Dead or Alive 6 - recensione
Sarà morto o sarà vivo?
Nel sottobosco dell'universo picchiaduro esiste una saga che, nel bene e nel male, torna spesso e volentieri a fare capolino nei trend della community, ma è piuttosto raro che si ritrovi al centro dell'attenzione per i motivi sperati. Quando si parla di Dead or Alive, infatti, spesso ci si trova a discutere di polemiche relative al fan service estremo o alla fisica dei seni delle protagoniste, relegando le meccaniche di gioco e il meta-game a semplici elementi di contorno. D'altra parte, si tratta di una situazione inevitabile: anche gli spin off più apprezzati, come Dead or Alive Xtreme Volleyball, non hanno fatto il benché minimo sforzo per nascondere la natura del proprio selling point, facendo storcere il naso tanto ai puristi quanto ai puritani.
Dead or Alive 6, per mettere a tacere i detrattori una volta per tutte, si pone l'ambizioso obiettivo di riportare al centro del palcoscenico quel gameplay che non era mai stato in grado di ritagliarsi un vero ruolo da protagonista. L'avvento degli eSports, del resto, ha modificato completamente la percezione dell'universo picchiaduro, portando gli sviluppatori a spingere i limiti delle proprie opere e a ricamare il gameplay attorno alle esigenze tanto dei professionisti quanto degli spettatori, spettacolarizzando i giochi mentali e mettendo a fuoco la complessità intrinseca del genere.
Ed è così che il titolo del Team Ninja si è reso conto di avere nel caricatore gli stessi colpi di tutti gli altri, alzando il sipario su quel sistema "sasso, carta, forbice" che da anni delinea il gameplay della saga, raddoppiando su tutte le meccaniche e, per la prima volta in 23 anni, vestendo Kasumi con una tuta che non mostra nemmeno un centimetro di pelle. Per chi non lo sapesse, Dead or Alive è interamente costruito su un sistema triangolare: la contromossa batte l'attacco, l'attacco rompe la presa e la presa, a sua volta, sconfigge facilmente la contromossa.
La fase neutrale del combattimento si trasforma quindi in un importante momento di studio reciproco, e il giocatore che riesce a leggere meglio l'avversario avrà vita facile per il resto della battaglia. A partire da questo trittico di meccaniche si sviluppa un sistema di combo che strizza l'occhio ai "juggle": è possibile sfruttare attacchi stordenti e lanci per prolungare le sequenze e infliggere una considerevole mole di danni. Siamo ben lontani dalle combo cosiddette 'zero to death", quelle che portano un nemico alla sconfitta senza possibilità di replica, ma la nuova meccanica delle zone di pericolo ambientali aumenta a dismisura il numero di colpi portati a segno rispetto alla tradizione più recente.
Nonostante le critiche di cui abbiamo parlato in apertura, Dead or Alive 6 non ha rinunciato assolutamente alla sua identità e, ad esempio, è ancora possibile gestire manualmente la telecamera per sfruttarla come meglio si crede nelle sequenze di vittoria (chi vuole intendere, intenda). Allo stesso tempo, il flow delle battaglie è rimasto pressoché invariato, e abbiamo apprezzato il minimalismo estetico che caratterizza gli scambi di colpi, così come le animazioni che alterano l'aspetto dei protagonisti, sgualcendone i vestiti e scombinandone le pettinature. A testimonianza del tentativo di raggiungere un'audience più vasta, troviamo un nuovo sistema di Special che, grazie anche all'introduzione della Indicatore di Devastazione, mira a stratificare ulteriormente il gameplay attraverso una serie di attacchi e meccaniche inedite.
Anzitutto troviamo i Colpi Devastanti, mosse che richiamano da vicino le classiche Special del genere, consumando due tacche per scatenare un attacco per l'appunto 'devastante' e vicino alla tradizione inaugurata da Street Fighter. A questi si affiancano gli Assalti Fatali, il primo innesto capace di farci storcere il naso: si tratta di un comando di 'impeto' imparabile utile per prolungare le combo oltre il limite consentito o lasciare l'avversario completamente indifeso per qualche secondo, una novità che ci è parsa troppo semplice ed incisiva per impattare positivamente il gameplay. L'unico modo per contrastare un Assalto Fatale è fare affidamento sulla seconda Special, ovvero la Presa Devastante, un contrattacco onnidirezionale che rende il personaggio completamente immune ad ogni forma di stordimento.
In teoria, Team Ninja ha tentato di costruire un nuovo sistema triangolare che si sommasse a quello preesistente, realizzando un inedito strato di gameplay pensato per aumentare la tensione alla base del singolo set. Un obiettivo, questo, raggiunto con qualche riserva: il bilanciamento dell'apparato delle Special è piuttosto ruvido, e non è ancora chiaro se, ai livelli più alti, il sistema sarà condannato o accolto a braccia aperte, dal momento che sembrerebbe appiattire ulteriormente la già accessibile curva di apprendimento.
