Dead or Alive: Paradise
Il paradiso dei paparazzi virtuali?
Per ottenere il meglio che Dead or Alive: Paradise ha da offrire, tutto quello che dovete fare è guardare il filmato iniziale, dove vedrete tette che saltellano in quantità e un paio di ragazze che al massimo potrebbero andare a lezione alle superiori con il lecca lecca (entrambe nella stessa inquadratura, naturalmente). Dalla scena sotto la doccia al fotogramma finale dominato da una donna seduta su una canoa rosa, è tutto un susseguirsi di immagini che ci ricordano quanta strada abbiano percorso le donne nella loro ricerca di eguaglianza sociale.
Naturalmente, non c’è da lamentarsi se in un gioco basato sul franchise Dead or Alive si possono trovare seni e fondoschiena in abbondanza: sarebbe un po’ come lamentarsi della presenza di coperture in Gears of War. Ma quando si parla di Paradise, c’è molto altro di cui lamentarsi. Piccolezze naturalmente, quali visuali ridicole, gameplay inconsistente, controlli imprecisi, estrema limitatezza delle opzioni di personalizzazione, assenza di funzionalità online, IA scadente, presentazione pigra e una trama patetica a fare da sfondo al tutto, giusto per nominarne alcuni.
La premessa è tanto semplice quanto stupida. Nei panni di una delle ragazze di DOA (nel roster di 12 personaggi ci sono volti noti quali Kasumi, Ayane e Tina), dovete trascorrere una vacanza di due settimane sull’isola Zack. Lì potete visitare luoghi quali Tranquil Beach, Niki Beach e Bass Island, tutte location distinguibili esclusivamente dall’ordine in cui sono disposte le palme. E poi ci sono Pool e Pool Side, anch’essi notevolmente simili. Potete anche comprare oggetti inutili in tre differenti negozi o in alternativa visitare la celebre Radio Station. Che cos’è? Naturalmente un menù per la selezione dei brani mascherato da…beh, Radio Station!
Non c’è molto da fare in questi scenari. Il minigioco di beach volley è inconsistente: i controlli sono elementari e imprecisi, e le animazioni sono semplicemente ridicole. Ci si sente alla guida di robot che hanno scaricato le batterie. L’unico elemento capace di risollevare le sorti di questo minigioco sono i seni delle ragazze che si muovono indipendentemente dal resto del loro corpo.
In alternativa potete dedicarvi al Pool Hopping. Questa elaborata disciplina consiste nell’effettuare una serie di salti su alcune piattaforme galleggianti caratterizzate da dei simboli. Si guadagnano dei soldi premendo il tasto corrispondente al simbolo indicato sullo schermo, ma il vostro personaggio salterà indipendentemente dalla sequenza di tasti che premerete. La vera sfida è relativa alla difficoltà insita nel far capire al gioco se avete premuto rapidamente il tasto per un breve salto o se lo avete tenuto premuto a lungo per compiere un balzo più poderoso. È tutto estremamente arbitrario.
Quando vi sarete stancati, cosa che dovrebbe accadere ogni 5 minuti circa, potete andare a visitare i negozi. Qui potrete spendere i soldi guadagnati duramente su oggetti privi di qualsivoglia valore, da orrendi costumi da bagno a palloni da spiaggia leopardati giungendo fino ad arpe o enciclopedie. Difficile trovare un senso a tutto ciò.
A questo punto dobbiamo sottolineare che gli acquisti vengono fatti attraverso una serie di menù scomodi e ingombranti, che vi permettono anche di spostarvi dalla piscina alla spiaggia e così via. Non potete semplicemente muovervi come se vi trovaste in una sorta di mondo virtuale… per caso siamo ancora nel 1997?
Alla fine della giornata, fine che non arriva mai abbastanza in fretta, siete rispediti all’hotel dove venite messi davanti a un’altra serie di menù pieni di opzioni noiose. Tipo, cambiare i vestiti al personaggio scegliendo tra un ampio ventaglio di biancheria intima. A volte vi troverete fra le mani un regalo da parte di un tizio che si fa chiamare Zack; inutile dire che anche in questo caso gli oggetti saranno inutili e quanto meno bizzarri.