Crash, Medievil e Resident Evil 2: i motivi che rendono cosa buona e giusta il ritorno delle vecchie glorie - editoriale
Perché questi appuntamenti col passato non andrebbero screditati.
Partita un po' in sordina, l'attuale generazione di console ci sta regalando titoli che fino a qualche anno fa appartenevano al regno dei desideri irrealizzabili, nonché piogge d'emozioni a catinelle. Solo negli ultimi mesi abbiamo potuto mettere le mani su videogiochi di alto profilo, certi che il trend continuerà per tutto il 2018 e oltre. Senza ombra di dubbio questa è anche un'era di rimembranza, perché ha visto l'uscita di una gran quantità di remaster e di remake. A tal proposito, le "operazioni nostalgia" possono essere condotte in diversi modi e avere gradi di validità più o meno alti. Un piacere, ad esempio, il poter giocare alle serie di Uncharted e Halo in raccolte potenziate o rivivere l'iconico Red Dead Redemption in retrocompatibilità sulla potente Xbox One X.
Allo stesso modo, è facile che la trilogia di Devil May Cry HD (riproposta anche sulle odierne console) non sortisca gli stessi effetti delle succitate, perché caratterizzata da modesti sforzi produttivi. C'è poi chi si è voluto spingere ancora oltre, confezionando le cosiddette "remaster plus". Ma che cosa si intende con questo termine? Le remaster plus sono dei remake audiovisivi completi, atti a mantenere inalterato quel feeling che tanto ha fatto amare le controparti classiche. Crash Bandicoot N. Sane Trilogy, Shadow of the Colossus, MediEvil e Spyro: Reignited Trilogy fanno parte di questo filone, a volte difeso a spada tratta e altre volte preda di superficiali sentenze.
Quelle che in maniera un po' incomprensibile vengono definite da alcuni come "operazioni commerciali" - come se videogiochi, musica, film e quant'altro non si fondassero sul ritorno economico - godono altresì di vaste schiere di appassionati, desiderosi di avere la chiave per riaprire il cassetto dei ricordi. Dal canto nostro esistono alcuni motivi che danno valore a questi appuntamenti col passato, ecco perché abbiamo pensato di esporveli in questa sede.
I versi di Crash, le atmosfere di Resident Evil 2, il filmato d'apertura di MediEvil o il getto di fiamme di Spyro: spesso basta una musica o un frammento impresso nella memoria per far tornare indietro di decenni i fan di avventure come queste. Mentre gli universi di Zelda e Super Mario si sono evoluti a dismisura fino ad arrivare - più belli che mai - ai giorni nostri, alcuni dei succitati brand non hanno avuto la stessa fortuna, finendo inesorabilmente inghiottiti dalle sabbie del tempo. Il marsupiale arancio, il draghetto viola e lo scheletrico Sir Daniel, hanno fatto apparizioni relativamente recenti, questo è vero, ma quasi mai in modo incisivo o che ne valorizzasse lo spirito originale.
Per meglio inquadrare ciò che abbiamo affermato, basta chiamare in causa la parabola discendente che è stata la "carriera" di Crash Bandicoot, vero idolo di gioventù per molti di noi. Dopo la trilogia originale, l'apprezzato Team Racing e il simpatico Crash Bash, la saga è andata lentamente in malora, come fosse un esperimento del dottor Neo Cortex. Con le sole eccezioni di Twinsanity e Nitro Kart, la serie ha visto l'uscita di episodi non proprio ispirati (si pensi a L'ira di Cortex) o di giochi che avevano ben poco a che fare con la gloriosa era PlayStation 1 (Crash of the Titans).
Col susseguirsi delle generazioni di console, un numero sempre maggiore di appassionati avrebbe voluto rivivere le gesta di Crash, fino a quando Activision (proprietaria della licenza) non ha deciso di affidare a Vicarious Visions la realizzazione di questo desiderio collettivo. I meriti della N. Sane Trilogy non sono da ricercarsi nel superbo restyling grafico ma, piuttosto, nel ritrovare versioni moderne di quei piccoli dettagli che così tanto avevano lasciato il segno nelle nostre menti di bimbetti. La rana che bacia Crash trasformandosi in un principe, l'incauta superbia di N. Tropy, i livelli tagliati dal primo capitolo perché troppo difficili: le remaster plus sono un'occasione perfetta per sedare quella nostalgia, a tratti lacerante, che tra uno Zelda: Breath of the Wild e un God of War torna di soppiatto a tormentare i giocatori.
