C'era una volta (il mio) E3 - editoriale
Cronache da un passato che non sarà più.
Chi fa il mio lavoro da più di 20 anni (su Eurogamer siamo addirittura due!) ha l'HDN - Hard Disc Neurale - intriso di ricordi e immagini che di tanto in tanto riaffiorano per strapparti un sorriso o una lacrimuccia -pausa singhiozzo-. Il primo articolo pubblicato, la prima volta che vedi la tua faccia su una rivista, il primo lettore che ti scrive per farti i complimenti o che magari ti riconosce per strada, la prima rivista di cui diventi responsabile, le nottate in bianco per chiudere un numero particolarmente difficile, le riunioni redazionali simili ad una serata al pub, l'eccitazione per l'arrivo di un gioco particolarmente atteso che potevi vedere e provare in anteprima.
Tra tutte queste memorie però una sola è rimasta fissa in cima alla classifica fin dall'inizio: i Press Tour. Quei viaggi più o meno lunghi in giro per il mondo, a sbirciare dietro le quinte dello sviluppo di videogiochi per cercare lo scoop in grado di far volare le vendite (oggi si chiamano "visualizzazioni"), con voli in orari improbabili e pasti da catering spesso in grado di far vomitare anche un Sarlacc. Per il giornalista/critico di videogiochi il Top dei Top erano ovviamente le fiere e tra queste la più ambita è sempre stata l'Electronic Entertainment Expo di Los Angeles, che oggi vi voglio raccontare con gli occhi di chi a suo tempo lo visse come un sogno divenuto realtà.
Quando partii per il mio primo E3 il nuovo secolo era iniziato da poco. Ero un "giovane" virgulto che si affacciava alla carriera di critico videoludico pieno di speranze. Dopo quasi due anni di gavetta la redazione scelse di aggiungermi alla ciurma di veterani per farmi fare le ossa e in un certo senso premiarmi per il lavoro svolto nel corso dell'anno. Sì, perché all'epoca la partecipazione all'E3 era vista come un premio nonostante significasse una mole di lavoro immane e tempi strettissimi. Come dargli torto: una settimana (quasi) interamente pagata nella tentacolare Los Angeles, con un gruppo di colleghi/amici che condividevano con me la passione per i videogiochi, nella fiera di settore più incredibile del mondo che concedeva la possibilità di vedere e provare titoli che sarebbero usciti solo mesi (se non anni) dopo.
Poco tempo libero a disposizione ma una miriade di possibilità per sfruttarlo a dovere e magari ci scappava anche la puntatina finale a Las Vegas. I voli ovviamente non erano diretti e la prima classe rimaneva un miraggio ma bene così... duri e puri verso la meta. Nel 90% dei casi le tratte erano Roma-Londra e Londra-Los Angeles per un totale di circa 12 ore di viaggio. Unica eccezione fu il terzo E3 a cui partecipai, per il quale l'organizzazione ebbe la brillante idea di scegliere le tratte Roma-New York e New York-Los Angeles... una tragedia! Il secondo volo dalla Grande Mela (circa 5 ore abbondanti) effettuato su un aereo grande come quello da cui Indiana Jones e Short Round si gettano a bordo di un gommone nel secondo film della serie.
A questo aggiungete il fatto che anche dopo centinaia di voli contino a non amare i viaggi in aereo perché odio NON avere il controllo diretto della situazione. Ciò significa impossibilità totale di dormire anche solo per mezz'ora, ma questo alla fine non sarebbe stato un problema se solo non avessi sempre avuto compagni d'avventura affetti da narcolessia. A quel punto l'unica fu rifugiarsi nei film proiettati durante il viaggio e sballarsi con una mezza dozzina di Bloody Mary poco "Bloody" e molto "Mary". Credetemi, non saprete mai cosa significa fare un viaggio infernale finché non avrete visto Battaglia per la Terra con John Travolta in lingua originale su uno schermo a bassa risoluzione in un sedile a misura di Hobbit.
