Demon's Souls - recensione
Il ritorno alle origini della rivoluzione Souls.
Tanto tempo fa, su una console lontana lontana, esisteva una serie di videogiochi ormai dimenticata che si chiamava King's Field. Un mondo fantasy dalle tinte oscure, una serie di personaggi magnetici, un mosaico di complesse mappe labirintiche. La casa madre di King's Field si chiamava FromSoftware, ed era un piccolo studio di sviluppo che si faceva largo sgomitando nel complesso mercato giapponese, sfornando un RPG dietro l'altro e faticando ad accarezzare l'idea di una vera e propria consacrazione.
Poi arrivarono gli anni dell'azione, fra i mecha di Armored Core e le lame di Otogi, ispirazioni capaci di traghettare timidamente i creativi sotto le luci dei riflettori, nel cuore di un'industria che, passo dopo passo, stava lasciando indietro sprazzi dell'anima del videogioco tradizionale. A metà degli anni 2000, con l'appoggio di Sony Computer Entertainment, nei corridoi degli studi di Tokyo iniziò a serpeggiare l'idea di un sostanziale ritorno alle radici volto a rimettere in scena una "razza" di titoli finita ormai sull'orlo dell'estinzione.
C'era però una sostanziale differenza rispetto al passato. Il direttore del progetto sarebbe stato Hidetaka Miyazaki, un personaggio che stava maturando idee molto particolari riguardo l'universo dei videogiochi, un designer che non vedeva l'ora di ruotare il timone verso rotte dimenticate e ritenute pericolose. Miyazaki, in quegli anni, era deciso a realizzare Demon's Souls.
Demon's Souls era l'incarnazione del concept che nessun produttore vorrebbe mai trovare sulla sua scrivania. C'era un mondo di gioco oscuro e violento, c'era una formula narrativa criptica e inaccessibile, ma soprattutto c'erano una serie di meccaniche punitive, inafferrabili, ereditiere di un'antichissima filosofia di design. Una filosofia che metteva al centro dello schermo sentimenti legati alla profondità, alla sfida e alla conquista, ormai appannaggio di una comunità ristrettissima.
Nel 2009 ero un giovane studente appassionato di videogiochi da una vita, e sentivo che in quel mondo c'era qualcosa che stava cambiando. Non c'erano più i videogiochi inafferrabili di un tempo. Non c'erano più le iniezioni di dopamina della vecchia scuola, non c'era più un reale senso della scoperta, mentre quello della sfida era ormai relegato alle partite competitive online. Demon's Souls è arrivato come un grido nel silenzio, e poi è successa una cosa inaspettata, bellissima: è venuto fuori che c'erano tantissimi altri come me. Come te, che stai leggendo queste parole, e come Hidetaka Miyazaki, che per primo ha fatto il salto nel buio.
Oggi menzioniamo tutte le settimane la parola soulslike. Un termine che non ha nessun senso, perché la utilizziamo per definire un genere, ma non esiste genere al mondo che trovi la sua definizione in un'altra opera. Non esistono i film "C'era una volta in America-like", non esiste la musica "The Dark Side of the Moon-like". Questo fa riflettere: i Souls sono creature uniche al punto che la loro stessa esistenza basta di per sé a costituire un genere intero. Anche perché, per citare Walter White in Breaking Bad, una mediocre sottomarca di generica cola non potrà mai battere la Coca Cola vera.
Perdonateci per la lunga introduzione, ma questa è la dimensione occupata da Demon's Souls: è il padre di tutti i soulslike, è la collisione tra particelle che ha inaugurato il Big Bang di FromSoftware. Il remake di Demon's Souls di Bluepoint Games, invece, non è come l'opera di restauro di un antico dipinto. Non vuole semplicemente rimasterizzare i filmati delle vecchie partite di NBA dei Chicago Bulls: vuole farci scoprire come sarebbe la leggendaria squadra guidata da Michael Jordan se giocasse nel campionato di oggi.
Partiamo subito col dire che, in questo senso, il team di Bluepoint Games ha confezionato un gioiello, una perla rara che incidentalmente è anche il primo grande titolo esclusivamente next-gen. Ultimamente va di moda affermare che un remake non sia da considerare un "vero" gioco, o ancora criticare un'opera perché non sfrutta la tecnologia ray-tracing. Beh, se tutti i titoli fossero pregni della qualità che traspare da questa incarnazione di Demon's Souls, allora vorremmo giocare solamente remake privi di ray-tracing.
