Creare Grand Theft Auto e Zzap!64: la vita e le storie di Gary Penn
"Avevi la sensazione di poter fare qualsiasi cosa".
Non riusciamo ancora a capacitarci di aver sentito che Grand Theft Auto è stato quasi cancellato. Sì, proprio quel Grand Theft Auto, GTA, l'originale, il gioco che ha dato il via a tutto. Cosa sarebbe successo se non fosse mai uscito? C'è mancato davvero poco, a detta di Gary Penn, senior producer e poi direttore creativo del gioco.
Perché è stato quasi messo da parte? Perché "non andava da nessuna parte ed era orribile", Penn non è uno che usa mezzi termini. "Non so perché lo difendevo ogni settimana", dice. "Credo di aver semplicemente creduto che potesse essere qualcosa, così come Sam Houser che lavorava lì, era una delle poche persone che ci credeva". (Sam Houser ha poi co-fondato Rockstar con suo fratello Dan e ha fatto molto bene con GTA, ovviamente).
Quando abbiamo chiesto a Gary Penn cosa c'era di così terribile, come se fosse doloroso ricordarlo, lo sentiamo emettere un sommesso sospiro. "Per cominciare, funzionava raramente", esordisce. Si bloccava in continuazione, un vero e proprio crash che costringeva a riavviare il tutto. Non si poteva giocare per più di qualche minuto di seguito.
"Aveva tante qualità grezze, davvero amatoriali, come la fisica e la maneggevolezza delle auto che erano terribili. E la struttura del gioco, così com'era allora... era molto più limitata. Tutte le cose che si possono pensare per far funzionare un gioco erano in condizioni pessime. E in più continuava ad andare in crash".
All'epoca il gioco era conosciuto come Race n' Chase ed era solo uno dei tanti giochi a cui DMA Design (il nome con cui lo studio era conosciuto prima di diventare Rockstar North, ndR) stava lavorando. Nessuno sapeva che sarebbe diventato un fenomeno culturale. Era solo un gioco buggato, poco divertente e che sperperava risorse. Bisognava davvero lottare per tenerlo in vita.
Penn ricorda il momento in cui le cose iniziarono a cambiare. Un programmatore di nome Patt Kerr propose un nuovo modello di fisica per la guida. "Era solo una scatola, credo che lasciasse anche una piccola scia dietro di sé per enfatizzare meglio il movimento, si muoveva a coda di pesce e sbandava. La prima volta che l'ho visto ho sorriso come un ebete", racconta. "Abbiamo pensato che fosse davvero una figata. Credo che abbia messo anche il freno a mano, così che scivolasse. Eravamo parecchio entusiasti", aggiunge. "Mi piace pensare che sia stato io a convincere tutti... Forse non è andata così, ma sapevo che doveva far parte di GTA."
E nel momento in cui è entrato in funzione, la gente ha cominciato a capire il motivo di tanto clamore. Improvvisamente era giocabile. Improvvisamente, era divertente.
Ma la fama di Gary Penn non inizia con Grand Theft Auto. Era altrettanto noto, se non di più, un decennio prima, come uno degli scrittori dell'iconica rivista britannica di videogiochi, Zzap!64.
Per ottenere questo lavoro ha dovuto vincere un concorso. Aveva già presentato alcune guide a Personal Computer Games (era ossessionato dai videogiochi fin dalla comparsa di Pong!), così, quando il capo di PCG Chris Anderson (che ha poi fondato Future Publishing e gestito TED) decise di indire un concorso per trovare il "miglior giocatore della Gran Bretagna", il nome di Penn fu estratto da Anderson.
"Alla fine siamo andati in cinque negli uffici e abbiamo dovuto giocare a cinque nuovi giochi che non erano ancora stati rilasciati", racconta Penn. Non ricorda quali fossero, ma erano su diverse piattaforme. E se l'è cavata piuttosto bene, non vincendo ma arrivando terzo dietro a Julian "Jaz" Rignall, un altro nome che potreste riconoscere, e a qualcuno al primo posto di cui non ricorda il nome, il che ci sembra una sorta di rancore sopito.
