Bumblebee - recensione
Ritorna il più simpatico e umanizzato dei Transformers, in un'avventura tutta sua.
Sarà capitato anche a voi. Non è necessario avere bambini, basta ricordarsi bene di come si era da piccoli, basta essersi commossi guardando Toy Story.
Un giorno, per strada, lungo il vialetto di un giardino, abbiamo trovato un giocattolo rotto, un pupazzetto scucito, e lo abbiamo raccolto (vergognandoci di meno se accompagnati da qualche minore). Lo abbiamo portato a casa, lavato, ricucito, riparato. E adesso lui ci guarda da qualche scaffale e sappiamo che ci vuole bene.
Ora pensateci: quanto bene potrebbe volere un gigantesco Transformer alla ragazzina che lo trova, sotto forma di traumatizzato maggiolino Volkswagen, in fuga da un mondo cattivo?
Bumblebee è atterrato nell'area di San Francisco come avanguardia dei Transformers (quelli di Optimus Prime), sotto attacco nel loro pianeta da parte dei malvagi Decepticon. Deve subito vedersela con gli umani, che sempre s'interrogano palpitanti "ma saremo soli?", per poi scagliarsi come belve a distruggere qualunque forma di vita non rientri nei loro parametri. Che, trattandosi di militari, sono sempre piuttosto ristretti.
Ridotto a un rottame arrugginito, impossibilitato a comunicare perché crudelmente mutilato in combattimento, viene "adottato" dall'ignara Charlie, ragazzina in crisi dopo la morte del padre, che non si ritrova né nella sua famiglia ormai allargata né nell'ambiente scolastico dei bellocci e delle bellocce, ugualmente odiosi. Così all'incirca succedeva a Sam (Shia La Beouf nel primo film della saga, dove Bumblebee era la mitica Camaro), perché "è la macchina che sceglie chi la compera".
Charlie non crede ai suoi occhi, s'intenerisce, s'affeziona, trova motivo d'esistere nell'accudimento del povero robot che avendo lesionati molti circuiti, ha pure perso la memoria. Lo ribattezza Bumblebee, gl'installa una radio che il robot impara a usare per comunicare con frasi di canzoni e notiziari, e cerca di gestire la sua ingombrante presenza, perché il suo nuovo amico fa danni come un vero elefante in una cristalleria.
Ma nel frattempo Shatter e Dropckick, due malvagi scherani di Shockwave, hanno seguito le sue tracce fino da noi, si sono fatti amici i soliti scienziati illusi e stanno programmando una bella invasione aliena. Come potranno opporsi un cucciolone di robot e una ragazzina problematica? Il finale si ricollega gloriosamente alla saga, con la comparsa della famosa Camaro e di un bel camion con la motrice rossa. Più un paio di altre scene nei titoli di coda.
Raccontato così il film sembra migliore di quanto sia in realtà. Perché la temuta fusione fra due generi non funziona come auspicato: l'azione e i robot giganteschi legano a fatica con la commedia alla John Hughes, autore emblematico degli anni '80, qui citato spesso e in particolar modo proprio nel saluto che Bumblebee impara, vedendo in tv il finale di Breakfast Club.
Ci sono diverse altre citazioni di quel periodo, pure qualcosa di Star Wars e non dimentichiamo che fra i produttori figura sì Michael "il distruttore" Bay, padre dei film precedenti, ma c'è pur sempre Steven Spielberg, che qui sembra più presente di altre volte con quel ditone di Bumblebee proteso verso Charlie.
La sceneggiatura è di Christina Hodson, al suo secondo film importante, ma aveva lavorato meglio la mitica accoppiata Kurtzman & Orci (più John Rogers) per il primo film della saga, nel quale il mix azione/sentimento/distruzione aveva funzionato al suo meglio. Stanca un po' la parte centrale del film, quella più da commedia, con le disavventure della ragazzina, i suoi problemi d'inserimento e i battibecchi in famiglia che si alternano coi pasticci che combina Bumblebee, qui "carinizzato" oltre misura, con occhioni azzurri malinconici e l'aggiunta di un paio di alette/orecchie che il tenerone piega quando è imbarazzato o triste, come un qualunque micino di Internet.
Si nota una particolare cura nella compilation delle canzoni, senza badare a spese, raccogliendo Howard Jones, Duran Duran, Steve Winwood, Wang Chung e molti altri, anche se un po' di originalità s'imporrebbe. Ci rendiamo conto che si tratta di un terreno ormai molto battuto e un po' esaurito, ma proprio basta con Take On Me.
Quanto al cast, la "Pretty in Metal" dell'avventura è Hailee Steinfeld, un'attrice che crescerà come età e come esperienza, ma che finora, anche in altri film, non ci è sembrata capace di stabilire quell'indispensabile filo di empatia con lo spettatore. Incolore il suo giovane amichetto/innamorato Jorge Lendeborg Jr. e sprecata Pamela Adlon nel ruolo convenzionale di mamma alle prese con una figlia da prendere con le pinze.
John Cena fa il classico militare tutto d'un pezzo, che ci mette l'intero film per capire finalmente chi sono i buoni e chi i cattivi. Cosa su cui per tutta la serie di film i terrestri mai hanno avuto le idee chiare, a conferma che eroe è colui che salva anche chi non se lo merita per niente.