La cura per i dettagli è fuori scala. Risplende nei tessuti che vestono la Fanciulla in Nero, regalando una sinuosità completamente nuova alla sua linea inconfondibile. Emerge dagli intrecci nella maschera dorata di Mephistopheles, pronta a tentarci più seducente che mai. Soprattutto, esplode nelle torce che illuminano i corridoi di Boletaria, sotto il sole grigio come nelle segrete più oscure, svelando forme un tempo invisibili nei modelli di ogni singolo vecchio avversario messo a protezione della narrativa.
È la storia di un regno avvolto nella nebbia, di un'antica civiltà ormai ridotta a un cumulo di cenere ai piedi della sua monumentale eredità. In un'epoca lontana le terre prosperavano grazie all'arte dell'anima, una forma di magia legata alla manipolazione dell'essenza della vita, e fu proprio a causa della tracotanza degli umani che il regno cadde in rovina. La blasfemia risvegliò l'Antico e il suo esercito di demoni divoratori di anime, che si abbatterono come un flagello sulla popolazione allora inerte. In seguito alla strage, il reame fu frammentato per limitare l'espandersi del contagio, la magia venne messa al bando, mentre l'Antico fu ridotto in uno stato di sonno permanente.
Eoni più tardi, Re Allant di Boletaria ripristina l'uso dell'arte dell'anima, risvegliando le forze dell'Antico dalla stasi e condannando il mondo a una seconda apocalisse demoniaca. Questa volta, però, accade qualcosa di diverso. Insieme alle orde di demoni ed esseri umani ormai incoscienti che devastano Boletaria c'è anche un avventuriero, uno straniero come tanti che, attratto dal potere dell'anima, ha deciso di attraversare la coltre di profonda nebbia che abbraccia i confini del regno. Benvenuti, o bentornati, nell'oscurità di Demon's Souls.
L'introduzione e l'arrivo nel Nexus, dopo l'editor del personaggio completamente rinnovato, sono piccole parate pensate per farci comprendere cosa aspettarsi dall'interezza dell'esperienza. Dettagli alieni all'originale, un sistema d'illuminazione vivo, una caratterizzazione estetica dei personaggi ancor più profonda, e più di ogni altra cosa un'incredibile mole di animazioni artigianali che fanno scorrere nuova linfa vitale nelle entità di Boletaria. Fatta eccezione per un paio di meccaniche che necessitavano una sottile limatura, però, il codice di gioco è rimasto esattamente lo stesso, e l'aria tecnica che si respira è quella dell'anno zero di Miyazaki. In poche parole, bisogna prepararsi a morire centinaia di volte.
Abbiamo sempre consigliato di avvicinare senza riserve opere come Dark Souls, Bloodborne e Sekiro, e siamo convinti che la scalata alla curva della difficoltà costituisca un'insostituibile spina dorsale nelle esperienze targate FromSoftware; ma Demon's Souls è una creatura diversa, una belva molto difficile da domare. Se da una parte condivide l'anima di tutte le produzioni successive, dall'altra è il remake di un progetto arrogante che non ha avuto paura di introdurre meccaniche criptiche persino per giocatori del mestiere.
Chi ha conosciuto Dark Souls ma ha mancato il suo progenitore si troverà a provare le medesime emozioni vissute esplorando Lordran, scoprendo un tessuto del gameplay familiare, un tappeto tecnico fatto di fendenti, affondi, magie, schivate, attacchi alle spalle, parry e contrattacchi; troverà oggetti nascosti nei meandri di Boletaria pronti a svelare stralci di "lore", un esercito di personaggi volenterosi di alzare il sipario su consistenti quest secondarie e, ovviamente, una sfilza di boss tanto affascinanti quanto brutali che custodiscono gelosamente i segreti del regno.
La firma di FromSoftware è inconfondibile, ma Bluepoint Games ha proiettato nella next-gen una formula che era al tempo molto, forse troppo ambiziosa. Demon's Souls è una reale reincarnazione dei GDR della vecchia scuola: bisogna faticare per estorcere dal mondo semplici bocconi di storia, bisogna prendersi rischi enormi per svelare lati nascosti dell'esperienza, magari assassinando uno o più alleati, ma soprattutto bisogna pesare ogni singola azione, perché tutte le scelte portano conseguenze.
