Da Benjamin Button a Gemini Man: l'immortalità arriva sul grande schermo - articolo
La tecnologia consente agli attori di diventare come Dorian Grey: potremo ancora fidarci dei nostri occhi?
E se si stesse arrivando a un punto in cui gli attori invecchieranno solamente nella vita reale, restando per sempre giovani sullo schermo? Diventando così dei Dorian Grey che non stringono un patto col Diavolo, ma coi registi e gli addetti agli effetti speciali?
I progressi della tecnologia offrono così lo spunto per riflettere sull'uso che ne sarà fatto, sul gradimento che ne deriverà, quando già molti hanno manifestato qualche dubbio in recenti occasioni. Ci piace? Ci piacerà rivedere noti attori come fossero ancora giovani, evitando di cercare un attore somigliante ma con 40 anni di meno, lasciando invece sempre loro a interpretare un personaggio con la faccia "spianata" dagli "effetti speciali"?
Non saremmo qui a interrogarci se non ci fosse stata un'impressionante evoluzione della CGI (Computer Generated Imagery), con la motion capture, la performance capture e la facial motion (o expression) capture, che a loro volta generano diversi risultati a seconda che si usino o meno dei marcatori (non dimentichiamo che i programmi di ringiovanimento facciale, di ricostruzione di un volto, sono strettamente collegati ai programmi di riconoscimento facciale, usati per scopi tutt'altro che ludici).
Una scena che abbiamo visto in tanti backstage è quella di un attore che viene messo a muoversi e a recitare, mentre dal suo corpo, dalla sua faccia, cosparsi di sensori, si ricrea l'immagine voluta. La tecnica è stata usata sempre di più per il cosiddetto "digital de-aging", il tanto chiacchierato ringiovanimento digitale, procedimento assai costoso, anni fa semplicemente inimmaginabile.
Si può effettuare in modi diversi: si può usare l'attore vero che recita normalmente la scena, poi si fa fare lo stesso a un altro attore, più giovane e somigliante all'originale, e si sovrappongono e perfezionano le due prestazioni con il digitale. Questa tecnica è l'evoluzione del precedente Beauty Work, una versione di lusso del nostro casalingo Photoshop, di cui il Performance Enhancement è la versione successiva. Senza usare due attori, ci si limitava in post-produzione a togliere rughe e difetti vari.
Questi "trucchi" sempre in evoluzione, sono stati impiegati per Brad Pitt ne Il curioso caso di Benjamin Button, per Michael Douglas in Ant-Man e negli Avengers, su Downey Jr in Civil War e Samuel L. Jackson in Capitan Marvel, su Anthony Hopkins in Westworld e Johnny Depp in Pirati dei Caraibi: La vendetta di Salazar. E non dimentichiamo Arnold Schwarzenegger in Terminator-Salvation, Jeff Bridges in Tron: Legacy, Kurt Russell ne I Guardiani della Galassia 2 e Sean Young in Blade Runner 2049. E adesso aspettiamo di vedere De Niro e Pacino in The Irishman di Scorsese, in cui sembra che anche loro siano stati sottoposti a un processo di ringiovanimento in alcune scene.
Altra cosa è la Mo-cap, usata per il Gollum "sotto" il quale agiva Andy Serkis, alla quale s'avvicina la tecnologia impiegata nell'imminente Gemini Man (20th Century Fox con Will Smith e Clive Owen, diretto da Ang Lee), in cui si è creato un clone del protagonista, dall'età però dimezzata. Il procedimento, ancora migliorato rispetto agli esordi, conferisce al "doppio" la stessa espressività dell'attore, che in questo particolare caso è enfatizzata da un'altra tecnologia innovativa, chiamata HFR 3D+.
Grazie ad essa il film è stato girato a 120 frame al secondo, tecnica che il regista peraltro ha già sperimentato nel suo film precedente, Billy Lynn (La desolazione di Smaug era in 48, per dire). Questa scelta non è solo visiva ma concettuale, perché con questa percepibile accelerazione Lee consegue un effetto più realistico, e più coinvolgente per lo spettatore.
Il 3D è nativo e in 4K e il risultato è di un realismo impressionante, sia per il doppio personaggio di Smith, sia per il resto del cast, mentre i panorami sono definiti fino all'infinito. L'occhio umano, anche nulla sapendo di tanta tecnologia, avverte una sensazione di particolare nitidezza e di estrema luminosità, che generalmente il 3D al contrario tende ad abbassare.
Di Motion Capture e Performance Capture si era iniziato a leggere ai tempi di Polar Express, realizzato da Robert Zemekis nel 2004, tecnica che ha portato avanti con Beowulf nel 2007 e con Canto di Natale con Jim Carrey. La tecnica consente di digitalizzare ogni più piccolo movimento ed espressione grazie alla miriade di sensori posti su corpo e viso dell'attore, che così "recita" davvero la sua parte (oggi esistono le scansioni al laser).
In molti altri film è stata impiegata questa tecnologia: John Carter (in cui sotto le sembianze mostruose di un guerriero marziano agiva Willem Dafoe); la bella guerriera di Avatar era Zoe Saldana; in Ted Seth Macfarlane era il morbidoso e scorretto orsacchiotto; lo stupendo Drago della desolata Smaug è stato interpretato da Benedict Cumberbatch, stessa tecnica per Mark Ruffalo e il suo Hulk negli Avengers e non dimentichiamo l'incredibile Andy Serkis in Rise of the Planet of Apes (e Toby Kebbell in Dawn of the Planet of the Apes).
Pure Lupita Nyong'o nel "Risveglio" di Star Wars è stata "mocappata" nel personaggio di Maz Kanata. Con gli effetti speciali nel lontano 1994 Alex Proyas era riuscito a terminare Il Corvo, nonostante la morte di Brandon Lee sul set e nel 2000 si era resuscitato Oliver Reed per concludere Il Gladiatore, mentre più di recente (con tecnologie diverse) è toccato a Peter Cushing in Rogue One. Pure Fast & Furious 7 è stato terminato dopo la precoce dipartita di Paul Walker, con questo procedimento chiamato non a torto Ghosting, che ha suscitato tutta una serie di immaginabili problemi legali, come si discuteva riguardo Carrie Fischer e alla sua Leia, ringiovanita e poi resuscitata.
Come curiosità finale su questo argomento, consigliamo la visione di un film strano, imperfetto eppure ammaliante: The Congress, liberamente tratto dal romanzo 'Il congresso di Futurologia' di Stanislaw Lew, autore anche di Solaris. Una diva (Robin Wright), ormai 45enne e quindi prossima alla rottamazione, viene invitata dalla casa Miramount (ogni riferimento non è casuale) a vendere la propria immagine. L'attrice sarà scannerizzata in ogni sua mossa ed espressione e sarà impiegata per sempre nei suoi film futuri.
Su questo pretesto si sviluppa poi tutt'altra vicenda, in cui Robin si vede costretta a stringere una sorta di patto faustiano in un'epoca in cui l'immagine vale quanto l'anima. Vent'anni dopo la ritroviamo a partecipare a un congresso in cui si presenta un passo successivo. La Miramount si è fusa con la multinazionale della chimica Nagasaki, che ha distillato "l'essenza" dei personaggi in precedenza scannerizzati, per permettere agli individui di "diventare" ciò che sognano (ciascuno si può "fare" il proprio film da vivere come protagonista).
Se pensiamo a quanto cose sono cambiate nel cinema, dai tempi del bianco e nero o del muto, ci rendiamo conto che davvero non ci sono limiti, e non solo alla fantasia.