Cosa sta succedendo in Square-Enix? - articolo
Calano i profitti, aumentano i costi di produzione.
Nel 1986 nasceva a Tokyo Square Co. Ltd, una piccola società sviluppatrice di videogiochi figlia dell'ambizione di Masafumi Miyamoto. Pur essendo una software house estremamente giovane, Squaresoft si trovò nel giro di un solo anno a fronteggiare una pesante crisi finanziaria: l'azienda era nata da una costola di Den-Yu-Sha, compagnia leader del settore edilizio e impresa del padre di Miyamoto che metteva a disposizione dell'allora controllata solamente qualche impiegato in part-time.
La breve serie The Death Trap e il porting di Thexder, così come Deep Dungeon e King's Knight, non riuscirono assolutamente a tenere a galla l'iniziativa del giovane Masafumi, ma quando tutto sembrava essere perduto, l'azienda diede il suo endorsement a Final Fantasy, un progetto JRPG innovativo che trovava le sue radici nella mente di Hironobu Sakaguchi.
Fu così che, a partire dal 1987, ebbe inizio una vera e propria rivoluzione: a cavallo tra il NES e le generazioni successive, il nome di Square iniziò ad essere accostato ad una serie di produzioni divenute pietre miliari dell'industra: Chrono Trigger, Secret of Mana, Xenogears, Vagrant Story e addirittura la collaborazione con Nintendo alla base di Super Mario RPG.
Agli albori delle tre dimensioni, tuttavia, la scelta ricadde sui sistemi Sony a causa dei bassi costi di produzione legati al CD-ROM, decisione che si risolse nello sviluppo di Final Fantasy VII, titolo capace di posizionarsi al secondo posto fra i top seller generazionali con oltre 9 milioni di copie vendute. Insomma: Square rappresentava uno di quei rari casi in cui la crescita dei profitti aumentava un anno dopo l'altro, senza mai conoscere la benché minima flessione.
Ma le flessioni, si sa, sono inevitabili, e Squaresoft andò incontro alla prima della sua storia nell'anno fiscale 2001. A Tokyo si scatenò il panico, un panico ingiustificato che spesso abbiamo identificato come responsabile di modifiche quantomeno discutibili all'organigramma aziendale. Tre figure chiave, tra cui lo stesso Sakaguchi, furono assegnate a nuovi incarichi, e l'intero processo di sviluppo venne completamente ridimensionato nel tentativo di cementificare i team esistenti. Fu proprio quell'anno che iniziarono le trattative di fusione con Enix, colosso dell'intrattenimento RPG eppure società fortemente distante dall'impronta "in-house" tipica di Square.
Quando nel 2002 arrivò l'autorizzazione a procedere con la fusione, accadde qualcosa di inaspettato e al tempo stesso ironico. I ricavi della società non erano mai stati così alti, perché Final Fantasy X per Playstation 2 e la collaborazione con Disney Interactive sfociata in Kingdom Hearts si erano rivelati clamorosi successi commerciali.
Questo fattore fece scattare il campanello d'allarme in alcuni azionisti, tra cui lo stesso fondatore della società Masafumi Miyamoto e altri analisti di settore, contrariati dalla conversione di 1 azione Square per 0.81 di Enix. Come ben sapete, la fusione avvenne comunque e l'era della neonata Square-Enix ebbe ufficialmente inizio.
Ma perché perdersi in questo lungo preambolo di storia societaria? Se è di questi giorni la notizia che i costi di sviluppo alla base dei progetti Square-Enix sono talmente alti da inficiarne i profitti, non possiamo ignorare come l'ultimo ventennio abbia evidenziato una serie di strane politiche aziendali e difficoltà di sviluppo, che appaiono come un chiaro riflesso delle impulsive decisioni prese in passato.
Square-Enix è storicamente un publisher impaziente: proprio il 6 febbraio, i vertici societari hanno evidenziato come il calo di vendite sul territorio giapponese sia un nodo critico da sciogliere attraverso una nuova attenzione verso le esperienze mobile. Il problema è che questa disamina non ha tenuto conto dei risultati raggiunti sul suolo nipponico da Kingdom Hearts III, titolo capace di rompere qualsiasi record precedentemente registrato dalla casa di Tokyo. Ancora una volta, sembra che la dirigenza sia intenzionata a prepararsi per un uragano quando sta cadendo una semplice pioggia estiva.