La principale meccanica che differenzia l'universo di Demon's Souls dai suoi parenti risiede infatti nel sistema della Tendenza, una sorta di scala del karma che investe tanto il giocatore quanto l'universo di gioco. Compiere il proprio dovere significa spostare la Tendenza del personaggio verso il bianco, mentre abbracciare la sete di sangue la muove verso il nero, aprendo cancelli verso interazioni uniche a seconda delle azioni compiute, influenzando al tempo stesso le statistiche del nostro eroe.
Poi c'è la Tendenza del Mondo, strettamente legata alle conquiste dello sterminatore di demoni in una singola regione di Boletaria, volta a soppesare tutto ciò che accade al protagonista per poi influenzare tanto gli NPC quanto i comuni nemici. Se morire e assassinare giocatori la farà precipitare nell'oscurità, abbattere demoni la spingerà verso il bianco puro, svelando aree, personaggi e oggetti nascosti a seconda dell'allineamento. Ma la Tendenza, che è stata resa meno fumosa rispetto al passato attraverso un menù dedicato, è solamente un piccolo tassello nel mosaico di stranezze che disegnano l'universo di Demon's Souls.
Potremmo dire che tutte le sezioni più oscure e complesse che hanno fatto capolino nella saga di Dark Souls siano emerse dalle ceneri del predecessore; dall'evoluzione di semplici armi in artefatti temprati con le anime dei boss fino al ventaglio di nebulose azioni necessarie per portare avanti le quest, dalla pianificazione richiesta per far brillare una determinata build fino alle terribili imboscate che costellano la fase di esplorazione; riguardo queste ultime state sempre all'occhio, perché all'epoca Miyazaki non si regolava.
E non solo con la difficoltà meccanica: ciascun oggetto dell'inventario ha il suo peso, di conseguenza bisogna gestire oculatamente ogni minima risorsa. Le varie Erbe della Luna, a questo proposito, non sono comode né comuni quanto le famose fiaschette Estus, tanto che spesso e volentieri è necessario compiere vere e proprie spedizioni in cerca di provviste. Come se non bastasse, morire significa perdere il proprio corpo e trovarsi imprigionati nella forma d'anima, e quando si è privi di un guscio mortale la vitalità viene dimezzata. Scordatevi infine la capillarità dei falò, perché per andare fra un'Arcipietra e l'altra bisogna sudare sette armature scanalate.
Insomma, Demon's Souls non è un videogioco che ti dà la pappa pronta, anzi, è il seme primordiale duro e puro da cui è maturata l'intera filosofia di FromSoftware. È un gioco complesso, ostile e poco intuitivo, ma è capace di restituire a chiunque fosse abbastanza determinato una serie di emozioni che, prima del suo arrivo, erano scomparse del tutto dai radar dell'industria. E questa ispirazione riesce a conquistare nuove vette d'immersione grazie all'incredibile lavoro di Bluepoint Games, che ha trasportato su next-gen la sfida monumentale di Boletaria come meglio non poteva.
Sono cinque le Arcipietre integre che torreggiano sulle scalinate del Nexus, cinque portali che squarciano la coltre di nebbia su altrettante regioni del regno devastato. Ambientazioni gotiche e decadenti che trasudano una violenza oltremodo realistica, accompagnata da una colonna sonora ridotta ai minimi termini proprio per immergere completamente il giocatore nelle trame di FromSoftware. Si sente forte l'influenza di Kentaro Miura, autore di Berserk, si sente ancora più forte l'intreccio tra la fantasia occidentale e l'immaginario giapponese.
Ma, come dicevamo, stavolta siamo su PlayStation 5. Adesso anche cunicoli spogli come quelli delle miniere di Stonefang hanno scoperto una nuova dignità grazie al luminoso scoppiettio delle torce, mentre aree già allora complesse come la Torre di Latria riescono finalmente a mostrarsi in tutto il loro oscuro splendore. L'architettura di Boletaria non richiamerà il capolavoro d'interconnessione messo in scena da Lordran, ma oggi riesce a brillare proprio là dove peccava ai tempi dell'esordio, sfoggiando quello che, per il momento e probabilmente per un brevissimo periodo, sarà uno fra i migliori comparti tecnici incontrati su console.
Bluepoint Games ha rivoluzionato l'intera veste grafica, andando ad impattare pesantemente anche sulle animazioni e sui particellari, modernizzando leggermente il sistema di movimento relativo alle schivate, insomma, proiettando nel futuro ciascun elemento dell'opera di FromSoftware. L'unica modifica realmente d'impatto sul gameplay tocca la capacità di stoccaggio delle varie Erbe, gli oggetti curativi da raccogliere come le Fiale di Sangue di Bloodborne, che pesano di più rispetto al passato e non possono essere accumulate all'infinito.