Il ritorno dei "vecchi amici" non fa bene solo ai fan di lunga data ma, potenzialmente, anche alle nuove leve e ai publisher stessi. Per motivazioni puramente anagrafiche, chi vi scrive non aveva mai giocato a Wonder Boy III ma grazie allo splendido "The Dragon's Trap", uscito nel 2017, ha potuto porre rimedio a tale mancanza e nel migliore dei modi. Al contempo, è possibile che i giocatori più giovani desiderino recuperare titoli di cui hanno soltanto sentito parlare: quale occasione migliore di una raccolta di remaster plus per far sì che ciò accada?
E ancora, quante volte capita di perdersi un capolavoro? Basta munirsi di un po' di spirito "holmesiano" per realizzare che in tanti non avessero mai giocato a Shadow of the Colossus prima del suo provvidenziale approdo su PS4. L'opera di Fumito Ueda non è che un nome nella gigantesca lista dei "peccati" che alcuni nascondono agli occhi dei commilitoni videoludici. In sostanza, Spyro: Reignited Trilogy potrebbe fungere da medicinale anti-nostalgia ma anche da perfetta redenzione per un "blasfemo" che, volente o nolente, ha mancato di giocare agli originali.
Prima sono stati menzionati i publisher e la cosa non è stata fatta per caso. Oltre ai guadagni che Activision ha ricavato da Crash Bandicoot N. Sane Trilogy, possiamo dire che quest'ultimo abbia superato l'esame più importante di tutti: la risposta del pubblico alla rinascita del marsupiale è stata straordinaria, nonostante si sia potuto disporre soltanto dell'utenza PlayStation per tirare le somme. Spinta anche da questo gigantesco entusiasmo, la compagnia statunitense ha permesso alla "fu icona di Sony" di arrivare sui lidi di Microsoft e Nintendo, conferendo nuova linfa vitale alla Crash-mania.
Le edizioni restaurate possono quindi fungere da comodo banco di prova per tentare di capire se il brand a cui fanno capo potrà avere un futuro oppure no. In soldoni, ora un titolo ex novo dedicato a Crash è tutt'altro che da escludere, cosa che non si sarebbe mai potuta affermare fino a dodici mesi fa. Activision ha avuto viva prova del talento di Vicarious Visions e, nel frattempo, ha piantato nel terreno quei semi che potrebbero dare alla luce un capitolo inedito di successo: come si fa a dirlo? Basti pensare a Future Tense, il livello totalmente nuovo di recente introduzione. Con la raccolta delle due gemme al suo interno è possibile sbloccare un trofeo che reca le seguenti parole: "il futuro è chiaro". Sbaglieremmo se affermassimo che questa ha tutta l'aria di essere una dichiarazione d'intenti?
Ne abbiamo parlato in precedenza e lo ribadiamo adesso: l'attuale generazione ci ha messo un po' per mostrare i muscoli ma, del resto, anche al cenone di Capodanno non si servono le portate principali a cinque minuti dall'arrivo a tavola. Paragoni mangerecci a parte, possiamo affermare senza timore di essere entrati nel vivo di questo ciclo, tra grandi multipiattaforma e importanti esclusive. Essere appassionati di esperienze multiplayer o preferire le grandi storie con una spolverata di cinematografia non fa differenza: in ogni caso ci si ritrova a fare i conti con videogiochi dalla struttura complessa e dall'alto tasso di sfida.
Marzo ha visto l'uscita di Far Cry 5 e Sea of Thieves, mentre aprile ha ospitato il ritorno di Kratos e l'ultimo ruggito del Dragone di Dojima. Gustare appieno God of War richiede ben 40 ore di tempo mentre per Yakuza 6: The Song of Life ce ne vogliono almeno il doppio. Tante attività da svolgere, compiti secondari da portare a termine, rami di abilità da riempire e sfide da superare, sono il pane quotidiano del gaming moderno. Anche in quest'ottica, di conseguenza, sapere che nel corso dei mesi ci si potrà distrarre con qualche compagno del passato non può che far piacere.