Tornando per un attimo al passato, il ridimensionamento dei team di sviluppo avvenuto attorno al 2001 nell'allora Square aprì la strada ad una fase estremamente negativa per i prodotti di bandiera. Nonostante la compilation dedicata alla protagonista Lightning abbia sfondato il muro dei 15 milioni di copie distribuite, il sentiment verso il brand calò irrimediabilmente in seguito al penultimo capitolo rilasciato per Playstation 2, momento in cui il publisher sembrò perdere parte della sua identità.
I progetti successivi furono toccati da una sorta di "purgatorio" di sviluppo, non potendosi parlare di 'development hell' vero e proprio, che fece da sfondo a quasi tutte le produzioni originali. Final Fantasy XII vide l'abbandono di Yasumi Matsuno, primo director del progetto poi sostituito da Hiroshi Mingawa e Hiroyuki Ito in quella che sarebbe stata una tra le release più discusse. Per non parlare di Final Fantasy Versus XIII, ciò che avrebbe dovuto essere il tredicesimo capitolo secondo Tetsuya Nomura poi tagliato, cucito, pressato e ridimensionato fino a diventare un po' Final Fantasy XV e un po' il Verum Rex intravisto in Kingdom Hearts III.
Lo stesso Kingdom Hearts III è stato assente dagli scaffali per oltre 12 anni, pur dimostrandosi capace di fornire una degna conclusione all'iconica serie. Final Fantasy XV, dal canto suo, è stato in cantiere per tempo immemore, cambiando numerose forme e germogliando attorno al Luminous Engine, fino a diventare un vero e proprio banco di prova per mettere sotto pressione il nuovo motore proprietario. È vero: Final Fantasy XV ha rotto il muro delle 8 milioni di copie vendute e, stando alle parole del game director Hajime Tabata, ha praticamente salvato da solo l'intero brand Final Fantasy, ma non è stato risparmiato da pesanti critiche da parte dell'utenza della prima ora.
Se fino a questo momento abbiamo preso in considerazione i prodotti di massa del colosso di Tokyo, non possiamo ignorare le tre release sottotono che hanno fatto capolino nel corso dell'ultimo anno fiscale. The Quiet Man figura tra i massimi candidati al premio di peggior titolo rilasciato nel 2018 avendo intascato una media Metacritic di 29, mentre Just Cause 4 non è riuscito ad emergere nell'immenso calderone prenatalizio. Shadow of the Tomb Raider, pur essendo un'esperienza di ottima fattura, ha evidenziato un calo del 70% rispetto alle vendite registrate dal reboot originale nel corso della prima settimana, subendo numerosi tagli di prezzo decisamente mal recepiti dalla community.
Parlando di Tomb Raider, non possiamo fare a meno di notare un'altra peculiarità di casa Square-Enix: proprio il reboot riuscì a sfondare quota 3.5 milioni di copie vendute nel 2013, segnando quello che sarà ricordato come il massimo risultato mai ottenuto dalla saga. Un risultato che, inaspettatamente, sarà poi bollato come insufficiente dai vertici aziendali.
Rise of the Tomb Raider divenne oggetto di un accordo di esclusività temporale per Microsoft che, probabilmente, andò ad inficiare le vendite del sequel, il tutto senza contare le discutibili scelte legate alle finestre di lancio: quella del secondo capitolo coincideva nientemeno che con la data di uscita di un certo Fallout 4, mentre Shadow of the Tomb Raider è entrato in competizione diretta con Marvel's Spider Man.
Insomma: è capitato spesso che tanto le aspettative quanto le proiezioni di vendita si dimostrassero irrealistiche e fuori misura. Al di là di queste considerazioni, il report per gli azionisti evidenzia un aumento sostanziale dei costi sostenuti a livello di marketing e sviluppo, cresciuti al punto da vanificare i risultati raggiunti attraverso vendite e sottoscrizioni. Insomma: Square-Enix spende troppo a livello di produzione e non riesce a conciliare la crescita numerica con quella nei profitti, il tutto senza poter contare sui risultati del mercato mobile, di gran lunga il più redditizio del settore.