Al netto di un'operazione magnetica, capace di brillare tanto nei cieli di fuoco della Torre d'Avorio quanto nei minuscoli dettagli che emergono anche dal più insignificante dei pezzi d'equipaggiamento, qualche tratto caratterizzante della direzione artistica originale si è perso nelle forme dei nuovi abitanti del Nexus. Ma l'unico elemento del progetto che ci sentiamo di criticare apertamente è la Photo Mode, che per quanto ben confezionata permette sostanzialmente di mettere il gioco in pausa, addirittura di sbirciare l'ambiente circostante, violando quella che è una legge divina della tradizione 'soulsborne'.
Per il resto la lima dello studio è stata guidata unicamente dal rispetto. La volontà era quella di replicare Demon's Souls nella forma più fedele possibile, solo smussandone qualche spigolo, come già accaduto sulle sponde di Shadow of the Colossus. Addirittura, il director Gavin Moore ha scelto di mantenere invariati alcuni bug divenuti meme, oltre che alcune meccaniche di "cheese" ormai parte del patrimonio degli speedrunner. Purtroppo, ciò significa anche che non abbiamo trovato la sesta Arcipietra inedita né cut-content aggiuntivi pronti ad emergere sotto le arcate del Nexus, fatta eccezione per la piccola licenza del Mondo Spezzato, un'opzione che mette in scena una versione specchiata di Boletaria.
Detto questo, la sete di fedeltà ha inevitabilmente trasportato nel futuro anche le magagne che mantenevano l'originale Demon's Souls in bilico sul filo del capolavoro. Molti boss incarnano lo spirito della tipica "gimmick", perché spesso c'è un solo metodo per sconfiggerli, mentre l'intelligenza artificiale è ben lontana dalla caratterizzazione tecnica che abbiamo incontrato in un Sekiro qualsiasi. Il che non deve stupire, perché si tratta banalmente di Demon's Souls, con tutti i suoi pregi e con tutti i suoi difetti.
La modalità cinematografica in 4K nativo è affascinante, per carità, ma Demon's Souls fa parte di quella famiglia di titoli che devono essere giocati a 60fps, e ben venga il 4K dinamico, perché il framerate basta di per sé a cambiare radicalmente lo spirito dell'esperienza. Ciò è vero specialmente negli scontri online, anch'essi solo accarezzati da Bluepoint, che ha aggiunto una serie di classifiche mondiali nei corridoi del Pantheon presente in cima al Nexus, per poi allineare il numero di fantasmi che possono visitare un singolo mondo alle fatiche più recenti di FromSoftware.
È particolarmente difficile spiegare la dimensione occupata da Demon's Souls per PS5, perché è un'entità mossa da quattro anime completamente diverse. Anzitutto rappresenta il primo videogioco esclusivamente next-gen, pensato per mostrare i muscoli della console ma soprattutto del DualSense, che traccia il sibilo di ogni singolo quadrello scagliato e quasi tenta di avvertirci dei pericoli attraverso il feedback aptico. Al tempo stesso, per gli appassionati, rappresenta l'avverarsi di un sogno proibito, il remake che qualsiasi videogiocatore vorrebbe ricevere nell'orbita del suo titolo del cuore.
Avrà poi un impatto enorme su tutti coloro che hanno amato la serie di Dark Souls, o Bloodborne, oppure Sekiro, ma che non conoscono ancora le Arcipietre di Boletaria, giocatori che si troveranno per le mani un'esperienza completamente nuova, paragonabile a ciò che Yharnam ha significato nella storia di PlayStation 4. Per tutti gli altri, infine, sarà un'occasione d'oro per confrontarsi con una filosofia unica nel suo genere, la scusa perfetta per misurarsi con i mondi di FromSoftware e scoprire tutto ciò che la fucina creativa di Miyazaki ha da offrire.
Quattro strumenti che suonano all'unisono nella sinfonia di Bluepoint Games, un titolo che riesce sì ad essere uno strepitoso remake e l'unica killer application next-gen, ma che prima di tutto rimane il capostipite dei Souls.
Un mondo oscuro e spietato che custodisce gelosamente tutta la sua immensa bellezza, dimostrando che i grandi videogiochi non conoscono lo scorrere del tempo.
Demon's Souls è tornato, e lo ha fatto nella sua versione migliore: siete abbastanza coraggiosi da affrontarlo?