Creaks - recensione
La solita abbagliante magia dei papà di Machinarium, Samorost e Botanicula.
Una sera come tante dopo una giornata come tante. La camera da letto, la scrivania, un buon libro e la solita, piccola e inarrestabile lampadina che sa rischiarare gli anfratti più nascosti regalando forma e certezza anche alla sagoma più ambigua e apparentemente mostruosa. "Bzzz". Uno sfarfallio improvviso e buio fu! Basta un colpettino e la luce torna salda e inattaccabile, baluardo contro l'ignoto. "Bzzz"e questa volta nell'oscurità la carta da parati sembra staccarsi quasi per magia, quasi come se in quel punto ci fosse sempre stato qualcosa di vivo che attendeva in agguato il momento giusto. Un'avvitata alla lampadina e passa la paura ma non questa volta.
Questa è la volta in cui la lampadina esplode in mille frammenti e inesorabile la carta da parati si stacca completamente rivelando un'improbabile botola e...una interminabile scala a pioli? Lasciate spazio alla stranezza, lasciate spazio al surreale. Lasciate spazio a Creaks.
Spiccare con un progetto nel marasma indie non è cosa da tutti, riuscire a trasformare il proprio nome in sinonimo di artigiani di piccole opere d'arte in salsa punta e clicca è ben altra cosa. Amanita Design è sinonimo di ricercatezza artistica e di piccole splendide perle sin dal 2003, quando il primo Samorost non era altro che un browser game completabile in una decina di minuti. Lo studio ceco è cresciuto diventando un'unione di diversi micro-team per un totale di 20 dipendenti circa, i Samorost sono diventati tre e intanto Machinarium, Botanicula e Chuchel hanno dimostrato che la vena creativa non si sta di certo esaurendo.
C'è però un passo ulteriore che spesso neanche i team più blasonati decidono di fare: cercare di mantenere viva la magia in un contesto radicalmente diverso. Creaks è un titolo che in forma più o meno attiva è in sviluppo da 8 lunghi anni ed è il passo più importante di Amanita per diverse ragioni. Certo, è il primo gioco a venir pubblicato in contemporanea su tutte le piattaforme più importanti in una sfida incredibile per una piccola software house. La sfida più grande però è un'altra, è il decidere di andare alla ricerca del diverso, abbandonare la propria zona di comfort. Esattamente come il protagonista di questa avventura scende quella interminabile scala a pioli abbracciando un surreale ignoto.
Coltivando un'idea nata ai tempi dell'università, gli sviluppatori abbandonano il fidato mouse e le avventure punta e clicca colorate e spensierate che li hanno portati a un più che discreto successo per sposare un controllo diretto del protagonista e una splendida ma cupa e vagamente horror avventura puzzle platform 2D molto più puzzle che platform. Una zigzagante discesa all'interno di una megalopoli bizzarra e contorta misteriosamente nascosta dietro un muro qualsiasi e un modo anche per esplorare tematiche come l'ambiguità e la pareidolia.
Avete presente quando in penombra un oggetto sembra qualcosa di molto diverso, magari addirittura uno spaventoso mostro partorito da chissà quale angolo della nostra immaginazione? O quando si parla della sensazione di intravedere un volto tra le nuvole? In parole molto povere è questa la pareidolia, il vedere cose che a conti fatti non ci sono o l'intravedere forme sconosciute là dove in realtà ci sarebbero contorni quanto mai reali e a conti fatti banali. E proprio a questo particolare fenomeno si lega l'elemento più peculiare del gameplay: i creaks.
Il mondo di gioco è interconnesso ma allo stesso tempo suddiviso in una sessantina di scenari, livelli caratterizzati da elementi quanto mai classici come leve, pulsanti, marchingegni, ascensori, ingranaggi e chi più ne ha ne metta. Si tratta evidentemente di cose viste e riviste nei puzzle game e nelle avventure punta e clicca in generale e per certi versi questa mancanza di originalità è uno dei difetti più evidenti della produzione. Un difetto potenzialmente molto grave ma decisamente alleviato proprio dai creaks e da una gestione del binomio luce/buio molto più originale di quel che ci si aspetterebbe da due elementi strautilizzati come questi.
I creaks sono creature, mostri che nella penombra sono vivi e guidati da comportamenti tutti da scoprire ma che una volta colpiti dalla luce si trasformano improvvisamente in sedie, comodini, mobili. Nella nostra avventura abbiamo incontrato diversi creaks, ognuno con comportamenti e reazioni differenti ma accomunati da una profonda repulsione per la luce e dalla capacità di farci la pelle nel caso ci fossimo avvicinati troppo.
