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Death's Gambit - recensione

“Perché odiarmi? La morte è una delle poche cose eque della vita”.

Il fratellino 2D di Dark Souls. Basterebbe davvero una frase di questo tipo per definire il progetto portato avanti dal team indie di White Rabbit da ormai 5 anni (se si considera la nascita del primissimo prototipo)? In parte effettivamente sì ma allo stesso tempo sarebbe sicuramente semplicistico e riduttivo perché Death's Gambit è un gioco che vive di contrasti, che in certe situazioni sembra puntare verso direzioni contrarie e opposte a un'etichetta così adatta ma anche così' scomoda, un'opera che non sempre riesce a unire efficacemente tutte le proprie anime.

Un'opera che sembra un concentrato di contraddizioni e che, nonostante uno sviluppo già piuttosto lungo, probabilmente avrebbe avuto bisogno di altro tempo per trovare davvero la propria direzione. Il pubblico tuttavia scalpitava da ormai anni e forse anche per soddisfare i fan Adult Swim Games e lo studio di sviluppo hanno deciso di lanciare il titolo su Steam e PS4 incontrando anche alcune magagne a livello di bug e glitch. Ma come detto il problema più evidente di Death's Gambit è la volontà di essere una copia in miniatura dei lavori di From Software senza accettare a pieno questa etichetta.

Quello dei souls-like è un sottogenere degli action RPG sempre più in voga ma le avventure che abbiamo vissuto nelle circa 15 ore di gioco hanno raggiunto i picchi di qualità più elevati proprio in quei momenti di maggiore personalità, di voglia di andare oltre la classica trama criptica e il fin troppo abusato mondo cupo e disastrato. La sensazione di trovarsi di fronte a un gioco a dir poco ispirato a Dark Souls e affini, non ci ha in ogni caso mai abbandonato del tutto e questa sensazione rimane uno dei punti cardine del lavoro svolto da White Rabbit.

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Una montagna nauseabonda di cadaveri martoriati, le macerie di una battaglia che ha l'aria di un massacro e una strana creatura a metà tra un cavaliere e un rettile che trascina un'ultima carcassa dilaniata da un'arma impossibile da fermare. La Morte aleggia sul campo di battaglia per reclamare ciò che le spetta ma a un tratto un'anima si ridesta. Non è vita quella che scorre nelle sue vene, è immortalità. Sorun ha ancora dei capitoli da scrivere nel grande libro che è la storia di Siradon, una seconda occasione da cogliere nonostante tutto, anche se questo significa stringere un patto con la Morte stessa e trasformarsi in un suo tirapiedi.

In questa sorta di mondo alieno di stampo medievale, ci siamo fatti strada tra creature mostruose, pericolosi miniboss e letali guardiani immortali, per portare a termine una missione per conto della morte stessa. Nel farlo abbiamo incrociato elementi quasi scontati come un lore criptico e degli NPC spesso volutamente enigmatici ma anche qualche sorpresa a livello narrativo, a partire dal personaggio di Morte e da una serie di visioni che si intrecciano al passato di Sorun e in particolare a Thalamus, boss estremamente ispirato che probabilmente rappresenta il momento qualitativamente più elevato dell'intero gioco.

Morte non è un nemico né un'entità da combattere o temere ma semplicemente una necessità, qualcosa di equo, fondamentale per il normale corso della vita e un comprimario che spesso si lascia andare a battute e a un umorismo ovviamente dark che aiuta a spezzare le fasi più serrate. La sua presenza dà anche spessore a un doppiaggio in lingua inglese di buona qualità che si estende anche ad altri NPC e ai boss, appoggiandosi su sottotitoli italiani che svolgono efficacemente il proprio lavoro.

Sorun non sarà il personaggio più carismatico della storia ma il solo possedere una personalità lo rende più profondo del protagonista medio dei souls-like.

Per quanto riguarda Thalamus e le visioni del protagonista non riveliamo volutamente troppi dettagli perché vale davvero la pena scoprire in prima persona questi elementi e il modo in cui vengono intelligentemente implementati e legati alle inevitabili morti che ci trasporteranno all'ultima statua a cui abbiamo riposato, nient'altro che una versione alternativa dei conosciutissimi falò.

Morti che, in un'opera chiaramente affine ai Souls, non possono che essere centrali all'esperienza di gioco. Death's Gambit infatti sa dimostrarsi una sfida molto impegnativa soprattutto a causa di alcuni boss e miniboss a dir poco spietati. Il bilanciamento in certi casi non sembra perfettamente riuscito a causa di pattern e danni all'apparenza proibitivi da affrontare ma di fronte ai nemici più coriacei ci viene in soccorso la particolare struttura del mondo di gioco ideato dagli sviluppatori.