Ma i risultati non sarebbero mai stati pubblicati perché l'azienda dietro a PCG, VNU, si è ritirata e ha chiuso la rivista. Ma non tutto era perduto: Chris Anderson decise di fondare qualcosa di nuovo e volle che i migliori giocatori britannici - Penn e Rignall - scrivessero per la rivista. "Una sera sono tornato tardi da casa di un amico e la mamma mi ha detto che c'era un tizio di nome Chris Anderson [al telefono per me]". Così lo richiamò e Anderson gli propose la sua idea per una nuova rivista.
"È stata sua l'idea di abbandonare l'uso dei giornalisti", racconta Penn, "perché secondo lui erano troppo soffocanti e tradizionali. Voleva giocatori, gamer, che sapessero scrivere, così ho dovuto fare un paio di test di scrittura e ho ottenuto il lavoro".
Subito dopo Penn si trasferì a Yeovil per vivere con un gruppo di giovani che la pensavano come lui e per giocare e scrivere di giochi tutto il giorno. "Non si può dire di no ad un'opportunità del genere".
È stato un periodo formativo per lui e per la scrittura di videogiochi. Questo modo di raccontare con personalità rimane ancora oggi, con molti team che cercano di ricreare un senso di famiglia allargata che gioca insieme a voi, i lettori. Penn ricorda che lavorava molto, fumava e beveva molto, non dormiva molto e giocava molto. Ed era inebriato dallo status che gli dava.
"Avevi la sensazione di poter fare qualsiasi cosa", dice, "assolutamente qualsiasi cosa, ed è stata una sensazione bellissima. Ti stai inventando tutto man mano, stai imparando cose, stai diventando davvero presuntuoso. Ti viene prestata molta attenzione, le tue opinioni sono incredibilmente influenti all'improvviso. Hai questa specie di strana micro-stardom, che è molto particolare. Andavi in giro e venivi riconosciuto".
Anni dopo, in un WH Smith di Fife, in Scozia, dove vive, sarebbe stato notato da un turista americano che gli girava intorno vicino a uno scaffale di riviste. "Ehi! Tu sei Gary Penn", disse l'americano. E lui: "Sì, sì...?". "Zzap!64 giusto?!".
Ma Zzap!64 non durò. Dopo qualche anno - e in quello che sembra essere un po' uno schema - Penn se ne andò "con un po' di dispiacere", come lo descrive lui stesso. Ha contribuito a mettere insieme alcuni numeri di lancio per riviste come The Games Machine, che definisce un "proto-Edge", prima di andare a Londra dove ha avuto un breve periodo sulla rivista pornografica Knave, tra tutte. "È stato interessante", dice.
Alla fine è entrato in contatto con l'editore EMAP, dove ha sperimentato un'edizione quindicinale di Computer and Video Games (CVG), prima che gli venisse chiesto cosa volesse fare e a quel punto gli è venuta l'idea della rivista di giochi The One. "Credo che per certi versi stessi cercando di fare Edge prima di Edge, ma non ne avevo la capacità", dice. Ma dopo alcuni anni di successo e di premi "ho lasciato anche EMAP in preda al panico".
In seguito iniziò a scivolare verso la produzione di videogiochi. Per un po' fece il consulente, per un po' scrisse manuali di gioco che a quanto pare ebbero un successo tale che figure del calibro di Archer Maclean gli chiesero di scrivere personalmente i loro manuali (scrisse il manuale di Elite 2, il manuale di Dune 2, "probabilmente" il manuale di Command & Conquer). Alla fine, ha ottenuto un ruolo di produttore presso Konami e da lì alla BMG, l'etichetta discografica trasformata in editore di videogiochi che ha investito denaro in Race n' Chase/GTA.
Rimarrà lì fino al lancio di Grand Theft Auto 3, che ricorda essere un remake di GTA1, ma a quel punto "il team della Silicon Valley" era al comando e lui se ne era allontanato. Lui, invece, stava lavorando a quello che sarebbe diventato Manhunt, il gioco che scatenò vibranti polemiche e che parlava di un condannato a morte costretto a recitare in uno snuff movie, dove la gente cercava di ucciderti. "All'inizio era solo un gioco di nascondino che stavamo facendo, beh, un sadico gioco di nascondino", racconta. "Lo stavamo prototipando". Usava carta e penna e monete per capire se e come avrebbe funzionato il gioco.
