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Blue Reflection - recensione

Gust Co. guarda verso Persona.

L'ultima fatica di Gust Co è anche l'ultima istanza del cosiddetto "Bishojo Matsuri", ovvero il festival delle belle ragazze. Si tratta di una serie di titoli consacrati alla celebrazione della gioventù femminile, obiettivo raggiunto attraverso racconti fantastici focalizzati sulla crescita personale, il coraggio e la scoperta delle interazioni sociali. Nonostante la bella premessa, opere di questo genere sono spesso accusate di mettere in scena il cosiddetto "Yuri Baiting", ovvero lo sfruttamento delle possibili relazioni romantiche volte ad attrarre una determinata categoria di pubblico.

Fortunatamente, Blue Reflection riesce a non cadere in questa trappola, proponendo invece un intreccio narrativo e un design dei personaggi che in fin dei conti ben si sposa con l'intento originale del team di sviluppo. Protagonista del gioco è infatti Hinako Shirai, giovanissima ragazza da poco trasferitasi in un liceo femminile. Hinako ha visto infrangersi il suo sogno di diventare ballerina in seguito a un infortunio, e sta vivendo un momento di grande crisi che culmina nel pensiero di essere ormai completamente inutile. In seguito all'incontro con una conoscente, Hinako si ritroverà inspiegabilmente catapultata nel mondo parallelo di Komon, un ambiente popolato da mostri di ogni genere; è qui che la nostra protagonista scoprirà di essere una Reflector, e di poter utilizzare questo potere per combattere i nuovi nemici.

Ci troviamo di fronte alle Sailor Moon di Gust Co, con trasformazioni, abilità e outfit degne di questo nome. Il design generale del titolo e quello di Komon sono l'emblema del potenziale inespresso; il comparto visuals è ottimo, ma le meccaniche di gioco non riescono a rendergli giustizia.

A guidarci attraverso questo universo parallelo fatto di mostri e oggetti fantastici saranno due sorelle, Yuzu Shijo e Raimu Shijo, due Reflector pronte a spiegare a Hinako parte della missione delle ragazze magiche, convincendola che una volta raccolti tutti i frammenti di emozioni, sarà per lei possibile esprimere il desiderio di tornare a danzare. La ricerca di Hinako e la personalità ambigua delle altre due Reflector si svilupperanno sia sullo sfondo della scuola, tra le vicende e le problematiche delle compagne, sia su quello di Komon nel mezzo di incessanti battaglie.

Se il design delle protagoniste poteva dare l'idea di trovarsi di fronte ad una semplice fabbrica di Waifu, l'intreccio e le interazioni si sviluppano invece su di un piano decisamente più posato e attento alla componente psicologica, andando ad approfondire la personalità di numerosi personaggi secondari attraverso il completamento di subquest. Il lavoro di Gust Co. è encomiabile in questo senso, avendo dato spazio alle tematiche del suo Bishojo Matsuri senza cadere in facili banalità. C'è da dire che Komon e i mostri diventano un semplice contorno per quello che invece è il fulcro della narrazione, ovvero tutto ciò che accade nel mondo reale. L'universo parallelo diventa quasi un espediente creato allo scopo di proseguire nella trama.

La storia diventa di fatto il focus principale del titolo. La sceneggiatura è passata per le mani di tre scrittori differenti: sebbene possa sembrare un'iniziativa interessante dal punto di vista della sperimentazione, va inevitabilmente a creare incongruenze e salti che risultano quantomeno strani alla luce della narrazione nella sua interezza. Il sistema di combattimento finisce a sua volta schiacciato dalla preponderanza della main story; non ci sono reali ragioni oltre al crafting per affrontare i nemici di Komon, fatta eccezione per quelli obbligatori, in quanto l'esperienza non si otterrà dagli scontri ma solo dal proseguo della trama.

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La struttura tecnica riprende quella degli RPG tradizionali, essendo fondata su un combat system nel quale i turni sono determinati dalla velocità dei personaggi e su un sistema esplorativo semplice ed efficace. Blue Reflection si può infatti facilmente dividere in due sezioni principali: una componente esplorativa, e una legata al combattimento. Nella prima vestiremo i panni di Hinako nel corso delle sue giornate; potremo esplorare liberamente la scuola e interagire con i personaggi secondari, e iniziare quest che per la maggior parte andranno ad approfondire la caratterizzazione dei comprimari e della stessa Hinako. In queste fasi avremo accesso al cellulare e a tutte le sue app, tra chat di gruppo e minigiochi, oltre che a numerose sezioni completamente opzionali legate al livello di amicizia che raggiungeremo con gli NPC.