Badate bene, Crash e Spyro possono celare un certo grado di difficoltà dietro ai colori sgargianti e alla sinfonia di dolci ricordi ma conservano una struttura di gioco ben più classica e lineare. Quando parliamo di "staccare la spina" ci riferiamo proprio alla semplicità che permea le esperienze ludiche di questo genere, ormai sempre più rare e fuori tempo massimo. Attendere l'arrivo di MediEvil, in definitiva, non può e non deve essere paragonabile al bisogno viscerale di mettere le mani su Red Dead Redemption 2 ma sarebbe altrettanto esagerato privare d'ogni validità la resurrezione di Fortesque.
Gli anni scorrono veloci e i videogiochi si evolvono, anzi è il concetto stesso di videogioco che resta al passo coi tempi. Avere la smania di scoprire dove stiamo andando è cosa buona e giusta ma di tanto in tanto non è sbagliato voltarsi indietro per ricordare da dove siamo venuti. È quantomeno assurdo far passare come soverchiante il trend dei remake/remaster plus, perché sarebbe come negare tutte le grandi esperienze videoludiche che questa generazione ci ha saputo regalare. Consideriamo questo filone per ciò che è realmente: una gradita occasione per tuffarci in un mare di ricordi d'infanzia, un momento di rimembranza per assaporare con rinnovata purezza ciò che è stato e che, probabilmente, non sarà mai più.
Con l'annuncio ufficiale di Resident Evil 2 all'E3 2018, Capcom ha voluto mettere in chiaro una cosa: il ritorno di Leon e Claire sarà ben più di un classico remake. Dietro a un esempio come questo si nasconde, in realtà, la piena realizzazione del potenziale insito nelle operazioni nostalgia. La versione actual gen del survival horror diventato cult durante l'era PlayStation presenta una serie di importanti differenze con l'originale.
Nel gioco sembrano essere state utilizzate una serie di idee che avrebbero dovuto vedere la luce nel mai compiuto Resident Evil 1.5, dal design delle mappe fino al look dei personaggi. Il trailer di debutto, per dirne una, ha mostrato il temibile Mr. X con indosso un cappello classico e anche una diversa interpretazione della mitica centrale di polizia. A tutto ciò vanno aggiunte le dichiarazioni degli sviluppatori, secondo le quali potremo esplorare aree mai viste prima e risolvere enigmi aggiuntivi. Al contempo non bisogna lasciarsi ingannare dalla telecamera vista nel filone action di Resident Evil, perché il gioco manterrà fede alle atmosfere horror e a quella componente survival tanto cara agli appassionati.
Senza dover aspettare fino al 29 gennaio dell'anno prossimo, c'è un altro titolo che ha il diritto di entrare in questa categoria. Ci stiamo riferendo a Yakuza Kiwami 2, restauro in Dragon Engine della seconda iterazione del brand di SEGA. Anche in questo caso ci troviamo dinanzi a un'opera che supera di netto i limiti del remake, vantando capitoli addizionali della storia, un nuovo protagonista e un sistema di gioco completamente ripensato. Spinto dal dinamismo di The Song of Life e forte dei nuovi combattimenti basati sulla fisica, Kiwami 2 è un altro esempio di come dovrebbero e, a seconda del caso, potrebbero essere trattate le vecchie glorie.
In definitiva, il mondo dei remaster e dei remake è molto più complesso e sfaccettato di quanto si possa pensare e non merita di essere bollato come un fenomeno negativo. Grazie a esso i giocatori possono riaprire il dolce libro dei ricordi e i publisher capire se permettere a un determinato brand di risorgere o meno. Bisogna altresì prestare attenzione ad alcune possibilità insite nel ritorno dei classici, come nel caso di Resident Evil 2 e di Yakuza Kiwami 2. Il primo ha portato a casa il Game Critics Award all'E3 2018, perché è ben più di un upgrade grafico del gioco su cui si basa. Trasporre il feeling e le atmosfere di un caposaldo del passato in un'esperienza attuale potrebbe segnare la nascita di un trend interessante, che già da ora pare avere tutte le carte in regola per regalarci grandi sorprese.