Call of the Sea - recensione
Non il solito Lovecraft. E per fortuna!
Bolle a profusione davanti agli occhi, pesciolini colorati che nuotano spensierati sul fondale più cristallino con la barriera corallina che spicca meravigliosa alla nostra sinistra e noi, come se niente fosse, nuotiamo leggiadre respirando a pieni polmoni. Come se ci trovassimo a casa, come se fosse tutto perfetto, ogni ingranaggio incastrato alla perfezione nel più riuscito dei meccanismi. Un meccanismo sì, ma non quello della natura, non quello delle "cose esattamente come dovrebbero essere" ma quello decisamente più subdolo e destinato a incepparsi con i primi raggi dell'alba che senza pietà lo intralciano e impietosamente lo bloccano una volta per tutte.
È un nuovo giorno per noi, è un nuovo giorno per Norah. Il meccanismo del sogno è destinato a lasciar spazio alla decisamente meno perfetta vita di tutti i giorni e a un viaggio verso una meta sconosciuta alla ricerca dell'amato Harry. È un uomo pronto a tutto per la propria dolce metà lo stimato e colto Harry Everhart e la ricerca di una risposta fondamentale proprio per la nostra protagonista lo spingerà fino a terre lontane e inesplorate. Poi, il silenzio.
Nessuna notizia per giorni, settimane, mesi e alla fine la decisione di partire e di seguire le poche briciole sparpagliate per l'oceano dall'ormai perduta "Spedizione Everhart". Norah non è una donna perfetta ma il coraggio non le manca e la speranza che il suo Harry possa essere ancora vivo è troppo forte per essere ignorata. Mentre la scialuppa si avvicina alla spiaggia di una misteriosa isola che intimorisce anche il più coraggioso dei guerrieri delle popolazioni indigene la speranza incrocia lo sbigottimento e abbraccia il surreale: "Quel simbolo gigantesco che sembra inciso sul fianco della montagna. Quel simbolo io l'ho già visto..."
"La maggior parte delle storie scritte da Lovecraft o ispirate ai suoi lavori sono delle inesorabili e incessanti discese nella follia ma Call of the Sea vuole essere una creatura molto diversa. Nel caso in cui si volesse fare un parallelismo con gli archetipi lovecraftiani potremmo affermare che Call of the Sea sia al contrario un'ascesa verso la ragione, verso la consapevolezza". Con parole molto chiare ed emblematiche Tatiana Delgado, game director, del debuttante Out of the Blue Games inquadra un aspetto da non sottovalutare di un'avventura in prima persona che nasce da premesse molto vicine a Lovecraft decidendo però di non abbracciare mai una tipologia di videogioco banale ma di plasmare invece una storia che tocchi corde emotive profonde e che stupisca anche con dei colpi di scena da non sottovalutare.
Nelle circa 7 ore che abbiamo impiegato per incontrare i titoli di coda, e una parola fine tutt'altro che scontata, non abbiamo mai provato i proverbiali brividi lungo la schiena né i troppo spesso abusati jumpscare che hanno prontamente lasciato spazio a quella che ha saputo rivelarsi una splendida lettera d'amore ai videogiochi d'avventura con più di una strizzata d'occhio anche agli storici punta e clicca. L'impostazione da avventura in prima persona non abbraccia in nulla le meccaniche da survival horror, da stealth o da esperienza narrativa dal gameplay simplicistico che ormai incrocia quasi sempre le storie che sfiorano più o meno esplicitamente il caro vecchio Cthulhu e (antichi) soci.
La narrazione è sì fondamentale ma non ha di certo il compito di sostenere da sola la baracca grazie a un gameplay che unisce con armonia velleità da pura avventura esplorativa a quelle puzzle fondando il proprio successo su una struttura di gioco che riesce a far sposare sapientemente la voglia di muoversi in lungo e in largo per capire cosa sia successo a Harry e alla sua spedizione con la ricerca di informazioni sui misteri di un'isola apparentemente legata a una civiltà sconosciuta e dai costumi misteriosi. E ancora con la necessità di scovare oggetti o indizi capaci di risolvere puzzle ed enigmi da diradare una volta per tutte per riuscire a proseguire verso la zona successiva.
All'interno di un viaggio degno del miglior avventuriero e scopritore dell'ignoto e del surreale tutto sommato lineare, è stata innestata una struttura a capitoli formati da più aree collegate che spesso ospitano enigmi più o meno importanti che si intrecciano tra loro. Si raccolgono informazioni e dettagli sulla storia che si trasformano in indizi o in oggetti chiave capaci di svelare il funzionamento di misteriosi marchingegni o di indirizzarci verso quel piccolo segreto che ci farà gridare il tanto agognato "Eureka".