I nuovi personaggi sono Diego, un combattente di strada americano che fa della forza bruta la sua principale qualità, e NiCO, una scienziata tecnomante che può contare su un moveset e una backstory di tutto rispetto. Entrambi si sono inseriti a meraviglia nel rodato sistema di Dead or Alive, pur facendo sentire una pesante differenza con il design dei guerrieri tradizionali: i loro stili di combattimento, infatti, sono decisamente più moderni e rifiniti rispetto a quelli dei grandi classici, specialmente il Pencak Silat della ragazza finlandese. Purtroppo, per dare spazio alle nuove creature del Team Ninja sono stati tagliati alcuni elementi del roster arrivando a un totale di 26 combattenti, e non bisogna dimenticare che il season pass è già disponibile alla 'modica' cifra di 89 euro.
Nel titolo sono presenti tonnellate di costumi succinti sottesi a laceranti fasi di grind, e lo stesso pass stagionale è costituito da oltre 60 outfit diverse che andranno ad affiancare i guest della sesta edizione. La natura sessualizzata dell'opera, tanto per noi quanto per gli appassionati, non rappresenta assolutamente un problema: Dead or Alive è Dead or Alive e così deve essere, aldilà di quelle critiche politiche che hanno poco da spartire con l'analisi del videogioco. Tuttavia, la formula dei contenuti post lancio impallidisce di fronte all'offerta di colossi come Dragonball FighterZ e Super Smash Bros. Ultimate, specialmente se ci fermiamo a riflettere sui tempi di sviluppo.
A conti fatti, la vera vincitrice che emerge dallo scatolone è la modalità Storia: se siete interessati alla narrativa ricamata attorno a Dead or Alive, che ci sentiamo di definire quantomeno trash, sappiate che quella single player è la componente più folle e coinvolgente dell'intero pacchetto, oltre ad aver portato la caratterizzazione dei personaggi su un livello che mette in imbarazzo tutti e cinque gli episodi precedenti. Le Missioni DOA, invece, sono 104 sfide-tutorial troppo semplici e immediate per aumentare efficacemente la qualità delle ore di gioco, scegliendo di puntare tutto sulla quantità e sul sistema dei vestiti collezionabili.
Di tutt'altra fattura, invece, è il comparto multigiocatore. L'offerta è oltremodo limitata, mettendo sul piatto unicamente le partite classificate e addirittura tralasciando le lobby private in cui sfidare liberamente gli amici. Oltre a potersi misurare solo con avversari casuali sparsi per il mondo, il netcode è a dir poco ballerino, mentre l'indicatore della stabilità della connessione rispecchia raramente l'effettiva qualità della linea dell'avversario. Nei picchiaduro, l'apparato multiplayer assume un ruolo importantissimo, caricandosi sulle spalle gran parte della responsabilità per la durata effettiva dell'esperienza: nel caso in esame, siamo al di sotto dei pur modesti requisiti minimi del genere.
Il che è un vero peccato, perché le innovazioni testate sul piano del gameplay presentavano Dead or Alive 6 come una vera e propria crisalide pronta a trasformarsi in farfalla e spiccare il volo, ma parecchi scivoloni hanno finito per interrompere la metamorfosi sul nascere. Uno di questi è quel comparto tecnico che, seppur esente da problematiche sostanziali eccetto qualche sporadico e inspiegabile calo di framerate, fa sentire più che mai l'assenza di qualsivoglia miglioramento tangibile. Tornando con la mente al passato, I primi capitoli erano veri e propri showcase di maestria tecnica e artistica, proprio le due componenti che mostrano maggiormente il fianco alle critiche nel sesto episodio.
Nonostante le incertezze, la direzione intrapresa da 'DoA' 6 è senza dubbio quella giusta, e per arrivare ad un risultato convincente bisognava prima di tutto colmare il gap con la concorrenza: quello che è mancato, infatti, è la fase di rifinitura. In fin dei conti, se analizziamo Dead or Alive 6 come un picchiaduro leggero, accessibile e senza pretese, che abbia scelto consapevolmente di rimanere mezzo gradino più indietro rispetto all'offerta generazionale celebrando le sue 'Waifu', possiamo anche considerarlo un prodotto di successo, ma fatichiamo a credere che fosse questo l'intento di Koei Tecmo e del Team Ninja.
Del resto, stiamo vivendo un rinascimento a tutti gli effetti sul fronte dei fightning game: l'EVO Tournament di quest'anno ospiterà tutti i colossi del genere, da Smash Bros. Ultimate a Dragonball FigherZ, passando per Mortal Kombat XI e Soul Calibur 6, senza dimenticare gli anime fighter più impegnativi, ora rinati sotto la stella di Under Night In-Birth Exe Late[st]. Su quel gigantesco palcoscenico internazionale, tuttavia, non ci sarà spazio per Dead or Alive 6.
Dead or Alive non ha avuto paura di riscrivere parte della sua storia e dimenticare un pizzico della natura 'conservatrice' ma, al tempo stesso, si è presentato all'appello in ritardo, e a questo punto è costretto a pagare lo scotto della sua latitanza. Questo sesto episodio ha le carte in regola per segnare un nuovo inizio, per conquistare il rispetto della community picchiaduro e per soddisfare i fan di vecchia data, ma non può ancora contare su un livello di maturità sufficiente per competere ad armi pari con i diretti concorrenti, tanto dal punto di vista tecnico quanto da quello contenutistico. Insomma: nel bene e nel male, si tratta del solito Dead or Alive che abbiamo imparato a conoscere nel corso degli ultimi 23 anni.