Sono indubbiamente loro il vero fulcro di ogni enigma e l'incastro tra il design dei livelli, le nostre azioni e i loro comportamenti crea una formula di gioco che sa sempre rivelarsi divertente e impegnativa evitando agilmente il rischio frustrazione. Certo, ci saranno quei momenti in cui la soluzione faticherà ad arrivare ma solo in un caso abbiamo avuto la sensazione di averla scovata completamente a caso, in preda a un disperato trial and error. Per il resto tutte le 8 ore vissute in compagnia del gioiellino di Amanita Design hanno saputo regalarci quei sani e soddisfacenti "eureka" che ogni titolo caratterizzato da puzzle ed enigmi deve copiosamente regalare per dimostrarsi davvero degno del nostro tempo.
Creaks in questo senso sa essere affascinante, coinvolgente e impegnativo senza mai sfociare in una complessità soverchiante o in una fastidiosa semplicità e aggiunge diverse chicche che spingono a continuare di scenario in scenario alla ricerca di risposte e di collezionabili davvero unici. Già, perché l'ultima opera dei talentuosi ragazzi cechi non è di certo solo un ammasso di stanze piene di enigmi ma ci mette di fronte a una trama e a un universo molto interessante, che perde leggermente di mordente solo nel finale ma che si dimostra di sicuro fascino. Sicuramente ci sarebbe piaciuto avere più risposte dal comparto narrativo ma anche l'alone di mistero che permane dopo il finale è una strada adatta all narrazione assolutamente senza parole che caratterizza questo titolo.
Per quanto i personaggi secondari non manchino di certo, infatti, non ci saranno mai dialoghi ma sempre un forte affidamento sulla narrazione ambientale e sui gesti dei vari personaggi. Cosa sono i creaks? Chi sono gli enigmatici uomini pennuti che abitano le stanze in cui ci siamo misteriosamente ritrovati? Che cos'è effettivamente il mondo spuntato dal nulla da una botola nel muro della nostra camera? Chi o cosa provoca quelle spaventose scosse telluriche che si abbattono regolarmente sulla magione sotterranea? Tante domande e poche risposte e ai titoli di coda un leggero amaro in bocca per non averne saputo di più non è mancato. Magari però ci sarà un sequel? Lo speriamo con tutto il cuore.
Anche perché, per quanto i puzzle veri e propri si affidino a elementi di base in gran parte troppo poco originali, la cura per ogni dettaglio della produzione è assolutamente innegabile. Prendiamo per esempio i collezionabili, dei dipinti interattivi più o meno nascosti che in diversi casi si dimostrano dei minigiochi, delle bizzarre versioni alternative dei cabinati e degli intermezzi sempre divertenti e unici, diversi. Ma ovviamente non si può parlare di dettagli senza spendere due parole anche sul lavoro tecnico e artistico svolto dagli sviluppatori.
Tecnicamente il gioco è inattaccabile, caratterizzato com'è dall'assoluta assenza di qualsivoglia bug o magagna a livello di prestazione e di codice. Artisticamente si raggiungono invece vette altissime con un'estetica oscura e surreale completamente disegnata e dipinta a mano, che si allontana dai classici mondi alieni e colorati tipici dello studio ma che comunque regala un immaginario splendido per quanto cupo e in alcuni tratti leggermente monotono a livello puramente ambientale.
Da riempire di lodi sperticate su tutta la linea la colonna sonora ad opera di Hidden Orchestra, nome dietro cui si cela il polistrumentista Joe Acheson, qui alla sua prima prova nel mondo dei videogiochi. Il risultato finale è un meraviglioso accompagnamento dinamico che si modifica con la progressione dei puzzle e che regala anche dei delicati indizi sonori nei momenti in cui abbiamo intrapreso la strada corretta o siamo vicini alla soluzione. Lo ammettiamo senza giri di parole, la collaborazione tra Amanita e Hidden Orchestra DEVE diventare un'abitudine.
In definitiva il nostro responso è un 8,5 pieno nella nostra mente che si trasforma in un 8 forse un po' severo a fondo articolo ma che può essere tradotto con molta chiarezza e semplicità: amate Samorost, Botanicula e Machinarium? Must buy! Non conoscete il team e i suoi progetti ma siete affascinati dall'estetica di Creaks e avete voglia di un puzzle impegnativo e appassionante al punto giusto? Must buy!
Amanita Design cambia genere, esce dalla propria zona di comfort con un titolo che riesce ad andare oltre alcuni elementi di base piuttosto banali che lo compongono (la contrapposizione luce/buio, pulsanti, leve, ingranaggi, ascensori, scale sono tutte componenti viste e riviste nel genere) e confeziona un'altra gemma di una carriera che forse non ha sempre fatto gridare al miracolo ma che ci consegna una verità innegabile: il panorama indie ha dalla sua un piccolo gruppo di artigiani che sa sempre distillare qualcosa di magico.