Le fasi di combattimento sono strettamente legate alle missioni. Queste infatti richiedono di entrare in Komon per sconfiggere determinati avversari o raccogliere oggetti, attraverso il già accennato combat system di stampo tradizionale. Tra azioni offensive e di supporto l'obiettivo principale è quello di portare più colpi possibile e ritardare al massimo la controffensiva nemica. Attraverso lo sfruttamento dell'Ether, principale risorsa delle Reflector, si possono mettere a segno numerosi attacchi speciali tra cui gli Overdrive, onnipresenti signature abilities.

La presenza di quicktime events accresce ulteriormente la sensazione di trovarsi di fronte ad un button masher: la difficoltà generale del titolo è infatti estremamente bassa, anche nei livelli più elevati. Aldilà di un boss opzionale di fine gioco, non abbiamo mai avuto la sensazione di trovarci di fronte a una vera sfida, e tutti i nemici, più o meno importanti, diventano presto trash mobs capaci di portare alla noia.

Il buon numero di abilità presenti nel titolo diventa superfluo a fronte di un combat system così poco profondo. Il sistema di sviluppo è unico nel suo genere, ma non completamente riuscito. Tralasciando il fatto che tra un combattimento e l'altro le nostre PG recupereranno interamente HP e MP, come preannunciato non si otterrà esperienza dagli scontri. Lo sviluppo delle skills dipende dalla raccolta di determinati frammenti di memoria, con un funzionamento simile alle materia di Final Fantasy VII. Il leveling system è legato a doppio filo con il proseguo nella trama, poggiandosi quasi sugli stessi binari della storia.

Nonostante nella scuola sia presente un sistema di fast travel, le fasi esplorative sono estremamente ridotte. Si nota l'intento di Gust di prendere lo stesso treno di Persona, ma Atelier rimane ancora su un gradino più alto rispetto a Blue Reflection.

Da un punto di vista puramente tecnico, Blue Reflection pecca in numerose situazioni. Il problema principale risiede nella gestione della telecamera, che non è direttamente gestibile e offre una serie di inquadrature quantomeno particolari, per non dire strambe; nulla a che vedere con il fan service, si tratta proprio di un limite tecnico. Durante le fasi di combattimento e le cutscenes le animazioni risultano di buona fattura, ma in tutte le altre interazioni non c'è la stessa cura per i dettagli. Nonostante il design ottimo, bisognerebbe dedicare maggiore attenzione non solo ai modelli, ma alla texturizzazione complessiva del titolo e al framerate, che subisce costanti cali sia in combattimento che in esplorazione.

Ma il difetto che incide maggiormente sull'opera è la mancanza di personalità di tutto ciò che non è legato al racconto delle emozioni e alle interazioni che nascono tra Hinako e gli NPC. Lo stesso Komon, e tutto ciò di paranormale che vi ruota intorno, non è completamente spiegato, e in ogni caso non esiste alcun genere di lore capace di poggiare delle basi come supporto per l'universo narrativo. Il tutto si risolve in una serie di situazioni ben scritte, ma nelle quali il passaggio di mano tra gli autori e fin troppo evidente, al punto tale da aver privato l'intero arco narrativo di una vera e propria identità. L'ispirazione data da Persona risulta molto forte nel titolo, ma il confronto rimane impietoso. La colonna sonora è invece una delle certezze più granitiche dell'opera, così come un voice acting originale che sarebbe capace di riuscire nel suo intento, non fosse per il fatto che la maggior parte degli eventi secondari non sono stati doppiati.

Nel titolo sono presenti in totale 4 dungeon, ognuno dedicato a una diversa emozione. Nonostante gli ambienti siano caratterizzati da colori vibranti e una bella illuminazione, troviamo veramente poca varierà; è forse per questo motivo che la telecamera è stata limitata.

Insomma, Blue Reflection è un titolo che seppur godibile presenta tante piccole imperfezioni che nel mondo dei videogiochi possono risultare estremamente penalizzanti, partendo da un livello di sfida pressoché assente per arrivare ad un comparto tecnico che va ad inficiare quello che sarebbe stato un ottimo design. La crisi di identità a livello narrativo si deve alla scelta sperimentale compiuta in fase di scrittura, che tuttavia non riesce a portare i risultati sperati. D'altra parte, Gust Co. ha schivato in maniera egregia tutti i luoghi comuni cui poteva essere soggetta, andando a realizzare proprio ciò che aveva in mente: un RPG godibile e non impegnativo, nel quale le interazioni tra giovani donne la facessero da padrona.

6 / 10