Tra spese eccessive e aspettative fuori misura, sembrerebbe il caso di inquadrare il management come responsabile del calo nei risultati. Eppure la società ha già annunciato un nuovo riassestamento interno volto a modificare ancora una volta l'approccio alla produzione.
Nonostante tutto, non possiamo ignorare come gran parte dei progetti nati in seno a Square-Enix viaggino a velocità completamente diverse l'uno dall'altro. Dragon Quest XI ha fatto registrare il miglior lancio della serie, superando i 3 milioni di copie distribuite nel corso di un paio di mesi. Otcopath Traveler si è reso protagonista di un esaurimento completo delle copie fisiche, sorpassando in un anno il milione e mezzo di unità vendute a fronte di un costo relativamente contenuto. Kingdom Hearts III ha polverizzato tutti i record imposti dalla saga, con oltre 5 milioni di copie piazzate in poco più di una settimana e un dominio assoluto sul mercato giapponese.
Inoltre, proprio dal sopracitato report finanziario, è emerso come insospettabile juggernaut della line-up nientemeno che Final Fantasy XIV: A Realm Reborn, il progetto rinato e cresciuto tra le mani di Naoki Yoshida, da molti indicato come un vero e proprio salvatore e protettore della storica filosofia creativa. Le iniezioni di contenuti legate al blasonato MMO, che ad oggi conta oltre 10 milioni di giocatori, coincidono con i più elevati picchi toccati dai profitti dell'impresa, e la release dell'espansione Stormblood ha contribuito a trasformare luglio 2017 in una delle migliori mensilità del biennio.
Nonostante gli allarmismi, Square-Enix si affaccia su un 2019 inaugurato dallo strepitoso successo commerciale di Kingdom Hearts e pronto a proseguire con Shadowbringers, nuova espansione di Final Fanasy XIV prevista ancora per i primi di luglio. Mettendo sotto la lente di ingrandimento la straordinaria mole di titoli "to be announced" che potrebbero rivelarsi top seller, non possiamo che essere fiduciosi riguardo il futuro prossimo del publisher.
Se Project Avengers è destinato a far parlare di sé nel bene o nel male, non si può dimenticare Final Fantasy VII Remake, ennesimo titolo a fare capolino nel portfolio di Tetsuya Nomura e snodo decisivo per la futura definizione degli organi produttivi. Certo, la scelta di mettere da parte il Luminous e adottare l'Unreal Engine per la costruzione di Kingdom Hearts III non è stata incoraggiante, considerando l'importanza del motore proprietario per la riuscita di un progetto che, senza dubbio, sarà un punto di svolta fondamentale nella storia del publisher.
L'ultima apparizione pubblica dell'atteso remake risale al Playstation Experience 2015, ben quattro anni fa, e da allora è trapelato poco meno di qualche timido rumor. Nel frattempo, l'attenzione di Square-Enix deve necessariamente concentrarsi sull'andamento di quelle esperienze per dispositivi smart e PC browser che, seppur spalleggiate da nomi di grosso calibro come Tomb Raider e Kingdom Hearts, non sono riuscite a tradursi in fonti affidabili di introiti sul lungo periodo.
Una politica che non è assolutamente da condannare: avere a disposizione una gallina dalle uova d'oro, seppur distante dalla tradizionale filosofia di sviluppo, può rappresentare un indispensabile salvagente capace di generare carburante per qualsiasi investimento. Si tratta di una lezione più volte impartita da Candy Crush Saga e Hearthstone di Activision-Blizzard, da Fortnite di Epic Games e da Pokémon Go di Nintendo e Niantic.
Insomma: cosa sta succedendo in Square-Enix? Semplicemente, i tempi di produzione oltremodo dilatati e le proiezioni di vendita fuori fuoco portano alla fioritura di sterili allarmismi. Il vero problema sono le misure adottate dal publisher per arginare questo genere di crisi, politiche che spesso e volentieri hanno stravolto le dinamiche aziendali portando ad un tangibile calo qualitativo.