Un mondo interconnesso ricco di scorciatoie e passaggi segreti che però non raggiunge i livelli di complessità o vastità dei metroidvania o di alcuni indie tanto in voga di questi tempi. La presenza di molte zone con nemici e ostacoli diversi permette di spezzare almeno in parte il rischio frustrazione dedicandosi ad altre sfide salendo progressivamente di livello e migliorando le statistiche spendendo i frammenti ottenuti dagli scontri.

Morte ha sempre la battuta pronta ma dispensa anche preziose perle di saggezza.

L'esperienza e la crescita di Sorun sono infatti degli elementi cardine dell'anima ruolistica di Death's Gambit e tutto parte dalla scelta della classe nelle primissime fasi di gioco. Le classi si differenziano per la distribuzione iniziale dei valori delle statistiche, per le armi, per l'equipaggiamento di partenza e per una sorta di abilità innata che permette di recuperare la salute al di là dell'utilizzo delle piume (le pozioni del caso). Un esempio di build iniziale? Un cavaliere del sangue che sfrutta un'ascia, uno scudo e un arco come arma secondaria e che è in grado di recuperare parte del danno appena subito infliggendo danno a sua volta.

Va sicuramente sottolineato come la varietà dell'equipaggiamento (armi/armatura) sia a conti fatti un punto debole di un action RPG che da questo punto di vista non riesce a tenere il passo di altri titoli del genere. Sperimentare è comunque fortemente consigliato dato che le armi danno vita ad attacchi diversi in salto o nel caso di combo da tre attacchi e che ci sono differenze anche per quanto riguarda il danno e la cadenza dei colpi sferrati.

Trovare il proprio ritmo tra attacchi, schivate e parate diventa fin da subito fondamentale di fronte a una barra della stamina pronta a lasciarci scoperti alle letali offensive nemiche. Un elemento classico quello della stamina che insieme alla salute costituisce due delle tre barre da tenere costantemente d'occhio. La terza, l'energia dell'anima, permette di effettuare attacchi speciali in larga parte legati all'arma utilizzata e apprendibili da alcuni NPC di cui faremo conoscenza nel corso del gioco.

Thalamus è uno dei boss più ispirati che abbiamo mai visto.

Ultimo elemento puramente da RPG è quello dei talenti, una sorta di skill tree che può essere esplorato grazie ai punti talento derivanti in larga parte dall'uccisione dei boss e in grado di sbloccare ulteriori abilità attive o passive piuttosto utili per plasmare uno stile di combattimento il più possibile adatto al proprio gusto e alle proprie abilità.

Una pixel art estremamente curata, musiche di qualità, scorci splendidi che fanno da sfondo a battaglie contro boss epici e una narrazione che mescola in maniera interessante la cripticità dei souls con una storia che tocca temi spesso più personali e narrati in maniera maggiormente esplicita. Sembra di trovarsi al cospetto di una produzione con tutti gli ingredienti giusti per rivelarsi un capolavoro su tutta la linea ma come detto sin in apertura questo è un gioco almeno in parte di contraddizioni

Quasi come dilaniato da una lotta interna tra l'originalità e la voglia di emulare un'opera tanto ammirata, Death's Gambit inciampa, si rialza, sprofonda e poi spicca il volo non riuscendo mai pienamente a esprimere con costanza il meglio di sé. Si tratta un action RPG con elementi platform che aveva il potenziale per unirsi al pantheon dei migliori indie sulla piazza ma che, a causa di una qualità generale a tratti altalenante, si ferma un gradino più in basso.

La pixel art non è sempre eccelsa ma in certi casi tratteggia scene da incorniciare.

Dalla pixel art al level design, dai nemici base ai boss, il team di White Rabbit non è riuscito a non inciampare in alcune cadute di stile e in sezioni dimenticabili o completamente accessorie come, per esempio, quelle a cavallo, una feature purtroppo poco sfruttata che si rivela semplicemente una sorta di viaggio rapido.

Stupisce che un gioco con alti così abbaglianti fatichi in certi casi a non scadere in bassi decisamente dimenticabili ma fortunatamente il risultato finale è comunque più che positivo. Le avventure di Sorun come agente della Morte meritano l'attenzione di tutti coloro che amano i souls-like o che più semplicemente siano disposti a imbarcarsi in un'avventura a tratti spietata e leggermente frustrante ma capace di regalare alcune idee e momenti a dir poco stupefacenti e in grado di lasciare il segno riuscendo ad unire sorprendentemente influenze medievali, sci-fi e lovecraftiane.

8 / 10