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Daylight - review

Paura, eh?

C'è un misto di curiosità ed eccitazione in vista del primo avvio di Daylight, sai quello che ti aspetta e ti prepari a dovere: luci spente, cuffie, nessuno in casa, tutto sembra perfetto per godere appieno dell'horror di Zombie Studios.

L'esperto, in realtà, di titoli del genere ne ha già visti tanti, e affronta gradasso l'incipit: l'ospedale abbandonato è un cliché che fa quasi sorridere, che sarà mai. Pure i giochi di luce sono tutto sommato scontati, abbiamo solo il nostro telefono cellulare a illuminare la strada come da copione.

Poi il respiro ansimante di Sarah, la protagonista, i rumori in lontananza, la metallica voce guida ed al primo quadro che cade dal muro parte il coccolone. Daylight fa paura.

Dicevamo che la storia sa di già sentito, visto che certo non sono novità né l'ambientazione (ospedale, prigione, cunicoli sotterranei...) né l'immaginario a cui si rifà la produzione Atlus per far scattare i brividi. I racconti di pazienti autolesionisti e le loro tendenze al suicidio, bambini abbandonati, personale violento, tutti elementi che certo non stupiscono, ma che fanno comunque il loro lavoro nel creare un'atmosfera di vera tensione.

La maggior parte del tempo si cammina guardinghi in corridoi scuri, accompagnati da suoni misteriosi.

La voce guida che sembra provenire da un altoparlante, anch'essa canonica, è quel giusto miscuglio di indicazioni e frasi sibilline, la storia ci viene svelata piano piano dai monologhi del nostro interlocutore invisibile, ma soprattutto dai tanti foglietti che si possono recuperare per il mondo di gioco.

"Le reminiscenze sbloccano il percorso ma attirano su di noi le attenzioni delle ombre"

Quelli illuminati d'azzurro servono principalmente a tratteggiare gli eventi passati che hanno portato alla condizione in cui ci troviamo, si tratta di comunicazioni interne, ritagli di giornale, lettere, trascrizioni, tutti frammenti di un racconto che piano piano si uniscono come pezzi d'un puzzle.

Illuminate di luce rossa, invece, sono le reminiscenze, oggetti dalla duplice funzione. Da un lato dobbiamo raccoglierne un determinato numero per sbloccare il sigillo in ogni livello (un oggetto legato in qualche maniera agli eventi passati, come un orsetto di pezza o delle forbici) da portare poi alla porta che ci permetterà di proseguire, ma dall'altro queste reminiscenze avranno anche la conseguenza di attirare su di noi le attenzioni delle ombre.

L'esperienza di gioco consiste nell'alternarsi regolare di livelli di due tipi, arene piccole e chiuse nelle quali è necessario trovare il modo di uscire tramite semplici puzzle ambientali, e labirinti di corridoi e stanze generati proceduralmente, nei quali cercare le reminiscenze, poi il sigillo, poi l'uscita.

Il rosso delle reminiscenze risalta tra i colori dell'ambientazione, bisogna prenderne sei per attivare l'uscita.

Minimo comun denominatore è la tensione che si respira palpabile durante l'esplorazione, generata da un sapiente utilizzo di effetti audio e video a far sospettare l'apparizione di qualcosa di pericoloso da un momento all'altro. La cosa veramente angosciante, in realtà, e che questo qualcosa alla fine poi non arriva, e ci si ritrova costantemente sospesi sull'orlo dello spavento, per poi abbassare un attimo la guardia e venire colpiti quando meno ce lo si aspetta.

"Gli scontri sono distribuiti parsimoniosamente nel corso del gioco"

I nemici sono spiriti, spettri, forse infermiere che si palesano annunciate dall'immancabile sfrigolio elettrico e attratte dalle nostre ricerche. A volte sono in lontananza, e scompaiono al nostro avvicinarci per poi riapparire vicinissime appena giriamo lo sguardo, altre ci vengonoin contro con movenze innaturali e minacciose, non particolarmente rapide, ma veloci quel tanto che serve a farci premere rapidamente il pulsante dedicato ai bengala capaci di bruciarle.

Non ci si aspetti una continua caccia ai fantasmi, però, visto che Daylight è piuttosto parsimonioso nel suo distribuire sapientemente gli incontri, all'inizio del gioco praticamente inesistenti e poi via via più frequenti. È la tensione a generare una continua paura, pronta ad esplodere nei piccoli spaventi dati da qualche oggetto in movimento o da una visione improvvisa.

Da quanto detto fin qui sembrerebbe che il titolo Zombie Studios sia perfetto, la quintessenza dell'horror, soprattutto in virtù del ragionevole prezzo di 14,99 €. Però, a voler puntare il nostro occhio critico verso la produzione Atlus, non si può tacere di qualche difetto che rende l'esperienza non completamente convincente.

Partiamo dalla generazione procedurale dei livelli, di fatto interessante nel suo mescolare stanze e corridoi ad ogni partita, ma resa meno frizzante da un gameplay sempre uguale a se stesso: trovi le reminiscenze, trovi il sigillo, esci, e così in continuazione. Occhio, la paura rimane e i diversi livelli di difficoltà invogliano a giocare più volte, ma una volta capito il meccanismo la storia si ripete.

"La proceduralità non vince a mani basse, visto che corridoi e saloni si ripetono tutti uguali"

Anche sul fronte estetico non è che la proceduralità vinca a mani basse, visto che corridoi e saloni si ripetono tutti uguali, con una decina di elementi casuali a particolareggiarli, ma si vedono e rivedono in continuazione le stesse casse e le stesse sedie a rotelle.

Non male invece la realizzazione tecnica, si deve pazientare un po' durante l'avvio (proprio per la creazione di un mondo casuale ogni volta), ma poi l'esperienza di gioco scorre fluida e senza intoppi.

Regina del tutto, ovviamente, è l'illuminazione, curata quel tanto che basta per favorire l'immersione nell'atmosfera, e magari soprassedere sulle scarsissime possibilità interattive offerte dagli oggetti che si trovano in giro.

L'ambiente contribuisce all'ansia, con sedie a rotelle, stracci, orsacchiotti di pezza e quadri inquietanti.

Daylight fa esattamente quello che promette: paura. Genera ansia grazie ad un'atmosfera sempre sull'orlo del baratro, pronta a scivolare verso il salto sulla sedia ad ogni rumore improvviso, in un crescendo di tensione causato dalla consapevolezza di non essere soli. Il bello è che i "nemici" non si vedono neanche tanto spesso, ma basta sapere che ci sono per tenerci col fiato sospeso.

I tanto decantati ambienti procedurali appaiono fondamentali per la rigiocabilità ma non la garantiscono visto il ripetersi di molti elementi, così come i vari livelli di difficoltà. Esteticamente, poi, poteva essere fatto qualcosa di più per particolareggiare i livelli.

Se siete in cerca di un titolo che vi spaventi, da giocare al buio e con il telefono staccato, tenete presente Daylight: anche se non è una rivoluzione del genere, potrebbe essere quello che fa per voi.

7 / 10
Avatar di Alessandro Arndt Mucchi
Alessandro Arndt Mucchi: Giocatore cronico, lettighiere notturno, cuoco discreto, giurisprudente perplesso, musicista part-time, giornalista dal 2006. Da sempre esperto di versetti.

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Daylight

PS4, PC

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