Call of Juarez: The Cartel
E ora, qualcosa di completamente diverso!
Con il meritatissimo successo di Red Dead Redemption e le nomination all'Oscar per Il Grinta, pare che il Western sia tornato un genere gradito al grande pubblico.
Fiutata l'occasione d'oro, i Techland hanno preso la loro moderatamente famosa serie ambientata nel selvaggio West e hanno fatto l'unica cosa sensata, trasformandola in un film d'azione anni '80, grezzo, sboccato e violento. Ovvio, no?
The Cartel è, per usare un eufemismo e una citazione, qualcosa di completamente diverso rispetto ai capitoli precedenti. Se nel primo passavate il tempo nascosti dietro un cespuglio armati di frusta e nel secondo vi dedicavate all'esplorazione delle città di frontiera, in questa terza iterazione il momento più tranquillo sarà quando vi troverete su un'autostrada a quattro corsie brandendo una mitragliatrice. Altro che Sentieri Selvaggi!
Il nuovo corso è facilmente intuibile dal trailer, che mostra un personaggio simile a un vecchio sceriffo del west ma che indossa un giubbotto antiproiettile (e una croce degna di una processione) e conosce il kung-fu. Il messaggio diventa ancora più chiaro quando l'azione si sposta in un covo di trafficanti e mostra un inseguimento lungo una highway americana. Benvenuti nel Wester moderno signori, o, come asserisce lo slogan inventato da Ubisoft: "Il selvaggio West rivive in tempi moderni".
Una nuova epoca significa anche nemici nuovi, per cui dite addio ai nativi americani e ai tomahawk: i messicani sono i nuovi indiani, ma scordatevi poncho e sombrero, qui si parla di tamarri in canottiera tatuati su ogni centimetro del corpo. Anche perché combattere gli indiani nel 2010 vorrebbe dire impersonare un agente del fisco che gli fa le revisioni contabili ai casinò, il che non sarebbe il massimo dell'intrattenimento.
Il gioco ha già attirato su di sé gli onori della cronaca a causa di alcune polemiche legate alla guerra al narcotraffico, che in Messico va avanti da anni, e c'è già chi vorrebbe impedirgli di arrivare sugli scaffali. Pare infatti che uno dei più importanti gruppi criminali che spacciano dal Messico verso gli Stati Uniti si chiami, coincidenza, il Cartello di Juarez. Ad essere sinceri, però, la serie non sembra avere lo spessore e il budget pubblicitario per sollevare un polverone tale da destare grande attenzione nei media, nonostante il trattamento riservato al popolo messicano sia degno di una puntata dei Griffin.
Per farvi un esempio, c'è una scena in cui a un sospetto poco propenso a parlare viene detto: "Cos'è? Hai troppi fagioli nelle orecchie per sentirci, stronzo?". Le associazioni in difesa delle minoranze ci andranno a nozze...
Attenendoci strettamente alle questioni videoludiche, il più grosso punto interrogativo riguarda senza dubbio la scelta di ambientare il gioco nella moderna Los Angeles. "È ancora il buon vecchio West", sembrano voler suggerire le immagini, "in cui i buoni combattono contro i cattivi e lasciano che siano le pistole a parlare".
Per enfatizzare il concetto degli "uomini tutto d'un pezzo che combattono contro il crimine ad ogni costo", vengono accostate immagini che ricordano vagamente Clint Eastwood con quelle dell'iconografia classica degli sbirri tosti e ambigui alla The Shield. Se due più due fa ancora quattro, l'idea che si vorrebbe suggerire al pubblico è abbastanza chiara: "Ecco a voi Clint Eastwood mixato con The Shield". Eppure, non credo che il Monco e Vick Mackey avrebbero legato molto...
La storia ruota intorno a tre piedipiatti, dai metodi decisamente poco ortodossi, che decidono di intraprendere una "discesa verso l'inferno" lunga sedici missioni in cooperativa. Il gameplay infatti prevede che ci sia sempre una certa forma di collaborazione coi due colleghi, sia che vengano gestiti dall'IA sia che lo faccia un compagno umano.