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Bullet Train, la Recensione

Sull'alta velocità anche la violenza accelera.

Affollatissimo di star, Brad Pitt su tutti, a fine agosto arriverà sui grandi schermi il noir d’azione Bullett Train, tratto liberamente dal romanzo di Kotaro Isaka I sette killer dello Shinkansen (Maria Beetle è il titolo originale e Shinkansen è il nome della rete ferroviaria dell’alta velocità giapponese).

La sceneggiatura cambia diverse cose rispetto al libro, nazionalità di alcuni personaggi e sesso di un altro, ma raggiunge lo stesso risultato: coinvolgere e divertire lo spettatore.

Si racconta una storia estrema di killer e organizzazioni malavitose, dalla violenza efferata e spersonalizzante. Ma spersonalizzati non sono per niente i protagonisti, tutti assassini a vario titolo, dipendenti diretti dei boss malavitosi, sicari pagati dagli stessi o liberi professionisti al soldo del migliore offerente, tutti serissimi professionisti pronti a qualunque nefandezza pur di portare correttamente a termine il compito assegnato. Non per questo però incapaci di guardare nell’animo dell’avversario e nel proprio.

Un eroe ammaccato non solo nel fisico

Sempre che quell’anima ci sia, ovviamente. E ad esserne fornito è sicuramente Ladybug (il solito Brad Pitt di sublime leggerezza con il suo look ma turista minimal), “risolutore di problemi” anche con metodi poco ortodossi, mandato a compiere il suo lavoro sul treno ad alta velocità che sfreccia a 320 km all’ora, pochissime fermate di pochissimi minuti fra Tokyo e Kyoto, un proiettile di tecnologia scagliato nella notte. Molto più prosaici sono i proiettili che solcheranno il suo spazio interno, quando Ladybug inizierà a muoversi lungo il diabolico intreccio che legherà a lui e fra loro tutti gli altri personaggi.

Che sono una coppia di killer internazionali, anomali “fratelli gemelli” fra loro legatissimi (Aaron Taylor-Johnson e Brian Tyree Henry, la cui fissazione per il cartone animato Il trenino Thomas si rivelerà decisiva), ingaggiati per riconsegnare al padre, un potentissimo boss malavitoso (Michael Shannon), il figlio rapito da suoi avversari (Logan Lerman). Fra i vagoni si muovono anche un criminale famoso per essere un avvelenatore sopraffino (Zazie Beetz), un padre in cerca di vendetta per la tentata uccisione del figlioletto (Andrew Koji), un esagerato assassino messicano (Bad Bunny) e una ragazza che sembra il ritratto dell’innocenza (Joey King). Alla fine ci salirà anche Hiroyuki Sanda, nonno del ragazzino bullizzato. Breve comparsata finale di Sandra Bullock, che durante il film è la voce femminile che dialoga con Pitt attraverso un auricolare.

A fare da MacGuffin, una valigetta con i soldi che dovevano servire per pagare il riscatto del figlio del boss. Mentre la valigetta cambia mani con regolare frequenza, e gli scompartimenti ospitano risse furibonde e sparatorie letali, mentre i cadaveri si ammucchiano nei bagni, il resto del treno, con i temuti controllori e altri discreti addetti, sembra galleggiare in un limbo paradossale.

Un flemmatico e spietato killer inglese

L’affabile Ladybug si distingue dagli altri colleghi in quanto è un uomo arrivato a un punto decisivo della vita, deciso a cambiare, a intraprendere un cammino virtuoso. Certo che se uno è convinto di essere sfortunato e che il karma esiste, l’ultimo dei lavori che dovrebbe fare è il killer. Ovvio che questa pretesa e tutte le dissertazioni che ne conseguiranno, fanno parte del divertimento del film. Che per il resto, approfondendo con alcuni veloci flashback i trascorsi degli altri personaggi, pensa soprattutto a mettere in scena combattimenti violentissimi in spazi angusti, sparatorie ravvicinate dagli effetti molto splatter, avvelenamenti dalle conseguenze devastanti. E visto che siamo in Giappone, volete forse che manchi qualche bella katana?

Dirige con gran gusto per i sapori forti David Leitch, che ci ha dato soddisfazioni con Atomica bionda, Deadpool 2 e Hobbs & Shaw, co-regista non accreditato di John Wick e produttore del godibile Io sono nessuno (con Bob-Better Call Saul-Odenkirk). Leitch prima di passare con successo alla regia è stato stuntman (proprio di Pitt in cinque suoi film) e insieme al collega Chad Stahelski aveva fondato la 87Eleven, società specializzata nella preparazione di stuntman per film d’azione.

Senza particolari guizzi di originalità, ma con tanto efficace mestiere, Leitch mette insieme un mix ironico che ricorda tanto cinema di genere, dai nobili precedenti di Tarantino ai film di Joe Carnahan e Martin McDonagh con un tocco di Guy Ritchie nel disegno dei personaggi. Questo modo di raccontare garantisce divertimento a ciclo continuo, nella prevedibile escalation di violenza che si alza di livello fino alla deflagrazione finale, con uno humor nero che troverà i suoi estimatori. Dissentiamo solo dal finale, non proprio necessario, che tracima nel disaster movie, prendendo qui proprio una strada diversa rispetto al libro.

Quella che sembra “solo una ragazzina”

Una scena da non perdere nei titoli di coda. Quanto al cast, ci sono anche due cameo da sobbalzo, uncredited, e proprio non spoileriamo per non togliere il divertimento. Buona scelta di canzoni, fra cui si fanno notare le versioni in giapponese di due hit come Stay’in Alive e Holding Out for The Hero.

La sceneggiatura del quasi esordiente Zack Olkewicz intreccia con ritmo sostenuto le mosse dei contendenti, così da non far pesare le due ore di spettacolo, mentre si alzano e si risiedono, si incamminano e si fermano, si incrociano e si ammazzano, come in un balletto ben coreografato lungo gli spazi lunghi e stretti dei vagoni, mentre sembrano muoversi come burattini in mano a un demiurgo superiore.

Del resto anche una bottiglietta dell’acqua avrà diritto a una sua linea narrativa, perché tutto ma proprio tutto scorre lungo un percorso predefinito: perché il Destino ha già scelto e noi non possiamo che trovarci là dove lui ha deciso, alle modalità da lui decise. Con quali risultati, vita o morte, si saprà solo al momento decisivo. Ma, se “ nel mondo semini pace, avrai pace in cambio”. Che detto da un sicario, può davvero far sorridere.