Dampyr, la recensione
Dalla carta allo schermo, arriva l’eroe dark targato Bonelli.
Quando si detengono i diritti di tanti personaggi celebri, quando si hanno in archivio migliaia di storie raccontate con successo, perché non crearsi un proprio Universo per sfruttare in prima persona tanto materiale?
“Lo hanno fatto Marvel e D. C. Comics, perché noi no?”, hanno giustamente pensato in casa Bonelli, il glorioso editore milanese che dagli anni ’40 ci ha regalato personaggi entrati nell’immaginario collettivo come Tex Willer, Zagor, Martin Mystère, Dylan Dog e Nathan Never. All’interno dello sviluppo di questo Universo, denominato UCB (bellissimo il logo animato), dedicato a progetti cinematografici e televisivi, arriva adesso un film, Dampyr, tratto dal fumetto mensile creato nel 2000 da Mauro Boselli e Maurizio Colombo.
Si tratta di un horror/thriller nel cui disegno originale il protagonista Harlan aveva i lineamenti ispirati a Ralph Fiennes (così come Dylan Dog era stato disegnato pensando alla faccia di Rupert Everett). La vampira Tesla, sua compagna d’avventura, aveva invece una vaga somiglianza con Annie Lennox. In questo primo film non compaiono altri personaggi importanti del fumetto mentre l’ambientazione, nella disperazione della guerra dei Balcani del 1992, sembrerebbe scelta per mostrare come anche gli umani siano capaci di efferatezze terribili, senza andare a scomodare i vampiri. Il fumetto d’altronde era ambientato in Serbia.
Nel prologo, apprendiamo che dall’unione contro natura fra un vampiro (il potentissimo Draka, uno dei letali Maestri della notte) e un’umana, era nato un figlioletto. Madre morta nel parto (a differenza di Bella in Twilight) e piccino preso in custodia da tre streghe, per sottrarlo al suo destino.
Harlan, questo il nome che gli viene dato, è però ancora più potente di un normale vampiro perché il suo sangue per loro è letale. Ma quando facciamo la conoscenza del giovane uomo, lui è solo un poveraccio troppo attaccato alla bottiglia che campa imbrogliando ignoranti contadini, sfruttando le superstizioni del luogo con l’aiuto del suo giovane “manager” Yuri.
Un commando di militari, di imprecisata appartenenza, agli ordini del durissimo Emil, finisce però in una cittadina dove, non bastassero gli esseri umani della fazione nemica, gli abitanti sono stati massacrati da una banda di vampiri, fra cui si fa notare la bionda Tesla, longa manu, anche se renitente, del gran capo Gorka.
Quando i destini di questo gruppetto di personaggi si incroceranno, Harlan sarà costretto a prendere atto della sua vera natura, Tesla avrà il coraggio di scegliere con chi schierarsi ed Emil dovrà rivedere molti dei suoi pregiudizi. Dopo una lotta all’ultimo sangue (per forza), una nuova alba si alzerà sui nostri eroi, pronti per l’episodio successivo.
Dampyr è un film che onorevolmente, con un budget di 15 milioni (“bazzecole, quisquilie, pinzillacchere”, avrebbe detto Totò) riesce a darsi un look più che dignitoso per quanto riguarda ambientazione (siamo in Romania, e dove sennò?), fotografia, trucco (di Giorgio Gregorini, Oscar per Suicide Squad) ed effetti speciali (non tutti ma mediamente validi). Ma diversi nomi della crew arrivano da esperienze internazionali di rilievo.
La parte debole è nel cast, con attori non eccelsi, enfaticamente doppiati in italiano. Dei protagonisti il migliore è Stuart Martin, una via di mezzo (alla lontana) fra Hugh Jackman e Carl Urban, con il suo personaggio rozzo ma non ottuso. Delude assai David Morrissey che è l’antagonista principale, il bieco Gorka, con una faccia un po’ troppo paffuta e bisognoso di uno shampoo. Più carismatico nelle sue poche scene è il padre di Harlan, interpretato da Luke Roberts, visto in Black Sails.
Purtroppo sono i due protagonisti, Wade Briggs e Frida Gustavsson, a non essere mai convincenti. Anche la messa in scena complessiva è un po’ datata, come fossimo ancora negli anni ’80 o al massimo ai tempi di Dellmorte Dellamore. I caratteri sono anche poco approfonditi, diversi retroscena non sono spiegati e tutto resta in superficie, evidenziando gli aspetti più muscolari della sceneggiatura ma privando della necessaria emozione certi passaggi drammatici.
Indubbiamente sarà necessaria qualche scelta che renda i prodotti discendenti dai fumetti Bonelli più riconoscibili, più personalizzati, anche se una strada nazionalpopolare a certi generi ormai ben codificati è difficile e rischiosa. Al netto dalle critiche, Dampyr rimane comunque un’iniziativa coraggiosa e interessante, che ci sembra giusto segnalare.