Call of the Sea è un titolo estremamente intelligente che non rinnega una natura piuttosto impegnativa e riflessiva ma che allo stesso tempo decide di imporsi alcune regole che nel bene e nel male limitano una complessità che nelle avventure punta e clicca classiche potrebbero risultare almeno in parte indigeste e troppo cervellotiche.
Gli sviluppatori tengono a bada il trial and error, la soluzione casuale e quella troppo assurda per sposare il pensiero laterale, l'istinto ma soprattutto la deduzione e l'attenta esplorazione. Un'icona a schermo diversa in base alla situazione ci fa capire di aver incontrato un punto di interesse e con la semplice pressione di un tasto Norah raccoglie, usa, ruota, inizia a riflettere e spesso prende nota nel proprio diario, fonte inestimabile di indizi più o meno espliciti, di appunti ma anche di riflessioni e di considerazioni puramente narrative che regalano ulteriore profondità alla produzione di Out of the Blue.
Perché il gameplay molto ben congegnato che fa ampio affidamento sulla cruciale combo esplorazione e deduzione, da solo molto probabilmente non avrebbe garantito l'ottima qualità dimostrata da Call of the Sea. Per quanto tutto funzioni molto bene e la sensazione di essere un Indiana Jones (con moltissima meno azione) alla scoperta di un civiltà perduta con quel pizzico di surreale lovecraftiano di sfondo sia piacevolissima, gli enigmi non introducono di certo nulla di rivoluzionario tra associazioni logiche, connessioni di simbologie sconosciute, macchine e ingranaggi dai risultati inimmaginabili, puzzle basati sui rumori e sull'attenta analisi del mondo di gioco. Sono il contesto e il contorno a fare la differenza e a rendere ogni situazione godibile a pieno e mai banale.
Sentire le riflessioni e le scoperte della nostra Norah prendere forma grazie alla splendida voce della Cissy Jones che molti hanno imparato a conoscere nella Delilah di Firewatch non ha prezzo e lo stesso vale per le lettere sempre più ossessionate dell'Harry di Yuri Lowenthal, voce del Peter Parker del tanto apprezzato Marvel's Spider-Man di Insomniac Games.
Anche grazie a questi due grandi interpreti la storia di Norah ed Harry riesce a lasciare davvero il segno regalandoci un rapporto autentico, realistico e splendido da vivere in prima persona attraverso una profondità che non verrà mai lodata a sufficienza e che anche durante i titoli di coda lascia impresso un marchio difficile da ignorare. Il doppiaggio sorretto da sottotitoli in italiano perfetti è solo uno dei tanti tasselli in grado di trasformare questo gioco in qualcosa di nettamente superiore alla qualità delle proprie singole parti.
E lo stesso discorso si può fare per una colonna sonora molto posata e studiata e soprattutto per un comparto artistico/grafico stupefacente per un progetto indie. L'impatto di ogni scena, soprattutto di quelle in grado di regalare scorci naturali più ampi, regala un impatto splendido fatto di colori vivissimi che si muovono tra uno stile assolutamente realistico e uno leggermente più cartoonesco. L'Unreal Engine 4 quindi risplende grazie alla bravura di sviluppatori che hanno dovuto scendere a patti solo con alcuni piccoli problemi di frame rate e qualche caso di pop up che sporcano leggermente l'affresco tratteggiato dalla divisione artistica.
Un altro appunto lo si può fare, a conti fatti, lato gameplay dove, per quanto intelligente, molto riuscita e piuttosto varia, la proposta in campo enigmi come detto propone poco di davvero "unico" a livello di meccaniche. Sotto tanti aspetti ci si scontra poi con i paletti di un'interazione ambientale molto guidata verso oggetti ed elementi precisi e con una certa rigidità di fondo sia per le possibilità della protagonista (capace, per esempio, di movimenti estremamente basilari) sia per l'aspetto più fisico di oggetti e soluzioni di potenziali puzzle. La presenza di una sola "risposta esatta" per gli enigmi e di un solo tipo di utilizzo per gli oggetti snellisce il gameplay senza semplificarlo eccessivamente ma inevitabilmente limita e toglie quel pizzico di sperimentazione che avrebbe regalato un tocco in più.
L'opera di debutto dell'ottimo team madrileno di Out of the Blue Games tratteggia uno studio che chiaramente ha tratto grandi benefici dall'esperienza di capacissimi veterani del settore. Avventura ma non action, Lovecraft ma non horror, puzzle game ma non eccessivamente cervellotico o esageratamente complesso, narrativo che sa toccare anche le corde emotive giuste senza sfociare nel walking simulator, indie ma visivamente splendido.
Call of the Sea continua la tradizione che vede l'industria indie fucina instancabile di gemme spesso imperdibili e lo fa muovendosi oltre i generi puri e giocando anche sui contrasti. Quel contrasto che forse spinge Norah a trovare conforto in un ignoto così insondabile e surreale da essere paurosamente affascinante.