Daemon X Machina - Prova
Un po' di Mecha qua?
Solitamente, una ventina di minuti non è sufficiente per farsi un'idea precisa sulla natura del design e l'ambizione creativa alla base di un progetto. Daemon X Machina, tuttavia, è un titolo molto diretto, senza fronzoli, povero di sovrastrutture e volenteroso di farsi giocare, perché la sua efficacia si basa su una semplice domanda: vi piacciono i mecha, le piogge di missili, i raggi laser e i boati delle mini-gun? E l'azione in pillole tipica dell'atmosfera di Armored Core?
Se avete risposto positivamente, sappiate che avrete per le mani ciò che si pone come erede spirituale del celebre franchise targato From Software, e non perché ne condivide lo storico producer Kenichiro Tsukuda, ma a causa della consapevole scelta stilistica di rispolverare un genere, quello dei mech-shooter, lentamente scemato fino a sparire definitivamente dai radar dell'industria.
E manco a farlo apposta, è stata proprio Nintendo a piantare la sua bandierina in una nuova nicchia, proseguendo decisa nella strategia che la sta rapidamente portando a coprire un numero sempre maggiore di campi di battaglia. L'ambizione del Marvelous First Studio è proprio quella di prendersi l'intero sottobosco, puntando su un team di grandissima esperienza per ricamare un gameplay schietto, veloce e radicato nell'essenza dello scontro fra Mobile Weapon.
Tutto ha inizio nell'Hangar, luogo in cui non solo si fa la conoscenza delle macchine da guerra Arsenal, ma soprattutto del nostro alter ego virtuale, personaggio importante almeno quanto i mecha delicatamente posati sulle piattaforme di lancio. Basta guardarsi un attimo intorno, infatti, per notare un reparto della base dedicato a chirurgia cibernetica e ingegneria genetica, entrambe fondamentali per aumentare l'efficacia del nostro avatar.
Se vi state chiedendo a cosa serva potenziare un semplice pilota, beh, sappiate che capiterà più volte di abbandonare la sicurezza dell'abitacolo: se l'Arsenal dovesse essere distrutto, ad esempio, potremmo giocarci un'ultima chance di sopravvivenza affrontando a piedi gli eserciti avversari. Allo stesso modo, conclusa una missione, è possibile smontare dalla nostra fidata arma semovente per esplorare la zona circostante, scoprendo segreti e materiali indispensabili per l'incremento delle statistiche.
Di conseguenza, l'attenzione per l'estetica non si limita alla personalizzazione della livrea, dei colori e delle texture degli Arsenal, ma finisce per riflettere nell'aspetto dell'avatar tutti gli innesti cibernetici a cui lo abbiamo sottoposto. Certo, il tuning del mecha mantiene un ruolo di primaria importanza e si snoda lungo elenchi sterminati di pezzi e mimetiche da sbloccare per dotarsi di uno stile inconfondibile, magari ispirandosi al viola dell'EVA 01 o al bianco perlaceo del Gundam di Odaiba.
Ma passiamo al succo: cosa succede nello scatolone di Daemon X Machina? Considerando che non abbiamo ancora potuto posare lo sguardo sulla componente narrativa in single player, ciò che è emerso dalle brevi sezioni di giocato è un mech-shooter nudo e crudo, uno sparatutto in terza persona molto frenetico in cui lanciare una missione dopo l'altra per ottenere pezzi sempre più potenti ed equipaggiamenti all'avanguardia.
La struttura tecnica, infatti, ricorda piuttosto da vicino quella tipica del Diablo-like: dopo il decollo, si affrontano orde di nemici completando una serie di compiti che spaziano dalla difesa di una base militare fino allo scontro con veri e propri boss, il tutto al fine di ampliare il parco dei loadout e potenziare di volta in volta il nostro personale esercito di Arsenal.
Il sistema di combattimento è rapido e intuitivo: spiccando un balzo è possibile attivare i propulsori, spalancare una coppia di ali energetiche e scattare con violenza contro i carri armati nemici, magari affettandoli con una lama energetica. L'equipaggiamento dell'Arsenal consiste in un'arma per braccio, fra cannoni laser, fucili d'assalto, spade e scudi, ma sarà l'impianto sulle spalle ad avere un ruolo fondamentale, sfoderando batterie di missili a ricerca o device che generano deflettori impenetrabili.
Basta una semplice occhiata all'interfaccia per comprendere tutto ciò che sta accadendo sul campo: le risorse fondamentali sono la stamina, indispensabile per eseguire boost e manovre evasive, i VP, nient'altro che i punti integrità dell'Arsenal, ed infine il Femto, misteriosa forma di energia che alza il sipario sulle abilità speciali del frame. Il Femto sta alla base delle sopracitate ali energetiche, permette di creare barriere, di potenziare gli attacchi e addirittura di sfruttare skill uniche, come ad esempio il Mirage, dispositivo che raddoppia la potenza di fuoco clonando l'Arsenal per qualche secondo.
L'architettura del gameplay è fondata sull'accessibilità, radicata in pochissimi input e molto vicina allo stile Gundam piuttosto che al "realismo" tipico dell'opera di From Software. Il risultato è un'esperienza nella quale il minimalismo diventa tanto un punto di forza quanto una criticità: sembra evidente che la struttura ludica sia piuttosto semplice, riservando uno spazio per la complessità solamente fra i confini della creazione di build e loadout.
È anche vero che stiamo parlando di un progetto tipicamente orientale, e non è da escludere che le missioni più avanzate si rivelino veri e propri bullet-hell nei quali lottare costantemente per la sopravvivenza, scagliando oggetti dello scenario contro gli avversari e sfruttando ogni singola copertura per salvare la pelle. Tsukuda, fra le altre cose, ha confermato anche il focus verso un comparto multigiocatore competitivo che, accanto all'esperienza co-op, potrebbe regalare al pacchetto un sapore inaspettato.
Il minimalismo torna a fare capolino anche nell'apparato estetico: se il design degli Arsenal è a dir poco splendido e curato nei minimi dettagli, lo stesso non si può dire dei modelli poligonali di minor importanza, generalmente scarni e meno colorati di quanto ci aspettassimo; pare piuttosto evidente che si tratti di una decisione stilistica consapevole e volta a catalizzare l'attenzione sulla rapidità degli scontri, ma un pizzico di personalità in più non avrebbe di certo guastato.
Del resto, gran parte dei piccoli singhiozzi tecnici incontrati nella demo che fece capolino sullo store di Switch sembrano ormai parte del passato, ma è possibile che il conto da pagare sia stato presentato all'originalità della palette cromatica e alle animazioni in cel-shading, entrambe decisamente più timide rispetto alle ultime uscite pubbliche.
Insomma, dal pur breve confronto con Daemon X Machina è emerso vincitore il suo spicchio d'anima più arcade, quello vicino all'eredità di Armored Core e pronto a catturare in un vortice metallico coloro che volessero curare ogni aspetto ingegneristico del proprio mecha. Se, poi, il dream team di Marvelous dovesse riuscire a far brillare le potenzialità della stilistica, il risultato potrebbe trasformarsi in un piccolo gioiello del genere.