Ma lavorare lì gli è costato caro. La DMA era, per dirla in breve, "un tremendo casino". "Sono stato sottoposto a una grande quantità di stress", dice. "Ho rischiato di crollare". Il problema era che la DMA aveva troppi progetti e stava "perdendo soldi in modo orribile", senza riuscire a concludere nulla con nessuno di essi. C'erano GTA, Body Harvest, Space Station Silicon Valley, Tanktics, Wild Metal Country, Attack! e Clan Wars, tutti in sviluppo nello stesso periodo.
"Quando si è all'esterno e si guarda dentro, è fantastico", dice, "tutti questi bellissimi giochi originali che stanno arrivando. È un'idea così bella che si pensa che debba essere un luogo fantasticamente creativo. E può esserlo. Ma allo stesso modo, quando si tratta di realizzare questa roba e di portare a termine il lavoro, è stressante. È davvero stressante.
"Sono semplicemente andato in burnout", dice. "Quando Rockstar ci ha comprato andavo molto d'accordo con Sam [Houser] e quindi pensavo 'quest'avventura sarà fantastica'. Mi sono reso conto che..." si interrompe con un sospiro. "In fin dei conti sono in una buona azienda, pagano bene, ma si aspettano anche molto in cambio. E ho pensato che non voglio più fare questo lavoro. A quel punto mi sono sentito esaurito".
È qui che entra in gioco Denki, lo studio in cui lavora da oltre 22 anni, un periodo notevole. È stato creato da persone della DMA con l'idea di realizzare giochi più piccoli in modo più rapido e senza stress. E per alcuni anni li ha sfornati davvero, realizzando centinaia di giochi interattivi per la TV per quasi tutte le aziende che si possono immaginare.
"Ho vissuto un periodo di grande stress. Ho rischiato di collassare."
Tuttavia, non ha abbandonato del tutto il mondo dei giochi tripla A. È uno dei pochi ad aver lavorato a tutti e tre i giochi di Crackdown. "Sono stato coinvolto fin dall'inizio", racconta, quando Crackdown si chiamava Car Wars ed era un RPG a turni sui combattimenti tra veicoli. È stato solo quando un progettista si è messo a giocare con le impostazioni, aumentandole, che è nata l'essenza dei poteri esagerati di Crackdown.
Denki si è gradualmente allontanata dai giochi interattivi per la TV, rallentando la quantità di uscite fino a quando, nel 2011/2012, ha lanciato lo splendido Quarrel, un mix di Risiko e Scarabeo. Poi, nel 2019, ha realizzato forse il suo gioco di maggior successo fino a quel momento: Autonauts, un gioco che consiste nell'automatizzare i compiti in un accogliente insediamento personale. Su Steam ha migliaia di recensioni "estremamente positive", e The Guardian l'ha adorato. Anche se non è intenzionalmente educativo, Autonauts si è guadagnato la reputazione di aiutare le persone a comprendere i fondamenti della programmazione. Viene persino utilizzato in alcune scuole europee proprio per questo scopo.
Autonauts è arrivato su console molto recentemente, ma la cosa più interessante è che questa settimana si è espanso in un gioco nuovo di zecca, Autonauts vs Piratebots. Come si può intuire, quest'ultimo introduce una minaccia al mix precedentemente spensierato: i pirati. Il che significa che dovrete difendere il vostro insediamento da loro utilizzando tutta una serie di nuove tecnologie ricercabili. Sembra che ci siano molte novità, oltre a una struttura e una storia più articolate rispetto al passato.
È qui che si trova attualmente Gary Penn. È una persona che fa parte dell'industria dei videogiochi da quando sono nati e che ha contribuito a plasmarne alcune parti fondamentali. È una persona affascinante con cui parlare, non solo per le storie che ha da raccontare ma anche per il modo in cui guarda e pensa alle cose. Ed è ancora appassionato di videogiochi, soprattutto per le oltre 3700 ore di gioco dedicate a Splatoon 2. "Sì, è un'ossessione", ammette felicemente. Ha giocato anche ai nuovi giochi di GTA. Il suo preferito? Vice City.