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Bosch: Legacy Recensione, “tutto importa perché altrimenti niente importa“

Si conclude su Amazon Prime il sequel arrivato a consolare gli orfani della serie terminata dopo 7 stagioni.

Si dice “genere poliziesco” e mai come nel caso della serie tv Bosch l’aggettivo è calzante.

Nato nel 1992 dalla penna di Michael Connelly, Bosch, detective della Omicidi di Los Angeles, è stato protagonista di 23 romanzi in cui affrontava casi appassionanti nel quotidiano svolgersi di un mestiere mai facile ma che a L. A., come in tante altre città americane, deve essere ancora più pesante, rischioso e stressante. Ugualmente ci sono diversi modi di fare quel mestiere, uno buono e uno cattivo e questo lo ha portato spesso a forti scontri con capi e colleghi.

Come nei romanzi, anche nella serie TV l’indagine del caso principale si intrecciava a indagini di routine, quelle della quotidianità di una città che anch’essa non dorme mai, rendendo la lettura e la visione sempre avvincenti.

La cosiddetta trama “orizzontale” era la sua vita privata, ossessionata dalla ricerca delle sue origini, ragazzo senza padre, madre ammazzata mentre esercitava il mestiere più vecchio del mondo per sopravvivenza, finito in varie case-famiglia e poi il servizio militare come Marine nella guerra in Medio Oriente.

La storia è ambientata in una delle aree più sfruttate da cinema e serie tv, Los Angeles, con le sue colline, le sue spiagge lungo l’oceano Pacifico. E il mondo dei ricchi mai stato tanto in contrasto coi poveri, i mille homeless che affollano le strade ormai senza controllo, gli immigrati messicani sempre a tirare coi denti una vita difficile, la gang ferocissime, gli spacciatori, i politici potenti, gli affaristi proverbialmente senza scrupoli, la gente che lavora nel mondo dello spettacolo o che ammazzerebbe per entrarci. E alcol, droga, prostituzione.

Un uomo e la sua città.

Alla fine della serie televisiva, che si chiamava semplicemente Bosch, sette stagioni di ottimo livello, avevamo lasciato Bosch-Titus Welliver (miracolo di un casting perfetto) in procinto di iniziare una nuova carriera come investigatore privato, stanco di quel corpo di polizia in cui aveva passato 26 anni di vita e che male lo aveva ricambiato.

Cane sciolto da manuale, pur fra mille nostalgie, ha ben scelto la sua nuova attività, che gli permette quelle disinvolture procedurali che pure azzardava, nella sua sete di giustizia, ma che gli provocavano ciclici problemi.

La nuova serie Bosch: Legacy, vero e proprio sequel, ce lo fa ritrovare esattamente alla fine dell’episodio che chiudeva la serie precedente: lui che insieme all’avvocatessa Honey Chandler (Mimi Rogers) non molla l’osso, ossia l’affarista Carl Rogers, mandante del tentato omicidio di Honey e che in tribunale è riuscito a farla franca.

L’alleanza fra il detective e la legale è sorprendente, visti i loro burrascosi precedenti nelle aule dei tribunali, ma funziona perché la donna ha cambiato la sua visione, afflitta da una forma di stress post-traumatico dopo la lunga riabilitazione conseguente l’attentato che ha subito. Inoltre ci sono un paio di casi nuovi, uno dei quali molto “chandleriano” che riguarda un vecchio miliardario tardivamente in crisi di coscienza.

Un detective e la legale di lusso, un’alleanza inaspettata.

Intanto Maddie (Madison Lintz), la figlia tanto amata ma con la quale Bosch da non molto ha ricostruito un vero rapporto, è riuscita a entrare in Polizia e sta facendo il suo addestramento sulle auto di pattuglia, con tutti i rischi che questo comporta.

Si troverà coinvolta in un caso che per la prima volta le farà sperimentare i tanti disagi subiti dal padre, quando si deve stare sul crinale del “giusto o sbagliato”. Come “spalla”, in assenza di J. Edgar, Bosch ha assunto uno dei soliti maghi della tecnologia, personaggi senza i quali oggi nessuna indagine sarebbe possibile, un simpatico nerd interpretato da Stephen A. Chang. E tanto per gradire, anche la sua mitica casa quasi sospesa sul vuoto delle colline di Hollywood, gli darà qualche problema.

Per i nostalgici assoluti ricompaiono alcuni dei personaggi amati nella serie Bosch e ogni loro comparsa crea un moto di gioia nello spettatore, come se rincontrasse un vecchio amico. Che è il segnale della riuscita di un prodotto che è stato capace di costruire una serie completa di personaggi, che sono riusciti a far affezionare il pubblico, divenuti come delle conoscenze personali dalle quali spiace staccarsi, e che è bello ritrovare. Non per niente è ben nota l’elaborazione del lutto necessaria quando si conclude una serie tv che ci ha tenuto compagnia così bene per tanti anni.

Le nuove leve devono correre...

Bosch: Legacy sfrutta molto bene questa necessità, dandoci praticamente un seguito della serie che muta quasi solo nel nome, ma che resta la stessa nella sostanza. Vedremo se sarà un successo e se seguiranno altre stagioni. Noi ce lo auguriamo, perché così sembra di restare in famiglia, sensazione sempre appagante per un fan.