti hanno raggiunto il mass-market, dando vita allo spietato Fight Club di Bleeding Edge. È punk anche il gameplay, che rifugge gli schemi più affermati per tentare un percorso ancora inesplorato.
Come si gioca? Ogni eroe presente nell'Officina mette sul piatto una combo base che può essere una scarica di pugni, un turbine di lame o una sventagliata di pallottole, assieme a tre immancabili abilità con tempi di "cooldown", attacchi da sfruttare con parsimonia per sterminare gli avversari più duri. Prendiamo per esempio il ninja Daemon: oltre a disporre della fidata nodachi con cui affettare le sue prede, può scattare rapidamente per chiudere il gap, lanciare manciate di shuriken dalla distanza e, addirittura, diventare completamente invisibile per svariati secondi.
D'accordo, ma dove stanno le differenze con i principali esponenti del genere? La prima grande deviazione riguarda le arcinote abilità Ultimate. In Bleeding Edge è possibile selezionare quale attacco finale assegnare al proprio personaggio in base al tipo di partita, alla composizione del team o alla mappa; il caro vecchio Daemon, ad esempio, può scegliere fra una devastante tempesta di spade e un letale "marchio della morte" con cui azzerare le difese di un nemico specifico.
Ma il grado di personalizzazione degli eroi non si esaurisce semplicemente alla scelta delle finisher: ogni personaggio, infatti, può essere ulteriormente costruito secondo le proprie esigenze accedendo all'Officina, sezione che alza il sipario su un elaborato sistema di Mod. Queste permettono di assegnare un massimo di tre chip a ciascun membro del roster, al fine di realizzare vere e proprie build che non sfigurerebbero all'interno di qualunque gioco di ruolo.
Gli effetti delle Mod sono estremamente impattanti e arrivano a ridurre considerevolmente i tempi di cooldown delle abilità o ancora ad incrementare l'output di danno degli attacchi. Come se non bastasse, alcuni chip modificano sostanzialmente il funzionamento degli eroi, e Daemon ad esempio può equipaggiare il potenziamento "Fantasma", per rimuovere interamente il limite temporale alla sua capacità di rendersi invisibile.
Il risultato di questa equazione è un roster che, seppur numericamente inferiore rispetto a quelli della concorrenza, mette in campo personaggi destinati ad esser giocati in modo profondamente diverso da ogni utente. Badate bene che non stiamo parlando di due o tre scelte incapaci di opporsi allo tsunami del meta-game, ma di 20 Mod disponibili per ciascun eroe, un numero in grado di realizzare sinergie inaspettate e di stravolgere spesso gli equilibri.
Al netto del sistema di Mod, siamo rimasti particolarmente colpiti dalla struttura tecnica degli scontri. Perché, oltre ad abilità e bastonate, Bleeding Edge introduce un'intricata trama di meccaniche che aumentano esponenzialmente la profondità del combattimento. Se la barra della stamina consente di effettuare fino a un massimo di tre schivate consecutive per sfuggire agli attacchi, i giocatori più ambiziosi impareranno presto che un dash eseguito con i tempi giusti può trasformarsi in un "parry" e nel devastante contrattacco che ne consegue.
L'insieme delle suddette caratteristiche trasforma le incursioni sul campo di battaglia in una sorta di danza fluida e ben oliata, una scacchiera su cui alternare schermaglie, schivate e folli tecniche per ottenere il controllo delle arene. Nel corso del centinaio di partite che abbiamo giocato non ci siamo annoiati neppure mezza volta, anzi, al crescere della comprensione di ciascuna sfumatura è corrisposto un sostanziale aumento del divertimento e dell'abilità sul campo.
Viene da sé che, trattandosi di un gioco di squadra, è imperativo costruire attentamente il team riservando almeno un paio di slot per far spazio al Tank e al Supporto, per poi muoversi accuratamente e mettere a frutto ogni singola sinergia, pena l'esser distrutti senza pietà dai giocatori forgiati nelle fiamme della Beta. Attenzione, perché la differenza fra un neofita e un giocatore navigato è abissale, e complice un matchmaking non sempre affidabile capita spesso di finire con le ossa rotte.
Nonostante le due modalità di gioco, ovvero il classico Controllo e una rivisitazione del Recupero, siano coinvolgenti e molto vivaci, quella di Bleeding Edge resta un'offerta più che mai "vergine". Cosa significa? Anni di esperienza hanno permesso a titoli simili di introdurre numerosi strumenti per migliorare la qualità della vita, come ad esempio le code per ruolo, il ban degli eroi, la possibilità di evitare un giocatore e chi più ne ha più ne metta.
L'hero fighter di Ninja Theory, invece, è appena uscito dai laboratori dello studio, pertanto ci si trova spesso a disputare partite intere senza giocatori di supporto, il bilanciamento degli eroi, seppur sulla buona strada, è ancora precario, il contributo individuale è trascurabile, mentre i server sembrano lontani dall'aver raggiunto un grado di stabilità soddisfacente. Ma è anche vero che problemi non dissimili hanno afflitto il lancio di qualsiasi multiplayer competitivo di questa generazione.
Bleeding Edge è un gioco divertente, e se avete al vostro fianco la giusta squadra di amici può diventare estremamente divertente. Tuttavia, paga il prezzo dell'essere arrivato per ultimo in un mercato che ha conosciuto tanto straordinari successi quanto crolli disastrosi, come ad esempio lo sfortunatissimo Lawbreakers. Ormai per leggere il futuro dei cosiddetti "hero based games" servirebbe una sfera di cristallo e il futuro, per videogiochi di questo genere, è a dir poco fondamentale.
Potremmo speculare a lungo sul supporto post lancio, immaginare l'esordio di una modalità competitiva, l'introduzione di skin che non siano banali inversioni della palette cromatica, o ancora una costante crescita delle mappe, del roster e delle modalità di gioco. Ma la verità è che oggi come oggi il pacchetto Bleeding Edge si presenta ancora in forma embrionale, spoglio di feature che avremmo dato per scontate e acerbo rispetto ai leader del mercato.
Ninja Theory ha dimostrato di aver voglia di osare, oltre che di sapersi misurare senza alcun timore con generi agli antipodi e stili artistici diversi. Insomma, il solo pensiero che lo sviluppo di questo titolo si sia alternato al concept di Senua's Saga: Hellblade 2 è di per sé impressionante, un'ulteriore testimonianza del colpaccio messo a segno da Phil Spencer per i nuovi Xbox Game Studios.
Bleeding Edge, dal canto suo, ci è sembrato il gioco giusto al momento sbagliato. Perché è un'opera stilisticamente inattaccabile, un concentrato di intrattenimento da cui diventa difficile staccarsi, ma non sembra avere le carte in regola per resistere alla durissima prova del tempo.
In un mondo in cui esiste Overwatch e poi tutti gli altri, l'ultimo lavoro di Ninja Theory sembra sì destinato a brillare, ma solamente fra tutti gli altri.