Viaggi travagliati a parte, un altro ricordo estremamente vivo riguarda il primo arrivo all'aeroporto LAX, gigantesco! Dopo aver superato il brivido di non rivedere mai più la mia valigia arrivo all'uscita, le porte automatiche si aprono vogliose... e vengo investito da una combo di smog mortale e fritto persistente. Da qualche parte dovrei ancora avere una maglietta che conserva quell'indelebile afrore. Nel viaggio verso l'hotel mi cibavo di immagini che fino a quel momento avevo visto solo in TV e mi immaginavo a girare la città, fare shopping selvaggio, stringere la mano a celebrità durante un aperitivo a Beverly Hills e nel tempo rimanente scrivere qualcosa. Immaginavo male, era l'esatto contrario ma poteva anche andare peggio.
Avendo vissuto gli E3 all'epoca della carta stampata ovviamente i tempi di lavorazione degli articoli da scrivere sul posto erano molto più rilassati. Non c'era la necessità di indirizzare su Google prima degli altri per non perdere il posto in classifica. Questo non significa però che siano stati una totale vacanza. Le uniche giornate dal ritmo quasi vacanziero erano in effetti le prime due, quelle prima delle conferenze e del delirio fieristico. Dopo parcheggiato la macchina nel parcheggio dell'hotel (non meno di un SUV di 6 metri con cilindrata prossima a quella di un trattore industriale) e fatto il check-in, giusto il tempo di una doccia e si sfoggiava la prima di una lunga serie di t-shirt a tema VG, spesso abbinata a bermuda e infradito... non si sa mai quando può venirti voglia di una passeggiata in spiaggia.
Il più delle volte invece andavamo al Convention Center per ritirare i pass e in assenza di problemi burocratici si proseguiva direttamente verso la Promenade di Santa Monica, uno dei luoghi all'epoca più gettonati per quello che noi vecchi chiamiamo ancora "struscio". Il problema è che quasi tutti i giornalisti italiani si ritrovavano negli stessi posti, quindi più che in California sembrava di camminare in un Outlet alle porte di Roma e/o Milano. Le ultime energie residue della giornata post-volo venivano quasi sempre impiegate per la digestione della prima, vera cena americana. La mia è stata da trauma gastrointestinale: Chili-burger di oltre mezzo chilo da Johnny Rocket seguito da un Caramel Frappuccino di Starbucks grande come un bidone della spazzatura. Fortuna che in America le pastiglie digestive sono più efficaci dell'acido muriatico.
Il giorno successivo era l'unico, vero momento "free" dell'intera spedizione e ognuno lo spendeva come preferiva. Nell'anno del mio debutto visitai gli Universal Studios ma se doveste passare da quelle parti non disdegnate un giro a Venice Beach (con obbligatoria lettura dei tarocchi da parte dei "Gatti Psichici"), una sessione di shopping pesante da Amoeba Musica o nell'infinita serie di negozi del Sunset Boulevard, dove sono stato capace di scovare un buco che vendeva unicamente maschere da luchador. Spettacolare.
Passati (velocemente) i momenti di relax si iniziava però a fare sul serio. I grossi calibri iniziano a sparare le bordate con le conferenze pre-E3. A corredo della sacra trinità Sony, Microsoft e Nintendo c'erano Electronic Arts, Ubisoft e Square Enix da seguire e questo costringeva i gruppi redazionali a separarsi cercando di raggiungere le location per cui si erano prenotati in anticipo. Anche qui ne avrei da raccontare ma forse l'episodio più epocale riguarda una conferenza MS tenuta sotto stretto riserbo fino al giorno della partenza. I giornalisti selezionati erano pochissimi e potevano entrare solo sfoggiando una spilletta che la stessa Microsoft aveva spedito al loro indirizzo personale insieme ad un proiettile.
Risultato? Siamo entrati tutti in gruppo grazie al tizio che distribuiva le stesse spillette sul retro del luogo dell'evento. Nintendo amava tenere i suoi eventi al Kodak Theatre (ora Dolby Theatre) sulla Hollywood Boulevard e questo mi ha permesso di visitare più di una volta la famosa strada delle stelle. Una delusione assoluta. La immaginavo come un eterno red carpet con celebrità che passeggiavano con disinvoltura fermandosi a firmare autografi e fare foto con i fan. Ciò che mi sono trovato davani è stata invece una strada simile a quelle di periferia che lambiscono la mia città, con decine di negozietti di souvenir per turisti e attrazioni live come il cowboy nudo e Spiderman sovrappeso. Prima di ogni conferenza si faceva il Toto-annunci e quasi sempre lo si falliva clamorosamente. Le più sorprendenti? Forse quella Sony in cui Ken Kutaragi salì sul palco mostrando un UMD per annunciare la prima PlayStation Portatile, la PSP. Nello stesso anno Konami presentò al mondo MGS3: Snake Eater... indimenticabile!
Se i giorni dedicati alle conferenze erano piuttosto movimentati, NULLA poteva prepararmi a quello che avrei passato nei giorni di fiera vera e propria. Tutti gli E3 a cui ho partecipato si sono svolti nella location storica del Convention Center, uno spazio espositivo che si trova nella Downtown di L.A., proprio accanto al leggendario Staples Center, lo stadio dei Los Angeles Lakers. Ogni maledetto giorno di fiera aveva lo stesso, devastante inizio: una colazione a base di hot-dog ricoperti di pancetta e farciti di cipolle e peperoni, venduti da gentilissimi tizi messicani che li cuocevano su piastre incrostate come i polmoni di un fumatore da 3 pacchetti al giorno.
Se non sono morto per infarto in quei giorni ho buone probabilità di cavarmela ora. Questa grassissima sferzata di energia ci spingeva dentro la Lobby della zona sud, dove si faceva un recap degli appuntamenti odierni di ognun componente della redazione. Questi erano raramente meno di 15 e spesso avevano intervalli di tempo strettissimi che costringevano a corse in stile Bolt tra la South e la West Hall. Di tanto in tanto si poteva tirare un po' il fiato e passare qualche minuto nella sala stampa per buttare su file le informazioni appena assimilate. A volte ci si avventurava nella misteriosa Kentia Hall, uno spazio più piccolo (soli 15.000 mq contro i 19.000 della West e i 32.000 della South) in cui era possibile trovare tutti gli espositori indipendenti. Era qui che spesso e volentieri si scovava qualche gioco Indie di interesse assoluto, che quasi sempre però trovava posto solo nelle ultime pagine degli articoli riepilogativi. In questo senso le speranze di visibilità dei piccoli visitatori sono oggi molto maggiori.
Tra una presentazione a porte chiuse e un'intervista si facevano spesso e volentieri dei passaggi radenti nello spazio espositivo vero e proprio, che assomigliava ad una sorta di Las Vegas a tema videogiochi. Un vero delirio di titoli da provare e vedere in anteprima, spesso anteprimissima, uno spettacolo capace di generare poderose erezioni anche nel più disincantato dei giornalisti videoludici. Se dovessi estrapolare un singolo ricordo tra tutti quelli custoditi nel banco di memoria "E3" non avrei dubbi: la mia prima intervista. Fu il classico caso in cui ci si trova nel posto giusto al momento giusto, il mio collega veterano aveva avuto un problema e non poteva partecipare, io che mi trovavo nelle vicinanze ed ero stranamente libero fui chiamato a intervistare... rullo di tamburi... Shigeru Miyamoto!
Dire che avevo la sudorazione di un cammello in andropausa è riduttivo. Mi preparai le domande (in inglese) in poco meno di 10 minuti e per il resto improvvisai. Venni accolto dal gentilissimo Shigeru in una stanzetta nella quale era presente anche la fanciulla che avrebbe tradotto le mie domande e le sue risposte. Furono 15 minuti di estasi mista ad ansia da prestazione ma andò bene, anzi più che bene. Dopo essere uscito dalla stanza mi presi qualche secondo per sistemare le mie cose e venni raggiunto dalla suddetta fanciulla, che con voce flebile mi disse che Miyamoto-san avrebbe avuto piacere di accompagnarmi nella stanza dove pochissimi giornalisti stavano provando in anteprima il primissimo modello di Nintendo DS. Era il 2004 e toccai il cielo con uno stilo.